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Fatturazione ogni 28 giorni tra telecomunicazioni e pay tv: pronta la Legge?

Fatturazione ogni 28 giorni tra telecomunicazioni e pay tv: la situazione

Operatori telefonici e pay tv ignorano lo stop dell'AGCOM alla fatturazione ogni 28 giorni, ma sta per intervenire il Legislatore.

Secondo una vecchia filastrocca utilizzata per ricordare da quanti giorni è composto ogni mese dell’anno, “di ventotto ce n’è uno..” e invece potremmo dire che, secondo le società del sistema di telecomunicazioni, “di ventotto son tutti”. Ci riferiamo a quella pratica commerciale, adottata oramai dal 2015 dai principali operatori italiani di telefonia, consistente nel rimodulare il sistema di fatturazione provvedendo all’addebito dei canoni pattuiti con gli utenti non più ogni 30 giorni (cd. mese commerciale), bensì ogni 4 settimane, dunque ogni 28 giorni.

Lo scopo della variazione, come è facile intendere, è in buona sostanza quello di operare un aumento “larvato” del costo del servizio: attraverso lo “scarto” tra il mese commerciale ed i 28 giorni di fatturazione, infatti, si giunge praticamente ad esigere dall’utente 13 fatture in un anno, in luogo delle precedenti 12, con un aumento che – secondo quanto riporta Il Sole 24 ore – si attesta all’8,6%.

Fatturazione, codice delle comunicazioni elettroniche e ius variandi

Si tratta di una pratica legittima? Sembrerebbe di sì. L’articolo 70 del Codice delle comunicazioni elettroniche (D. Lgs. 259/2003), infatti, consente alle imprese in questione di esercitare un potere eccezionale (in quanto derogatorio dell’art. 1372 c.c., secondo cui “il contratto ha efficacia di legge tra le parti”) usualmente definito ius variandiSi tratta, essenzialmente, della possibilità di indirizzare agli utenti delle proposte di modifica unilaterale del contratto, modifiche che divengono efficaci sempre che l’utente non decida di avvalersi del diritto di recesso.

L’unica freccia che il Legislatore consente all’utente di scoccare a fronte di tali modifiche unilaterali del contratto, infatti, è proprio quella dello scioglimento unilaterale «senza penali né costi di disattivazione», secondo quanto prevede l’art. 70 co. IV del Codice.

In termini più generali, comunque, è chiaro che tale assetto normativo facilita strategie commerciali definibili come moralhazard (azzardo morale): per accaparrarsi un cospicuo numero di clienti (sottraendolo alla concorrenza), si offrono ai nuovi abbonati condizioni contrattuali economiche particolarmente vantaggiose per poi procedere, una volta “vincolato” il cliente, ad una progressiva alterazione dell’iniziale equilibrio economico del contratto, ovviamente a svantaggio dell’utente.

Ius variandi sì, prezzi nebulosi no: l’intervento dell’AGCOM…

Ciò non toglie, comunque, che anche le società di telecomunicazioni incontrino delle limitazioni rispetto ad un utilizzo dello ius variandi che vada a scontrarsi con altri profili di interesse tutelati dal Legislatore. Viene in rilievo, in particolare, la previsione dell’art. 71 del Codice, secondo cui «l’Autorità, anche al fine di garantire una scelta consapevole dell’utente tra le varie offerte, assicura che gli operatori pubblichino informazioni trasparenti, comparabili, adeguate e aggiornate in merito ai prezzi e alle tariffe vigenti».

Proprio su queste basi è intervenuta, a seguito di una procedura di consultazione pubblica, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) che, con la Delibera n. 121/17/CONS del 15 marzo 2017 ha imposto uno stop, almeno parziale, alla pratica commerciale in questione.

In particolare, l’AGCOM ha ravvisato la necessità di adottare un provvedimento per garantire una tutela effettiva degli utenti, «avendo riscontrato problemi in termini di trasparenza e comparabilità delle informazioni in merito ai prezzi vigenti […] nonché di controllo dei consumi e della spesa, determinati anche dal venir meno di un parametro temporale certo e consolidato per la cadenza del rinnovo delle offerte e della fatturazione, ossia il mese». Con approccio pragmatico, infatti, l’Autorità Indipendente afferma che «il mese è, per larga prassi, l’unità temporale utilizzata per l’imputazione dei costi delle offerte nella maggior parte dei servizi domestici di interesse economico generale, come ad esempio energia e gas, con le rispettive specificità. Il discostamento dal parametro mensile avrebbe quindi un notevole impatto sul vincolo di bilancio dell’utenza, che, per ormai consolidata prassi, è tarato su logiche mensili».

Al fine di adottare un provvedimento rispettoso del principio di proporzionalità, tuttavia, l’Authority ritiene necessario operare un distinguo tra telefonia fissa mobile. Si mette in evidenza, infatti, come nell’ambito dei contratti relativi ai servizi di telefonia fissa, il traffico risulta in massima parte post-pagato, spesso anche con sistemi di addebito automatico delle somme in conto corrente. Ciò implica che, mentre con il previgente sistema il giorno di addebito risultava sempre il medesimo, con l’adozione di un periodo di fatturazione non coincidente con il mese sii determina uno “sfalsamento” continuo di tale momento, con la conseguenza che potrebbe divenire estremamente difficile per l’utente il monitoraggio efficace dei costi correlati all’abbonamento sottoscritto.

Questo rischio, invece, è molto più contenuto nel caso di contratti aventi ad oggetto servizi di telefonia mobile, laddove molto più diffuso è il sistema di traffico pre-pagato, così che l’utente dispone di una più agevole possibilità di esercitare un controllo efficace e costante sulle somme pretese dalla compagnia telefonica, eventualmente anche “bloccando” il contratto semplicemente attraverso una mancata ricarica della scheda prepagata.

Ciò implica, a giudizio dell’AGCOM, la necessità di intervenire stabilendo che «per la telefonia fissa la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione deve essere su base mensile o suoi multipli. Per la telefonia mobile la cadenza non può essere inferiore a quattro settimane. In caso di offerte convergenti con la telefonia fissa, prevale la cadenza relativa a quest’ultima».

Per adeguarsi alle prescrizioni così dettate con la delibera del 15 marzo, poi, agli operatori erano concessi 90 giorni di tempo. Tuttavia, non solo la gran parte degli interessati non ha ottemperato al provvedimento regolatore dell’AGCOM ma, anzi, anche uno dei più importanti soggetti nel settore televisivo del pay per view ha annunciato di aver deciso di adottare il sistema di fatturazione quadri-settimanale in luogo di quello mensile, da sempre praticato.

Un ulteriore “schiaffo” alla delibera AGCOM, dunque, se si considera che – come ha chiarito il Consiglio di Stato con le sentenze del 9 aprile 2013, n. 1961 e del 12 aprile 2013, n. 2009 – il settore della pay tv va senz’altro ricompreso nei servizi di comunicazione elettronica così come definiti dal Codice delle comunicazioni elettroniche e, dunque, risulta pienamente soggetto alle misure dell’Authority per le comunicazioni, su tutte la 121/17/CONS.

…e quelli del TAR

Qual è, però, il motivo di tale “sprezzante” decisione degli operatori di telefonia e pay tv? Con ogni probabilità il ricorso presentato al TAR del Lazio contro il provvedimento dell’AGCOM e finalizzato ad ottenere la sospensione prima e l’annullamento poi della delibera, con conseguente eliminazione delle limitazioni imposte.

Come finirà allora la querelle? L’AGCOM, con un comunicato stampa stampa del 14 settembre 2017, ha reso noto di aver avviato un procedimento nei confronti di alcuni gestori TLC, procedimento che – accertata in via ufficiale l’inottemperanza – porterebbe alla irrogazione di pesantissime sanzioni pecuniarie agli operatori. Non solo: l’Authority, infatti, ha anche precisato che sta valutando l’adozione di ulteriori iniziative, «per evitare che le condotte dei principali operatori di telecomunicazioni possa no causare un effetto di ‘trascinamento’ verso altri settori, caratterizzati dalle stesse modalità di fruizione dei servizi». Evidente pare il riferimento alla scelta operata parallelamente nel settore del pay per view.

Tutto ciò, beninteso, sempre che il TAR in sede cautelare non sospenda la delibera AGCOM. L’udienza è fissata per febbraio 2018 ma, in attesa che i giudizi amministrativi si pronuncino sull’affaire fatturazione, le indicazioni che si ricavano dai precedenti giurisprudenziali in materia non sono confortanti per gli utenti. Il TAR, infatti, già nel 2016 si è espresso sulla legittimità delle limitazioni imposte dall’AGCOM alle società che offrono servizi di comunicazione elettronica, sconfessando l’Authority.

In quel giudizio, infatti, le società di impugnavano la prescrizione con cui l’AGCOM aveva imposto che le modifiche unilaterali del contratto avvenissero solo in presenza di un “giustificato motivo” (come avviene, ad esempio, per le banche ai sensi dell’art. 118 del Testo Unico Bancario, cd. TUB – D. Lgs. 385/93). Il giudice amministrativo, tuttavia, aveva ritenuto che tale limitazione non risultasse conforme all’art. 70 del codice delle comunicazioni elettroniche. Tale norma, infatti, non attribuisce affatto all’Autorità il potere di limitare o condizionare la facoltà degli operatori di telefonia mobile di modificare il contenuto del contratto stipulato con i consumatori, né tale facoltà può ricavarsi da altre previsioni di legge.

L’AGCOM, quindi, è abilitata a dettare solo disposizioni sulle modalità di pubblicizzazione delle modifiche, ma non può entrare nel merito delle stesse: l’aver utilizzato l’«escamotage» delle prescrizioni a tutela della trasparenza per imporre, in sostanza, un determinato contenuto contrattuale (limitando la modifica ai soli casi di giustificato motivo) rappresenta una forzatura inaccettabile.

Considerato come la medesima ratio sorregge anche il provvedimento “protettivo” adottato da AGCOM anche in tema di periodi di fatturazione, può pronosticarsi che, se tale impostazione sarà mantenuta dai giudici amministrativi, agli utenti non rimarrebbe altro che “subire” il nuovo sistema di fatturazione (o recedere dai contratti).

INTERVIENE IL LEGISLATORE?

Il condizionale, però, è d’obbligo: sia perché non è mai prudente ritenere scontato un pronunciamento giudiziale, sia pure perché da ultimo pare che a risolvere d’imperio la spinosa questione sembra oramai certo e prossimo un intervento diretto del Legislatore.

Se già in un primo momento il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Angela Finocchiaro, infatti, nel corso del cd. question time aveva dichiarato che l’Esecutivo sta meditando di intervenire introducendo una norma ad hoc, il 13 ottobre la deputata Alessia Morani ha depositato un disegno di legge per abolire la tariffazione a 28 giorni. Non solo: la proposta include anche un rafforzamento dei poteri dell’Authority, da realizzarsi mediante l’inasprimento delle sanzioni e, con una previsione che segnerebbe un decisivo passo in avanti in termini di effettività della tutela, imponendo obblighi di restituzione agli abbonati degli introiti ottenuti mediante pratiche poi sanzionate, con un risarcimento che comunque non dovrebbe essere inferiore a 50 euro. Con un’altra risoluzione approvata alla Camera, poi, il Governo è stato impegnato ad «assumere iniziative normative, nell’ambito della manovra di bilancio per il 2018, per impedire che gli operatori telefonici e di telecomunicazione adottino una cadenza di fatturazione che non abbia come base il mese o un suo multiplo».

Fermo restando la possibilità per gli operatori economici di definire in piena libertà negoziale i prezzi dei servizi offerti, infatti, quel che si intende ribadire con un intervento normativo puntuale è che questa libertà non può esplicarsi attraverso modalità o forme tali da sacrificare le ineludibili esigenze di tutela della trasparenza nei rapporti con gli utenti dei servizi.

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