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Food marketing per la ristorazione: come comunicare al meglio la propria attività

Food marketing per la ristorazione: come comunicare al meglio la propria attività

Cosa vuol dire fare food marketing per la ristorazione? Ecco alcuni consigli e best practice delle attività da svolgere online e offline.

Le buone pratiche di comunicazione nel mondo della ristorazione riguardano ormai sia la presenza online sia tutte quelle attività da svolgere all’interno del locale e che nel tempo si sono vistosamente trasformate. Il settore della ristorazione ha affrontato diversi momenti di crisi di mercato senza però particolari ripercussioni e, stando ai dati del rapporto Coldiretti-Censis sulla ristorazione in Italia nel 2016, si apprende che la necessità di mangiare fuori per lavoro e il piacere della cena fuori casa hanno fatto sì che un terzo dei consumi alimentari delle famiglie si concentrasse proprio nella spesa per la ristorazione. Secondo un’indagine condotta da Doxa per conto di Groupon, otto italiani su dieci mangiano fuori casa almeno una volta al mese e di questi otto il 57% lo fa almeno una volta alla settimana. La scoperta di nuovi locali avviene nel 66% dei casi grazie al passaparola , ma un ruolo importante è anche quello ricoperto dalle recensioni online sui portali dedicati, visto che il 69% di chi consuma un pasto fuori casa è propenso a consigliare e recensire un locale. A fidarsi delle recensioni è 68% degli intervistati e il 91% ritiene abbiano comunque un peso importante in fase di decisione. Il ruolo del ristoratore è dunque quello di riuscire a coinvolgere questo variabile segmento di consumatori non solo puntando alla qualità dei prodotti offerti ma anche a come questi vengono presentati, motivo per cui diviene fondamentale puntare sul food marketing per la ristorazione.

Infografica Survey Doxa - Ristorazione

Fonte: Doxa-Groupon

Ristorazione e comunicazione: le figure coinvolte

L’esperienza gastronomica odierna, intesa come condivisione di uno spazio in cui recuperare la dimensione sociale e conviviale del mangiare, si fonda su percorsi esperienziali che facciano vivere delle emozioni e che facciano emergere i valori su cui si basa il mondo della ristorazione. Affinché tutto ciò avvenga è necessario riuscire a comunicare nel migliore dei modi, affiancando allo chef e al gestore alcune figure professionali formate e competenti.

Nel processo di digitalizzazione dell’attività ristorativa, però, è meglio che il ruolo venga ricoperto da una risorsa interna da formare o da una persona esterna già formata che però vive fuori dal contesto di riferimento? Ne ha parlato Nicoletta Polliotto, consulente web per la comunicazione nel settore food e autrice di “Digital food marketing: guida pratica per ristoratori intraprendenti”, in un’intervista ai nostri microfoni: «Contestualizzando la risposta anche al tipo di attività, non bisogna propendere né per l’uno né per l’altro estremo. Il mio consiglio è dunque quello di avere le idee chiare, frequentare blog, studiare, informarsi e capire che una trasformazione digitale è necessaria per scegliere un progetto, una visione e un collaboratore che vada a costruire degli strumenti performanti. È anche importante che una parte del personale venga formato, istruito e acquisisca degli strumenti affinché anche lo staff sia in grado di utilizzarli senza rovinare quello che è stato creato, seguendo una linea editoriale e una linea comunicativa condivisa».

Fare digital food marketing per la ristorazione: consigli e best practice | Nicoletta Polliotto
Fare digital food marketing per la ristorazione: consigli e best practice | Nicoletta Polliotto

Food marketing per la ristorazione: il caso del fast casual

Con il termine ristorazione fast casual si intende un particolare segmento del settore della ristorazione che tiene conto della crescente richiesta di qualità da parte dei clienti, anche a costo di spendere qualcosa in più. Il fast casual è una tendenza del mercato globale della ristorazione che, ispirata dai segmenti del fast food e del fine dining, ne ha mescolato sapientemente i principali punti di attrazione e di forza.

Per fare food marketing per la ristorazione fast casual, comunque, è necessario conoscerne il consumatore tipo che Gabriele Mancosu, manager consultant di Praxis Management e autore di “Aspettando Starbucks” identifica come

«consumatore metropolitano, ovvero quello che “pretende”, al contempo, velocità, qualità, novità. Ciò che quindi lo caratterizza è la sua tendenza a essere infedele al brand, prediligendo una grande libertà di scelta. Il consumatore metropolitano è così il protagonista di questa “rivoluzione” e rivolge le sue aspettative più profonde e le sue attenzioni a quei brand “super specializzati” che, per loro natura, sono in grado di rispondere proprio alla sua domanda di vivere un’esperienza ogni volta convincente e memorabile».

Trattandosi di un settore che sceglie la formula del franchising è lecito domandarsi se esista un margine di autonomia per il singolo gestore e «anche se le regole cambiano esistono delle linee guida comuni come il caso del local marketing che – come affermato da Nicoletta Polliotto ai nostri microfoni – se ben declinato nelle singole location può fornire degli spunti interessanti. A fronte della presenza di una linea comunicativa comune, le declinazioni territoriali sono indispensabili».

La scelta del testimonial: fra corporate branding e personal branding

In ambito pubblicitario e ancora di più con l’avvento del digitale si parla di celebrity endorsement , tecnica pubblicitaria che permette di associare all’immagine del brand quella di un personaggio famoso. La funzione del testimonial è fare da garante per il prodotto tentando di coinvolgere e catturare l’attenzione di una grande fetta di pubblico. Il risvolto della medaglia è però legato alle controindicazioni del caso identificabili nel compenso da pagare al testimonial , nelle conseguenze che vicende professionali e personali possono avere in termini di reputazione e nella cannibalizzazione del prodotto che avviene quando l’immagine del testimonial è talmente forte che al consumatore resta impressa solo quella. La ricetta per il branding di un’attività ristorativa è, come sottolineato da Nicoletta Polliotto, il perfetto equilibrio fra attività di corporate e promozione di sé.

Nel settore del beverage soprattutto diversi chef sono stati testimonial di prodotti industriali contravvenendo al concetti di artigianalità che caratterizza la loro cucina gourmet. Il fenomeno si ritrova però anche nel settore food, generando da un lato un guadagno in termini di notorietà e visibilità per il brand dall’altro una sorta di effetto boomerang relativo alla credibilità del testimonial stesso. Come specificato da Nicoletta Polliotto

«il venir meno di questo equilibrio può sbilanciare pesantemente la comunicazione portando dei danni irreversibili a un brand della ristorazione così come a qualsiasi altro brand di un settore merceologico diverso. La stessa cosa è da calibrare quando nel caso di chef o bartender famoso si punta molto sulla creatività e sull’originalità dei propri piatti, sul personal branding, su un certo tipo di racconto e poi nel trasgredisce i valori andando a pubblicizzare ad esempio un pacchetto di patatine. Questo comporta un grande pericolo: lo chef avrà grandissimi vantaggi in termini di notorietà ma si corre il rischio di offuscare, far perdere autenticità, credibilità e fiducia da parte del pubblico che lo segue per la sua arte».

Mercato Centrale: l’incontro tra distribuzione e ristorazione

Le botteghe e l’artigianalità sono al centro del modello di distribuzione e ristorazione di Mercato Centrale. Il concept sul quale si fonda è la cucina italiana, è «un tornare a dare valore alla tradizione della cucina italiana e ai suoi veri protagonisti che sono la cucina semplice e gli artigiani che la propongono. Il Mercato Centrale – ha affermato Umberto Montano, fondatore di Mercato Centrale – attualizza il valore artigianale della cucina del nostro paese». Fin dal lancio del progetto si è cercato un ritorno alla semplicità, non a caso la strategia comunicativa di Mercato Centrale Roma è incentrata sul concetto di eliminazione di tutti gli elementi superflui. Una cancellazione consapevole che permette di non essere cancellati e di far spazio alla bontà elementare, cuore pulsante dei mercati di Firenze e Roma. Le singole botteghe hanno piena autonomia nell’espressione dei propri valori, ma Mercato Centrale è «la guida nella destinazione finale dei loro prodotti».

In un’intervista rilasciata ai nostri microfoni, Umberto Montano ha affermato che «nel rispetto della passione di ciascun artigiano, le botteghe sono completamente libere di agire. Noi interveniamo in servizi come quello alla clientela, nella lettura del grado di soddisfazione, nelle attività alternative alla cucina che un mercato come il nostro deve fare. Noi vendiamo bistecche e pasta fresca ma costruiamo eventi culturali legati sia al cibo che non, che fanno parte del DNA del mercato e che sono un nuovo modo di interpretare un centro di aggregazione».

Il progetto Mercato Centrale | Umberto Montano
Il progetto Mercato Centrale | Umberto Montano

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