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Gender digital divide: perché le donne sono ancora indietro nell’adozione del digitale

Gender digital divide: le donne e l'adozione del digitale

Per 'gender digital divide' si intende la disparità di accesso alla Rete e alle tecnologie digitali da parte delle donne: cause e conseguenze

Non è passato molto tempo da quando l’ONU ha messo in guardia rispetto alle disparità di genere che esistono nel digitale: le donne che hanno accesso alle tecnologie sono, a livello mondiale, in numero molto inferiore agli uomini (secondo l’ITU, l’agenzia dell’Onu specializzata nelle ICT, almeno 250 milioni in meno, ndr) e, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, il gender digital divide è tutt’altro che superato. Studi come quello della World Wide Web Foundation sull’accesso al digitale nel mondo, mostrano per esempio come nelle aree urbane più povere (Lagos, Nairobi, Bogotà, ecc.) appena il 37% delle donne può fruttare una connessione a Internet, contro il 59% degli uomini: sono per lo più cittadine con un livello di istruzione medio-alto o già attive in politica e, soprattutto, neanche per loro usare il Web significa avere accesso all’intero catalogo di servizi 2.0, come quelli medici o finanziari.

In un quadro come questo non stupisce che assicurare l’accesso a Internet sia stata inserita come attività tra i Sustainable Development Goals 2020. Il modello da seguire è quello del REACT e cioè del considerare Internet tra i diritti fondamentali, fornire un’educazione adeguata, garantire l’accesso non solo al mezzo fisico ma anche alle soft skill indispensabili per un uso consapevole della Rete, favorire la creazione di contenuti locali e pensati appositamente per le esigenze del proprio target .

Gender digital gap: la situazione in Italia

Al contrario di quanto si potrebbe pensare, comunque, il gender digital divide non è un problema esclusivo dei developing country. Anche nei paesi sviluppati ci sono fattori e condizioni che non permettono di considerare l’accesso alla Rete e alle tecnologie digitali come davvero paritario, non su una base di genere almeno e nonostante non si possa fare a meno di notare come, negli ultimi anni soprattutto, siano stati fatti degli importanti passi avanti in materia.

Secondo l’indagine multiscopo ISTAT “Come cambia la vita delle donne 2004 – 2014”, per esempio, da almeno dieci anni sono proprio le donne a guidare la crescita digitale del nostro Paese. Si guardi a un dato macroscopico come l’utilizzo del computer: gli uomini che usano il pc (55,6%) e si connettono a Internet (57,8%) sono ancora in dato assoluto di più rispetto alle donne (rispettivamente il 46,2% e il 48,3%). La buona notizia è però che il gap di genere nell’utilizzo degli strumenti digitali tende a diminuire: se, nel 2005, gli uomini che utilizzavano il PC erano l’11,7% in più rispetto alle donne, nell’ultima rilevazione lo scarto si è ridotto al 9,4% e dati simili si registrano per quanto riguarda le connessioni Internet, con un gap che è passato negli anni da un 10,1% a un 9,5%. È soprattutto tra i giovani – che, prevedibilmente si confermano anche i più forti utilizzatori di pc (con percentuali che sfiorano l’83% nella fascia 15-19) e di Internet (l’88,3% nella stessa fascia) – che il gap di genere risulta quasi del tutto annullato. Tanto che, fa notare l’ISTAT, la percentuale di utilizzo di PC e Internet è più alta per le ragazze nella fascia dagli 11 ai 14 anni e praticamente identica tra maschi e femmine nella fascia tra i 15 e i 24 anni.

Questo inedito protagonismo “rosa” nel digitale? Secondo l’istituto di statistica sarebbe da ricondurre direttamente a una maggiore alfabetizzazione e a più alti livelli di istruzione femminile.

Le competenze digitali aiuteranno a superare il gender digital divide?

La crescente familiarità con gli ambienti digitali sembrerebbe aiutare, comunque, le lavoratrici italiane a raggiungere i loro obiettivi professionali. Proprio a proposito di gender digital divide, nel 2016 “Getting to equal: how digital is helping close the gender gap at work”, uno studio di ‘Accenture’, ha provato a dimostrare come le e-skill potessero aiutare a superare il divario tra lavoratrici donne e lavoratori uomini. Anche in quel contesto, nonostante l’Italia si trovasse molto in basso nella classifica dei paesi con maggiore digital fluency dei lavoratori (dove per digital fluency, per traslitterazione dalle skill linguistiche, si intende la scioltezza e la familiarità con il digitale in tutte le sue applicazioni, ndr), le lavoratrici italiane si erano trovate d’accordo nel sostenere che le tecnologie digitali rendono loro possibile lavorare da casa, (affermazione vera per il 50% degli intervistati), permettono un equilibrio migliore tra vita privata e vita lavorativa (per il 42%) e incrementano la possibilità di trovare opportunità d’impiego (per il 44%).

Più in generale, le riflessioni di ‘Accenture’ partono da considerazioni su come sta cambiando il mercato del lavoro e, in parte, anche dal ruolo sempre più importante assunto dalle “nuove” professioni digitali.

È un mercato, a guardarlo bene, contraddittorio: anche nei paesi con più alta digital fluency come Stati Uniti, Olanda, Australia e in generale l’Europa settentrionale gli uomini hanno una familiarità con gli ambienti e le tecnologie digitali maggiore rispetto alle donne; in alcuni casi il gap è altissimo, come succede per Giappone, Francia e Svizzera; del resto, il digitale non sembra aver risolto ancora i problemi legati allo squilibrio retributivo, tanto che anche tra i Millennial, la generazione con più evolute competenze digitali, il 65% degli uomini guadagna di più delle colleghe donne. Eppure proprio alle donne Millennial toccherebbe, secondo lo studio, la missione di dare uno scacco definitivo al gender digital divide: in almeno 16 dei paesi tra quelli presi in analisi, infatti, le Millennial supererebbero i coetanei maschi per livello d’istruzione. C’è, però, soprattutto un fattore di aspirazione che risulta difficilmente trascurabile: il 56% delle giovani lavoratrici digitali aspira oggi a un ruolo di leadership (mentre nella generazione immediatamente precedente erano solo il 49%) e il 61% di loro nei paesi sviluppati e il 29% in quelli in via di sviluppo sarebbero intenzionati a intraprendere un nuovo business entro i prossimi 5 anni.

In questo senso, neanche la maternità sembra essere percepita più come un ostacolo alla carriera e alle ambizioni lavorative. Ancora ‘Accenture’, con “Getting to Equal 2017”, ha dimostrato infatti che le mamme che lavorano aspirano a una posizione senior esattamente come lo fanno le lavoratrici senza figli (anzi, in misura ancora maggiore: la percentuale è infatti del 70% contro il 67%) e allo stesso modo sono disposte a cambiare lavoro per una paga migliore o intraprendere un’attività in proprio (in questo caso si tratta addirittura del 53% contro il 35%).

È facile capire come tecnologie e strumenti 2.0 siano un driver essenziale in questo senso, tanto che per il 74% del campione di ‘Accenture’ apprendere nuove skill digitali appare indispensabile, quasi quanto lo è diffondere la cultura del digitale anche quando questo significa lavorare per organizzazioni e soggetti attivi nel settore (lo farebbe il 72% delle intervistate).

Per superare il gender digital divide? Serve l’impegno concreto di tutti

Dati come questi servono innanzitutto a fare una previsione: se governi e imprese lavorassero di concerto per ridurre il gender digital divide, il perfetto equilibrio di genere, in ambito lavorativo almeno, sarebbe raggiunto entro il 2040 per i paesi sviluppati ed entro il 2060 per quelli in via di sviluppo, con un vantaggio rispettivamente di 25 e 45 anni rispetto a quanto avverrebbe se non fosse intrapresa alcuna iniziativa in materia.

Come si accennava, per fortuna, c’è una sempre maggiore attenzione al tema e da più voci si è sottolineata l’importanza non solo di garantire alle donne un accesso paritario alla Rete, ma di fare della “uguaglianza digitale” una issue prioritaria nelle agende di governi, soggetti pubblici, aziende impegnate in progetti di CSR.

Due temi sembrano fondamentali in questo senso: le STEM e il sostegno all’imprenditoria femminile. Si tratta, nel primo caso, di prendere atto che chi ha compiuto un percorso di studio nell’ambito delle discipline tecnico-scientifiche (l’acronimo infatti sta letteralmente per Science, Technology, Engineering and Mathematics, ndr) e, quindi, le lavoratrici del campo sono ancora in netta minoranza rispetto agli uomini: secondo una delle statistiche più recenti, anche se riferita al solo contesto americano, appena un quarto. Non stupisce, in questo senso, che a più voci siano stati richiesti interventi e iniziative per avvicinare le ragazze alle discipline scientifiche.

Tra questi degno di nota è “EQUALS – The Global Partnership for Gender Equality in the Digital Age”, un programma per le donne che già lavorano nel digitale e per quelle che invece vorrebbero intraprendere una carriera nell’information and communication technology messo a punto dall’agenzia dell’ONU che si occupa di innovazione digitale e da UN Women nella convinzione che «le ICT siano una via fondamentale verso l’uguaglianza di genere e l’empowerment femminile». EQUALS si focalizza, in particolare, su tre aree strategiche quanto a know how tecnologico e superamento del gender digital divide: l’accesso, con cui si intendono le strategie per garantire l’accesso generalizzato a Internet e alle altre tecnologie digitali; le skill, intese come quel complesso di conoscenze che donne e ragazze devono sviluppare se voglio diventare “creatrici” di ICT; la leadership, dal momento che è innegabile che il superamento del digital gender gap parte anche dal permettere alle lavoratrici di assumere ruoli strategici e imprenditoriali.

Parte integrante di un progetto più ampio di “digital renaissance”, EQUALS mostra del resto come le tecnologie siano da sempre state considerate dall’ONU essenziali per il “benessere” femminile, inteso in senso olistico anche come accesso all’informazione, all’educazione e alle opportunità lavorative e di business. Accesso che, tra l’altro, sarebbe il solo in grado di assicurare maggiore forza a famiglie, comunità territoriali, economie nazionali e, non ultima, all’intera società. Proprio se si parla di “esternalità” positive di una maggiore digitalizzazione “al femminile” non si possono ignorare allora gli interventi e iniziative per favorire l’imprenditoria femminile: sgravi fiscali, finanziamenti e incentivi previsti a livello governativo nell’arco del tempo sono stati tanti e con risultati in qualche caso più apprezzabili che in altri. Tra i più recenti, e segno di un sempre maggiore impegno e di una maggiore partecipazione di Facebook alle “questioni” sociali, vale la pena di citare #SheMeansBusiness: piattaforma completamente dedicata dal team di Zuckerberg all’imprenditoria femminile nella convinzione che “quando le donne fanno meglio, l’economia fa meglio” e che intende fornire testimonianze, case history, brevi guide anche in un formato video e dati che potrebbero aiutare quel 68% di donne imprenditrici nel loro path di carriera, oltre a promette di trasformarsi in un vero e proprio percorso formativo, grazie all’appoggio di associazioni e soggetti leader nel settore (in Italia è stata già chiusa, per esempio, una partnership con Fondazione Mondo Digitale, una no-profit che si occupa di innovazione, istruzione e inclusione, ndr).

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