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La serialità salverà il giornalismo digitale?

Giornalismo digitale e serialità: è questa la strada per la sopravvivenza?

Un esperimento del Los Angeles Times dimostra come la serialità possa rappresentare un valore aggiunto per il giornalismo digitale.

Resistere alle insidie del digitale può significare per il giornalismo trovare forme espressive nuove e creative e imparare (o rimparare) l’arte di coinvolgere e fidelizzare il lettore, pur continuando a offrirgli un servizio di qualità. In qualche caso ciò può voler dire anche rileggere in chiave 2.0 le origini del giornalismo di massa: c’era, infatti, un tempo in cui venivano pubblicati a chiusura del giornale romanzi a puntate (i feuilleton) che avevano il compito di far tornare in edicola chi aveva letto quella storia e voleva sapere come andasse a finire, assicurandosi intanto la preferenza sui concorrenti e le vendite. Proprio la serialità potrebbe essere oggi un rimedio contro un consumo dell’informazione reso “nomade” dalla stragrande abbondanza di fonti e contro l’impossibilità di trovare formule efficaci per gli abbonamenti e i sistemi di pagamento delle notizie online.

A dimostrarlo è Framed un esperimento del Los Angeles Times. Nello scorso agosto, infatti, la testata ha ripreso una delle storie di cronaca che, negli ultimi tempi, hanno più fatto discutere l’America (quella di una mamma californiana, responsabile integerrima di un’associazione di genitori, trovata in possesso di un grosso quantitativo di droga, ndr) e l’ha riproposta sul sito come un “mistero in sei puntate”, puntando non solo alla serialità ma anche alla cura di numerosi aspetti – dal linguaggio, agli elementi paratestuali e multimediali e quelli di design – che ne hanno fatto uno dei più interessanti esempi di giornalismo narrativo.

I risultati? Sono stati più che concreti. La “serie” ha attratto, infatti, oltre 3 milioni di visitatori unici e, solo nella prima settimana in cui è stata online, secondo delle indiscrezioni del L.A. Times, avrebbe fatto aumentare dell’ordine di centinaia di unità gli abbonamenti al giornale, sia nella sola versione online sia in quella cartacea.

L’importanza di una call to action chiara…

Se i dati riguardo agli abbonamenti non sono precisi, comunque, quello che è certo è che “Framed” è valsa al L.A Times oltre 50mila iscritti in più alla newsletter . Il merito è di una call to action assolutamente chiara. Alla fine di ogni episodio della serie giornalistica, infatti, un bottone chiedeva al lettore di scriversi alla newsletter in modo da non perdersi, e anzi ricevere in anteprima, le novità riguardo al “mistero” che stava seguendo. A uno scopo simile servivano i box posizionati dal L.A.Times accanto a ogni nodo cruciale del racconto: chiedevano di “supportare il giornalismo narrativo” della testata all’insignificante somma di 99 centesimi per le prime 4 settimane e puntavano sulla disponibilità a pagare di un lettore soddisfatto, che aveva davanti gli occhi i risultati concreti del lavoro di qualità svolto dalla testata e dai suoi giornalisti.

…e di una strategia che punti alla qualità del prodotto

Qualità sembra, del resto, la parola chiave circa il lavoro del L.A. Times su “Framed”. Il caso in questione era tra quelli che più si prestavano a spettacolarizzazioni, titoli strillati, gallerie fotografiche a prova di clickbaiting. Al quotidiano, però, non sembrava interessare un approccio da tabloid: l’obiettivo della la testata e di Christopher Goffard, autore della storia, era offrire un valore aggiunto ai lettori. A questo sono valsi mesi di studio sulle carte e le intercettazioni processuali, di ricerca e verifica delle fonti e di interviste e colloqui con i protagonisti del fatto di cronaca.

Un contenuto multimediale e di approfondimento…

Il risultato? È un prodotto multimediale, anche nella confezione. “Framed”, infatti, non è solo la rivisitazione giornalistica di quanto successo. Ai lettori è offerta la possibilità di confrontarsi direttamente con l’audio di alcune intercettazioni utilizzate per il processo (grazie a delle icone ai margini testo) e con la trascrizione di alcuni punti chiave e stralci dei documenti ufficiali. Senza dimenticare l’apparato visivo (foto dei protagonisti, dei luoghi topici del fatto, etc.) che punta a massimizzare il coinvolgimento dei lettori. Tanto più che, apparentemente in contrasto con qualsiasi “buona norma” del giornalismo digitale, quelli di “Framed” sono testi lunghi che mal si accordano ai ritmi veloci della lettura sul web o da mobile eppure anche i dati sui tempi di lettura sembrano dare conferma della buona riuscita in termini di engagement dell’esperimento del L.A. Times: i lettori, infatti, hanno speso in media 14.5 minuti sulle pagine di “Framed”.

…che sia anche usabile e di facile lettura

Alcuni accorgimenti tecnici e di “usabilità” hanno assicurato, infine, il successo del “mistero in sei puntate” della testata americana. Si è trattato di prendere in considerazione elementi paratestuali che, però, potevano incidere non indifferentemente sull’esperienza di lettura e, più in generale, sulla soddisfazione degli utenti, a partire dalla scelta e dalla grandezza del font, per esempio: data la grande quantità di testo scritto che si sarebbero trovati davanti i lettori, si trattava di scegliere la soluzione ottimale anche per gli utenti mobile e ciò ha significato, nel caso specifico, usare un corpo più grande rispetto a quello utilizzato normalmente dalla testata. Grande attenzione è stata posta, poi, ai tempi di caricamento delle pagine, sia nella versione desktop che in quella mobile: la grande quantità di immagini e altri elementi multimediali, infatti, rischiavano di appesantirle ma, d’altro canto, c’era da scongiurare che una velocità di upload troppo lenta o un caricamento incompleto dissuadesse l’utente dal continuare la lettura.

Tutti piccoli accorgimenti, insomma, che dimostrano però come i tempi siano maturi per un giornalismo (anche digitale) che sperimenti nuove forme di creatività, offrendo valore aggiunto ai lettori e scoprendo in questo possibili modelli di sostenibilità.

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