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Giornalismo e informazione: le novità del 2017

Giornalismo e informazione tra social e pubblicità: le novità del 2017

Il Reuters Institute evidenzia i trend per il giornalismo del 2017. Dalla paura per le fake news agli investimenti pubblicitari: i principali.

Quello dell’informazione, si sa, è un mondo in profonda e continua trasformazione. Fare previsioni sul futuro, così, può non essere facile, soprattutto se si considera che le redazioni e gli altri soggetti che si muovono al suo interno sono ormai costretti tra interessi ed esigenze – quelli dei lettori da un lato e quelli di business dall’altro, per esempio – molto diversi e tra cui mediare. Come ogni anno, però, il Reuters Institute for the Study of Journalism ha provato ad anticipare le tendenze che caratterizzeranno il giornalismo e, più in generale, il mondo dell’informazione in questo 2017. Su una cosa sembrano non esserci dubbi: quello che è appena iniziato sarà l’anno della «paura rispetto a come i cambiamenti tecnologici impatteranno sulla qualità dell’informazione e sullo stato della democrazia».

La “paura” delle fake news e i possibili rimedi

Nell’occhio del ciclone c’è, inevitabilmente, la questione fake news. Non bastano iniziative isolate di un gruppo di editori o soggetti media, neanche se si tratta di Facebook che, più di recente, avrebbe previsto un cambio di algoritmo e degli strumenti a disposizione della community di iscritti per evitare la condivisione virale di bufale. Va considerato, infatti, che secondo Reuters a oggi buona parte dei professionisti dell’informazione (circa il 70%) sarebbe convinta che sia proprio la circolazione di notizie false e non verificate a rafforzare il potere dei social network . La partita contro post-verità e fatti alternativi, quindi, non può che giocarsi su un piano più culturale e di missione dell’informazione. Serve, in altre parole, riscoprire un giornalismo dai tempi lunghi che scappi al vincolo del real time e che sia in grado di padroneggiare tutti gli strumenti per la verifica delle fonti. Secondo le previsioni dell’istituto, un aiuto fondamentale in questo senso potrebbe venire non solo da browser ed estensioni in grado di filtrare le notizie in base a standard qualitativi, ma anche e soprattutto da bot in grado di fare fact-checking delle singole informazioni; bot e chatbot , del resto, dovrebbero trovare nel 2017 tante e svariate applicazioni, dalla pubblica amministrazione ai giornali, appunto.

Un avvertimento, comunque, sembra arrivare chiaro da Reuters: nonostante le premesse poco incoraggianti del neoeletto presidente repubblicano, quello della fake news non è solo un problema dell’America di Trump. Sono gli stessi profondi cambiamenti politici che stanno avvenendo in questi mesi a richiedere al giornalismo e a chi se ne occupa di riscoprire una missione da watch dog. I segnali e le best practice in questo senso sono già tante: il governo ceco, per esempio, ha formato un’unità speciale contro le bufale che si occupi di monitorare in special modo il web e le teorie e le cospirazioni in materia di migranti in vista dell’appuntamento elettorale del prossimo autunno; in Francia, in attesa delle elezioni, otto importanti testate nazionali tra cui Le Monde hanno chiuso una partnership con Facebook che renda più facile e partecipato il processo di verifica delle notizie.

Contenuti sponsorizzati, dirette e assistenti vocali: il lato social del giornalismo nel 2017

Non solo bufale e post-verità, comunque. Il futuro imminente del giornalismo sarà fatto anche di una crescente attenzione verso il ruolo dei social. Il 46% degli intervistati da Reuters si dice, infatti, preoccupato dal ruolo di queste piattaforme più di quanto non lo fosse lo scorso anno. Il 56% arriva a considerare, così, Messenger sempre più importante per la propria strategia di contenuti e lo stesso avviene con WhatsApp (ritenuto fondamentale dal 53% degli editori) e Snapchat (dal 49%), a dimostrazione che la messaggistica istantanea e i servizi a essa connessa rappresentano un path interessante anche per il giornalismo. Spostando l’attenzione sui contenuti, comunque, dalle previsioni dell’istituto appare chiaramente come la maggior parte dei soggetti media dipenda oggi dai contenuti distribuiti su piattaforme terze (Facebook, YouTube, ecc.). Una delle sfide più interessanti di quest’anno, così, potrà riguardare gli Instant Articles di casa Zuckerberg: fin qui, infatti, hanno promesso molto agli editori senza però rendere abbastanza. Anche la sorte delle dirette Facebook potrebbe non essere delle migliori quest’anno: la maggior parte dei soggetti media, infatti, stenta ancora a inserirle in una strategia coerente ed efficace. L’alternativa più attraente? Sembra provenire, a oggi, dal mondo dell’audio. Secondo delle indiscrezioni, infatti, Facebook per esempio potrebbe lanciare a breve una sorta di “diretta audio” disponibile per tutti gli utenti. La vera rivoluzione, però, potrebbe essere in nuovissimi voice bot applicati all’informazione. Non è un’ipotesi azzardata se si considera che, grazie al suo nuovo assistente vocale, Amazon avrebbe incrementato di nove volte rispetto al 2015 (e solo da Natale) la vendita di oggetti compatibili.

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Fonte: Reuters

Quali investimenti in pubblicità?

Le altre previsioni di Reuters riguardano poi gli incassi pubblicitari. Il 33% degli intervistati, infatti, si sarebbe detto preoccupato rispetto alla sostenibilità del proprio business più di quanto non lo fosse lo scorso anno. Il duopolio incontrastato di Facebook e Google, il calo degli investimenti pubblicitari – che sempre più, però, riguarda non solo la carta ma anche alcuni giganti del digitale come Mashable o BuzzFeed costretti a tagliare budget e organico – sono, del resto, pattern facili da immaginare. Serve trovare, allora, modelli di profittabilità diversi. C’è chi pensa alle membership, per esempio. Stando all’indagine, però, le maggiori entrate per i soggetti media nel 2017 proverranno ancora dagli abbonamenti dei lettori (47%), seguiti dalla pubblicità video o dai video sponsorizzati (45%), dai contenuti sponsorizzati (42%) e dal display advertising (40%). L’obiettivo, insomma, sembra essere convertire una massa anonima di internauti in utenti fidelizzati di cui si conoscano le abitudini e che rappresentino un target qualificato non solo sotto un profilo pubblicitario, ma anche e soprattutto per i contenuti veicolati.

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