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Global competitiveness: cos'è e qual è la situazione a livello mondiale

Global competitiveness: cos'è e qual è la situazione a livello mondiale

La global competitiveness è l'insieme delle istituzioni, delle scelte politiche e dei fattori che determinano il livello di produttività di un'economia.

La global competitiveness è, in campo politico ed economico, la capacità di poter competere a livello mondiale. È quindi un requisito essenziale per un’azienda e, in senso più esteso, per un intero paese che deve – in maniera quasi categorica – dover poter competere con il resto del mondo, cercando quanto più possibile di adeguarsi agli standard globali.

Il professor Klaus Schwab, founder del World Economic Forum, assieme al professore della Columbia University Xavier Sala-i-Martín, ha pubblicato, come ogni anno, “The Global Competitiveness Report 2017-2018“, che prende in esame (e valuta) la competitività, a livello globale, di 137 paesi. I parametri adottati sono 114, suddivisi per pilastri o categorie: istituzioni, infrastrutture, contesto macroeconomico, salute e istruzione primaria, istruzione superiore e formazione, efficienza del mercato del lavoro, efficienza del mercato dei beni, grado di sviluppo del mercato finanziario, capacità tecnologica, dimensione del mercato, “business sophistication” e innovazione .

GLI INDICI DELLA GLOBAL COMPETITIVENESS

La premessa del report sottolinea il tempismo dello studio, pubblicato in un momento in cui l’economia globale ha iniziato a mostrare i segni di una ripresa, e offre una visione ottimistica sulla crescita economica futura. Ormai istituzioni, strutture ed esperti di quasi tutto il mondo hanno acquisito negli ultimi 25 anni le competenze necessarie a garantire la competitività del proprio paese, contribuendo allo sviluppo globale. In questo contesto, il World Economic Forum ha l’obiettivo di fornire una guida, proporre soluzioni orientate al futuro e fare luce sui trade-off che i responsabili politici dovranno affrontare. Il tutto è il prodotto non solo dei professori Schwab e Sala-i-Martín ma di un’equipe di esperti del settore, accuratamente selezionati.

Secondo Schwab, poi, la crescita economica non dovrebbe essere fine a se stessa. Piuttosto dovrebbe contribuire al benessere umano, essere alla base degli interventi politici, prevedere una limitazione delle diseguaglianze ed essere definita e misurata sulla base di valori come:

  • vasta distribuzione dei guadagni economici;
  • sostenibilità ambientale;
  • equità intergenerazionale per i giovani e le future generazioni.

Entrando nel merito dell’argomento, l’elenco dei paesi più competitivi è dominato, nei primi dieci posti, dai paesi europei. In particolare, il ranking premia la Svizzera che si colloca al primo posto per la seconda volta dopo il 2016, mentre il resto dei paesi che completano la top ten è costituito da Stati Uniti, Singapore, Hong Kong e Giappone. Agli ultimi posti, invece, troviamo l’Africa sub-sahariana, con Chad, Mozambico e per ultimo lo Yemen.

Prendendo in considerazione la terminologia tecnica, viene definito competitività l’insieme delle istituzioni, delle scelte politiche e dei fattori che determinano il livello di produttività di un’economia, che a sua volta determina il livello di prosperità che l’economia stessa può raggiungere. Basandosi sull’opera originale di Klaus Schwab è stato usato, per il report, il Global Competitiveness Index (GCI) che combina le 12 categorie, organizzate a loro volta in tre sottoindici: requisiti di base, potenziatori di efficienza e fattori di innovazione e soddisfazione. Ogni sottocategoria dimostra di avere, poi, un differente peso nel calcolo finale, a seconda di fattori influenti come il PIL pro capite di un paese e la quota di esportazioni di materie prime.

Il GCI include ovviamente dati statistici di una certa rilevanza e livello internazionale, ricavati da organizzazioni riconosciute come il Fondo monetario internazionale (FMI), la Banca Mondiale, l’International Telecommunication Union (ITU), l’UNESCO e la World Health Organization (WHO).

LA POSIZIONE E IL RANKING ITALIANI

L’Italia si colloca al 43° posto, dopo Lituania e Portogallo e un gradino più su del Bahrain. Esattamente come per tutti i paesi presi in esame, anche il Bel Paese è stato analizzato attraverso l’impiego degli specifici indici e sottoindici. È emerso che per il “Basic requirements” (istituzioni, infrastrutture, contesto macroeconomico, salute e istruzione primaria) l’Italia ha ottenuto il 51° posto; per l’“Efficiency enhancers” (istruzione superiore e formazione, efficienza del mercato del lavoro, efficienza del mercato dei beni, grado di sviluppo del mercato finanziario, capacità tecnologica, dimensione del mercato) il 43° posto; per l’“Innovation and sophistication factors” (“business sophistication” e innovazione) il 28° posto.

Quali sono, però, i fattori più a rischio per l’economia italiana secondo la ricerca? Ai primi posti troviamo una burocrazia poco adeguata e una pubblica amministrazione inefficiente (17.6), aliquote fiscali (17.3) e una regolamentazione del lavoro restrittiva (11.0).

Le altre voci riguardano poi anche gli accessi ai finanziamenti, la stabilità politica, la corruzione, la criminalità e la salute pubblica. Fattori che penalizzano comunque un paese che, preso nelle sue singole variabili, finisce per collocarsi positivamente nelle “technological readiness”: l’Italia viene infatti valutata 8° a livello mondiale e 4° a livello europeo, subito dopo Regno Unito, Germania e Francia.

Di contro, però, riguardo all’efficienza del mercato del lavoro e allo sviluppo dei mercati finanziari l’Italia si colloca persino al di sotto della media europea e del Nord-America.

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