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Brand extension

Definizione di Brand extension

Brand extension: cos'è e quali sono i vantaggi di questa strategia? La Brand extension consiste nell'utilizzo di un brand già consolidato per lanciare un nuovo prodotto appartenente a un'altra categoria o un prodotto simile con caratteristiche diverse, allo scopo di facilitarne l'accettazione da parte dei consumatori.

Cos’è la brand extension

Quando si parla di  brand extension si intende dire che «un’azienda riprende una marca già esistente per introdurre un nuovo prodotto» sul mercato, come spiegato da Philip Kotler e Kevin L. Keller nel libro “Marketing Management”. Si tratta di espandere il marchio a un settore di mercato diverso da quello in cui la cosiddetta “marca madre” ha costruito la propria reputazione nel tempo, rendendo possibile l’aumento del proprio range di clienti e/o la soddisfazione di altri bisogni di clienti già fidelizzati.

Vantaggi, tipologie ed esempi di brand extension

Si stima che buona parte dei nuovi prodotti o beni di consumo immessi sul mercato provenga da strategie di brand extension, come spiegano Berry e Ogiba nell’articolo “It’s your boss (why new products fail)”. La brand extention (estensione di marca in italiano, ndr) consente di trasferire la notorietà e la visibilità di un determinato brand ad un nuovo prodotto (il prodotto di estensione).

Ovviamente questa strategia consente di ridurre i rischi associati al lancio di un nuovo prodotto. A titolo esemplificativo si pensi al brand Nivea, nato nel 1911 in Germania come crema cosmetica per la pelle ma che negli anni, una volta consolidato nel mercato, ha esteso lo stesso brand a tanti altri prodotti diversi: protezione solare, deodoranti, shampoo, fino alla creazione di un’ampia gamma di prodotti per uomo come il dopobarba. La grande varietà di prodotti creati e lanciati attraverso la strategia di brand extension messa in atto ha dato origine ad una grande family brand o marca della famiglia di prodotto.

A sinistra uno dei primi packaging di crema Nivea nei primi anni di lancio del prodotto; a destra il risultato di una strategia di brand extension per lanciare diversi prodotti di bellezza. Fonte: Nivea

Questa strategia consente alle aziende di risparmiare grandi investimenti che sarebbero necessari per la promozione di un nuovo brand, ma anche di proporre ai consumatori una soluzione complementare di prodotto  consentendo l’abbinamento di vari prodotti dello stesso brand – in risposta ad ulteriori esigenze del medesimo target , cosa che può costituire un punto di forza e aumentare il vantaggio competitivo.

È possibile, comunque, distinguere due grandi categorie di brand extension:

  • estensione di linea;
  • estensione di categoria.

La prima riguarda l’utilizzo di un brand per lanciare un nuovo prodotto appartenente alla stessa categoria della marca madre e di solito porta all’introduzione di un prodotto simile ma con caratteristiche diverse quali colore, forma o sapore; la seconda riguarda invece l’utilizzo della marca madre per lanciare un prodotto appartenente ad una categoria diversa. Come spiega Mario Siglioccolo nel libro “Corporate communication managementAccrescere la reputazione per attrarre risorse”, nel primo caso «la marca è associata ad una nuova variante di prodotto, in modo da arricchire l’assortimento offerto in profondità» e rivolgendosi naturalmente a un target diverso. Nel caso dell’estensione di categoria, invece, si cerca di «soddisfare dei bisogni complementari per lo stesso segmento target di clienti della marca di origine».

L’espressione ‘brand extension‘ è stata coniata da Edward M. Tauber, professore di marketing e fondatore di Brand Extension Research, azienda che dal 1981 si occupa dello sviluppo di questo tipo di strategia. Come è possibile leggere anche sul sito aziendale (in una lista aggiornata rispetto a quella pubblicata nel 1988 sul Journal of Advertising Research), l’esperto, entrando nel dettaglio di questa analisi, ha individuato dieci differenti tipologie di brand extension, utili per comprendere in che modo implementare la propria strategia.

  1. Prodotti simili con forma diversa rispetto a quelli della marca madre. Si pensi, per esempio, a un’azienda che produce barrette di cioccolato e che decide di lanciare sul mercato la versione gelato da mangiare con il cucchiaio del prodotto.
  2. Sapore/odore/componente/ingrediente distintivo che il brand “possiede” o che in qualche modo lo identifica e che viene implementato in un nuovo prodotto. Un brand che vende burro di arachidi potrebbe pensare di creare un gelato che abbia questo sapore.
  3. Attributo o beneficio distintivo, associato alla marca madre, viene implementato in un nuovo prodotto. Avviene quando una marca di deodoranti conosciuta per la formula “rinfrescante” o “elimina odori” crea un nuovo prodotto per profumare la casa, dunque con lo stesso beneficio ma per ambienti.
  4. Competenza distintiva legata al brand e trasferita ad un nuovo prodotto.
    Si ha quando un brand noto per essere specializzato nella produzione di dolci fatti al forno, per esempio, lancia sul mercato altri prodotti fatti al forno, come il pane.
  5. Prodotti complementari. Un esempio è un brand di dentifricio che decide di lanciare anche altri prodotti utili all’igiene orale come spazzolini o collutorio.
    A volte una marca utilizza il proprio prodotto per lanciarne anche altri “più elaborati”: se vende confezioni di pepite di cioccolato, potrebbe decidere di lanciare cookies con quelle stesse pepite.
  6. Prodotti rivolti alla stessa base di clienti. Anche se sempre meno utilizzati, si tratta per esempio dei cosiddetti “traveler’s cheque” o “assegni turistici” che Visa ha lanciato pensando ai propri clienti in possesso di carte di credito.
  7. Prodotti che veicolano un particolare status/stile di vita/immagine. Si pensi al noto designer Pierre Cardin che ha deciso di lanciare prodotti molto diversi dall’abbigliamento, come articoli per la camera da letto, consentendo ai consumatori di adottare un determinato stile di vita associato al brand anche nel quotidiano, in maniera più generica.
  8. Prodotti che veicolano la competenza di una celebrità/esperto. Ci sono dei famosi o degli esperti rinomati in un dato settore noti per le relative competenze in quell’ambito. Spesso vengono creati dei prodotti proprio col nome (brand) dello specifico individuo consentendo, come accade per i testimonial , di fare leva sulla fiducia che i consumatori hanno nell’opinione o nelle scelte di quell’esperto.
  9. Prodotti che veicolano lo status/stile di vita/immagine di una celebrità. Ci sono molti personaggi famosi (attori, cantanti o atleti, per esempio) che danno il proprio nome (brand) creando, nella mente dei consumatori, un’associazione tra il bene in questione e lo stile di vita delle celebrità. Edward Tauber riporta l’esempio di Paris Hilton, modella ed ereditiera del fondatore della catena di hotel di lusso Hilton, Conrad Hilton, che ha lanciato diversi prodotti col proprio nome, come profumi e prodotti di bellezza.
  10. Cambiamenti nella percezione del brand e che permettono la creazione di nuove brand extension. Un esempio interessante di questa tipologia riguarda la marca Vaseline, tradizionalmente associata soltanto alla vaselina. Con l’aggiunta dell’espressione «intensive care» al nome Vaseline, il brand è riuscito a cambiare la percezione della marca, associando i nuovi prodotti (una linea di creme) alla riparazione intensiva della pelle e non necessariamente ad un prodotto essenzialmente grasso.

Il trasferimento dei benefici intangibili associati a una marca al nuovo prodotto rappresenta uno dei grandi vantaggi della brand extension. Parliamo, dunque, non solo di associazioni relative alla qualità dei prodotti ma anche allo status socio-economico ad essi legato, così come a concetti quali sostenibilità ambientale, attenzione alla salute, rispetto per i consumatori e per i propri dipendenti.

Prodotto di estensione: come viene percepito? Possibili svantaggi, consigli e avvertenze

Prima di adottare una strategia di estensione della marca bisognerebbe chiedersi innanzitutto in che modo i consumatori potrebbero percepire il prodotto di estensione e cosa potrebbe condizionare il loro giudizio. Possiamo partire dal concetto di coerenza, che deve essere alla base di ogni progetto di brand extension: è essenziale che il nuovo prodotto rispecchi la mission e i valori del brand, ma ciò non basta.

Questa strategia di marketing, se implementata in modo adeguato, consente di sfruttare le potenzialità del cosiddetto halo effect (o effetto alone), distorsione cognitiva per cui la valutazione di una o più caratteristiche di un individuo o oggetto viene condizionata dalla percezione di altre caratteristiche degli stessi. Parlando di brand, i consumatori avranno delle aspettative più alte nei confronti di un nuovo prodotto lanciato da un brand noto, ben consolidato nel mercato e con un’immagine globale positiva: è molto probabile, infatti, che i consumatori giudichino il nuovo prodotto sulla base della qualità percepita dagli altri prodotti del brand, trasferendola al prodotto di estensione.

Questo effetto non fa altro che potenziare i benefici associati a prodotti di effettiva qualità, ma nel caso di aspettative non soddisfatte la delusione può avere, per contro, effetti molto negativi sull’immagine globale del brand. È in parte questo meccanismo che porta ad associare e ad attribuire il beneficio distintivo di un determinato prodotto ad uno nuovo che può appartenere ad una categoria ben diversa solo perché è stato lanciato dallo stesso brand.

Non va sottovalutato, dunque, il rischio di una diminuzione del valore di marca come conseguenza di diversi fattori: per esempio se la strategia adottata porta il brand ad allontanarsi troppo dal proprio core business, è possibile che i consumatori percepiscano una certa incoerenza nell’immagine della marca madre come conseguenza del mancato legame tra i prodotti commercializzati originariamente e il prodotto di estensione, cosa che può danneggiare gravemente la reputazione del brand. La dimensione di questo eventuale danno alla marca madre può variare molto a seconda della marca e della scelta di estensione. Come evidenziato dallo studio condotto da Yi Sheng Goh et al., più i consumatori hanno familiarità con un brand, più consolidate sono le associazioni legate a quest’ultimo e, di conseguenza, maggiore sarà l’impatto negativo di una estensione di marca incoerente o contrastante con i valori del brand. All’interno del libro “Marketing Management, però, gli autori precisano che «il fallimento di un’estensione nuoce alla marca madre solo se fra i due prodotti c’è una forte analogia».

Va detto, poi, che anche il  prezzo del prodotto di estensione può condizionare il modo in cui la marca madre viene percepita: nel caso di una marca premium o di lusso (nota, per esempio, per la qualità dei propri prodotti), l’introduzione di un prodotto molto più economico rispetto ai prezzi normalmente fissati dal brand può portare a problemi di credibilità, poiché i consumatori potrebbero associare a un costo più basso dei prodotti una minore qualità, con le relative ripercussioni sull’immagine globale del brand. In aggiunta, gli amanti del luxury tendono spesso ad acquistare questi prodotti per lo status socio-economico ad essi legato e quindi l’associazione del brand a prodotti più accessibili potrebbe mettere in discussione la caratteristica distintiva del brand.

Un altro possibile rischio associato all’estensione di marca riguarda l’eventuale cannibalizzazione delle vendite del prodotto originario. Questo fenomeno nel marketing riguarda la diminuzione delle vendite di un dato prodotto come conseguenza dell’introduzione di un nuovo prodotto da parte dello stesso brand sul mercato. È opportuno sottolineare, però, che la cannibalizzazione nel marketing non ha necessariamente un impatto negativo sul brand: se pianificato in maniera strategica, questo fenomeno può anche contribuire alla crescita complessiva delle vendite del brand, come spiegato da Agostino Vollero e Alfonso Siano nel libro sul corporate communication management sopracitato. A questo proposito, gli autori portano l’esempio di una “cannibalizzazione volontaria“, promossa dal brand Gillette, che ha spinto i consumatori a privilegiare la scelta di un nuovo tipo di rasoio, più sofisticato rispetto al classico “usa e getta” che, non a caso, veniva messo a confronto con una versione migliorata del prodotto, in quella che si è tramutata in una vera e propria sfida tra “Gillette Fusion Proglide” e “Gillette Blue II” usa e getta. Come spiegano gli autori, in questo caso il marchio ha promosso una «forma di cannibalizzazione preventiva» per evitare che i consumatori iniziassero ad acquistare prodotti migliorati lanciati da competitor .

Gillette Fusion ProGlide sfida un Rasoio Usa e Getta
Gillette Fusion ProGlide sfida un Rasoio Usa e Getta

Anche nel settore del marketing si può imparare dagli errori commessi e quindi il fallimento di un brand di estensione non implica necessariamente un danno fatale per la marca madre. Si pensi, per esempio, a noti brand come Frito-Lay e Colgate che, nonostante i brevi episodi di insuccesso, rimangono ancora oggi marchi di grande notorietà nei diversi settori di appartenenza.

Il primo esempio è quello dell’estensione di Frito-Lay, brand statunitense noto per gli snack salati come patatine fritte, alla vendita di limonata; il secondo invece riguarda il lancio di pasti precotti del marchio di dentifricio Colgate. Partendo da questi due casi, è possibile fare un’ulteriore riflessione: l’implementazione di una strategia di brand extension comporta dei rischi in qualsiasi settore o categoria di prodotto, tuttavia nel caso dell’estensione di marchi consolidati nel settore del food&wine l’analisi dei rischi risulta particolarmente sensibile. L’esempio lampate è l’effetto provocato dall’immagine di un pasto servito da Colgate: inevitabilmente si ha una percezione di contrasto tra una pietanza a base di verdure (con il relativo gusto) e il ricordo del sapore di dentifricio. Lo stesso avviene con il marchio Frito-Lay: nonostante sembri ovvio che la limonata abbia il gusto di limone, l’idea di creare un prodotto dissetante complementare al consumo degli snack si è rivelata controproducente poiché la rappresentazione di una bibita salata o al gusto di patatine fritte colpisce la mente dei consumatori in maniera quasi istantanea.

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