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Newsworthiness

Definizione di Newsworthiness

newsworthiness Con Newsworthiness si intende la capacità di un evento, di un’azione o più genericamente di un fatto di trasformarsi in notizia, ossia di attrarre spontaneamente l’attenzione dei media.

La parola italiana corrispondente, “notiziabilità“, riesce forse a rendere meglio l’idea alludendo direttamente al maggiore appeal che certi fatti-notizia hanno per le redazioni e per chiunque si occupi di newsmaking o lavoro di desk. La notiziabilià, come intesa da numerosi studiosi, è insomma «l’attitudine di un evento a essere trasformato in notizia» (M. Wolf, “Teorie delle comunicazioni di massa“, 2001).

I criteri di notiziabilità alla prova dell’informazione digitale

Il giornalismo classico ha formalizzato nel tempo dei precisi criteri di notiziabilità: sono criteri che hanno a che vedere con la natura dell’evento in questione, con gli interessi collettivi messi in gioco, ma anche inevitabilmente con considerazioni più strettamente legate alla routine del lavoro giornalistico, con le necessità del desk di una redazione e, ancora, con il modello di business, nonché con la linea editoriale adottati dalla testata o dall’emittente in questione. Va tenuto conto, però, che l’informazione digitale ha in parte rivoluzionato la “vecchia” idea di newsworthiness, in parte identificato criteri di notiziabilità nuovi e ad hoc: basti pensare, e l’esempio è dei più semplici, all’importanza assunta dalle cosiddette breaking news in un modello informativo che predilige all’approfondimento il tempo reale e la copertura in diretta dei fatti-notizia. Se un tempo insomma fare selezione tra le (tante) notizie che arrivavano in redazione serviva a rispettare la fogliazione standard del quotidiano o il preciso minutaggio del telegiornale, oggi la newsworthiness ha meno a che vedere con delle questioni di spazio e più a che vedere con questioni strategiche e di organizzazione del lavoro giornalistico. Una versione tutta sui generis di information overload è vissuta, infatti, anche da chi in redazione si occupa di selezione delle fonti: dai comunicati stampa e gli studi di settore alle operazioni di newsjacking dei brand , solo per fare qualche esempio, innumerevoli sono i fatti-notizia che si presentano ogni giorno all’attenzione del giornalista; non tutti però si trasformano in notizie vere e proprie perché non è detto che abbiano le caratteristiche per farlo o che siano reputati realmente di interesse per i propri lettori o, ancora, che si adattino ai tempi e alle prassi di lavoro delle singole redazioni. Quasi paradossalmente, insomma, gli stessi criteri di selezione delle notizie rischiano di dar adito a bias del giornalismo come un fact checking inesistente o inconsistente, tematizzazione , spettacolarizzazione, sensazionalismo e via di questo passo.

Dai valori-notizia alla newsworthiness

Per tornare comunque alla concezione “classica” di newsworthiness, essa è strettamente collegata ai cosiddetti valori-notizia (A. Papuzzi, “Professione giornalista. Le tecniche, i media, le regole“, 1998), ossia a quelle caratteristiche che ha un evento e che lo rendono degno di attenzione da parte dei media. Come già si accennava, nel valutare la notiziabilità di un fatto o di un evento le redazioni tengono conto di fattori diversi che non hanno a che vedere esclusivamente con il contenuto della notizia in sé, ma anche – e inevitabilmente, verrebbe da aggiungere in considerazione soprattutto della competitività attuale dell’infosfera – con la natura del proprio prodotto editoriale e il proprio canale privilegiato, con il target di riferimento, con l’osservazione e l’analisi di quel che fanno i competitor .

I criteri di notiziabilità basati sul contenuto della notizia

Partendo dalla natura del fatto-notizia, esso risulta tanto più notiziabile quanto più è di grandi dimensioni, ha effetti concreti e di lungo termine sulla vita associata, coinvolge personaggi pubblici o è in grado di suscitare l’interesse pubblico. In letteratura per spiegare meglio ciascuno di questi criteri di notiziabilità si sono sedimentati nel tempo diversi esempi di immediata comprensione e piuttosto didascalici (forse a tratti fin troppo didascalici e che non tengono conto della complessità che spesso è data in analisi al giornalismo, ndr). Se un accadimento di grandi dimensioni è naturalmente “newsworhty“, ossia naturalmente notiziabile e degno di attenzione da parte dei media, sarebbe presto spiegato per esempio perché il giornalismo ama i disastri o gli eventi tragici, siano essi naturali o causati dall’uomo, che coinvolgono un gran numero di persone, in omaggio al mantra “bad news are good news“. Spesso però il numero di persone coinvolte in un fatto-notizia va contemperato con il criterio della vicinanza: fanno di certo più notizia, cioè, i casi confermati di coronavirus in Italia che gli oltre 50mila in Cina (al 17 febbraio 2020, ndr), se si vuole adattare alla cronaca più recente la cosiddetta legge di McLurg sulla rilevanza percepita degli eventi a seconda della loro prossimità al lettore. La stessa vicinanza non è da intendersi solo in maniera geografica e quantitativa: non di rado il giornalismo segue notizie che riguardano altri paesi, non solo per riempire la sezione “esteri”, ma anche e soprattutto per gli effetti concreti sulla vita di tutti i giorni e sugli sviluppi futuri del paese che queste possono avere. Il criterio della vicinanza, intesa in senso lato, può diventare un criterio non solo di selezione delle notizie, ma anche di gerarchizzazione tra di esse: questo fattore emerse già durante la Guerra Fredda (H. J. Gans, “Deciding What’s News: A Study of CBS Evening News, NBC Nightly News, Newsweek and Time 25th Anniversary Edition“, 1979), quando testate ed emittenti americane sembravano dare spazio soprattutto alle notizie provenienti dai paesi più importanti della Nato prima e ai paesi meno rilevanti poi, per lasciare solo spazio davvero residuale al mondo sovietico e ai paesi del Patto di Varsavia. Il risvolto della medaglia, spesso denunciato da attivisti ed esperti di politica estera, è alimentare quella spirale del silenzio che già grava su paesi piccoli, magari con governi autoritari o non ben posizionati nello scacchiere internazionale delle diplomazie. Il valore-notizia della pubblicità dei personaggi coinvolti spiega tanto l’attenzione spasmodica verso il leader politico di turno – di cui la comunicazione politica si è certo accorta, favorendo come fa ormai da tempo meccanismi di personalizzazione – e tanto la fiorente industria del gossip per esempio.

Quando la notiziabilità di un evento è assicurata dalla sua capacità di suscitare interesse umano

Spesso il giornalismo è accusato proprio per questo di voyeurismo: qualsiasi giudizio “apocalittico”, però, va rapportato all’idea dell’impresa giornalista – quale che sia, poi, la forma del suo prodotto finale – come un’impresa appunto, che ha necessità di fare profitto e di badare alla sua sostenibilità nel tempo . Il giornale – o il telegiornale, il GR, il sito di news, ecc. – deve necessariamente essere, cioè, un prodotto customer-oriented e, a monte, questo si traduce in criteri di selezione che, nello stabilire la newsworthiness di una notizia, non possono non tenere conto del suo interesse presso il pubblico. In certe circostanze questo vuol dire rimpolpare soprattutto la famosa colonna destra delle testate online con notizie curiose e insolite – per tornare alle famose metafore ormai classiche per il giornalismo, quella dell’uomo che morde il cane – o preferire quegli altrettanto famosi articoli di alleggerimento che hanno contribuito alla settimanalizzazione dei giornali italiani, diventati tabloid non solo nei formati ma anche e soprattutto nel modo di trattare le notizie. È nella cronaca nera soprattutto che un valore-notizia come lo human interest rischia di dar adito a una spettacolarizzazione eccessiva degli eventi e dei loro protagonisti, da tempo ormai nota come “pornografia del dolore”: c’è un discrimine piuttosto sottile, infatti, tra la necessaria copertura di questo tipo di notizie e l’indugiare sui loro particolari più efferati, più “di sangue” per tenere incollati gli spettatori, nutrire il loro bisogno di individuare un carnefice o persino distoglierne l’attenzione in una perfetta operazione di perception management .

Conoscenza del proprio target e coerenza del progetto editoriale: così incidono sulla newsworthiness

Per ogni giornale, comunque, misurare la newsworthiness di un fatto-notizia tenendo conto dell’interesse del proprio pubblico per quello stesso fatto-notizia è altamente strategico. Per i quotidiani-agenda (A. Agostini, “Giornalismi. Media e giornalisti in Italia“, 2012) all’italiana, per esempio, è un modo come un altro per proporre a un pubblico dall’orientamento politico ben definito una selezione di notizie che tenga conto degli accadimenti di giornata, ma provi anche a influenzarli, facendo in gergo agenda building. Più in generale, se troppa concorrenza sfida anche quelli editoriali a trasformarsi in love brand , costruire delle personas dei propri lettori tipo è un punto di partenza per vendersi a loro e fidelizzarli.

Il target di lettori del proprio giornale non è però il solo valore-notizia che riguarda più direttamente il prodotto editoriale. Va da sé che anche la linea editoriale stabilita conta nel decidere se e in che misura un fatto diventerà notizia. C’è chi ha usato l’espressione «ideologia della notizia» (U. Eco et al., “Informazione: consenso e dissenso“, 1979) per riassumere, però, una serie di considerazioni legate tanto alla linea editoriale quanto alla qualità immaginata del proprio prodotto d’informazione per esempio, che dovrebbe portare a preferire fonti verificate, di primo grado, ritenute affidabili. Più pragmaticamente, chi fa un lavoro di desk fa spesso attenzione a un certo bilanciamento del prodotto editoriale: da qui per esempio le diverse sezioni di un telegiornale, annunciate dall’apposito titolo e messe in sequenza secondo un criterio di rilevanza appunto. Criterio opposto di notiziabilità è quello che prova a individuare un certo tema cardine di giornata attorno a cui organizzare tutta la fogliazione del giornale, tema che possa risultare trasversale alle diverse sezioni e alle diverse rubriche: una simile impostazione spesso facilita il processo selettivo ma è riservata solo a questioni di straordinaria importanza o di spiccato interesse pubblico, con ogni probabilità perché risulta piuttosto a rischio manipolazione. Anche quello della novità diventa un valore-notizia se riferito al prodotto editoriale nel suo complesso: è più probabile, cioè, che siano selezionate come tali notizie mai affrontate prima dalla testata o dall’emittente in questione, anche se la necessità di fidelizzare gli utenti ha importato ormai da tempo anche nel giornalismo meccanismi di serializzazione e spinto, cioè, alcune realtà editoriali a seguire l’evolversi nel tempo di casi di cronaca o casi giudiziari per esempio e più in generale a preferire le cosiddette developing news.

Formati adatti ai diversi canali aumentano la notiziabilità di un evento

Spesso è anche il canale con cui si dà la notizia a determinare la maggiore o minore notiziabilità – o la maggiore o minore newsworthiness – di un fatto-notizia. Tra pezzi da chiudere in sempre meno tempo e tagli all’organico che costringono a rinunciare a figure altamente specialistiche, come quella del videomaker per esempio, non c’è da stupirsi che nella routine delle redazioni si preferiscano notizie già pronte nel proprio apparato multimediale o in un formato che è anche quello più fruibile per il proprio canale di riferimento. Molto più pragmaticamente, cioè, è improbabile che un fatto-notizia di cui non esistano immagini o non se ne possano recuperare di repertorio diventi un servizio da telegiornale. Anche la frequenza con cui si ripete un certo avvenimento può renderlo notiziabile più di altri avvenimenti spot, che avvengono una sola volta, sono fini a se stessi: si pensi a come radio, canali all news, agenzie di stampa e oggi anche siti web d’informazione amino seguire in particolar modo quelle notizie in continuo farsi, di cui esistono continui aggiornamenti.

La notiziabilità di un fatto-notizia dipende da come ne stanno parlando i competitor?

Se e come i giornali concorrenti hanno già trattato la notizia, infine, è un criterio sfruttato da molte redazioni per stabilire la notiziabilità di un evento, di un accadimento, di un fatto. I due estremi entro cui ci si muove per valutare la newsworthiness di un fatto in questo caso sono l’aver in mano uno scoop e la necessità di evitare un buco: nel gergo delle redazioni sono due termini che indicano, rispettivamente, l’essere in possesso di una notizia esclusiva e che non è ancora stata pubblicata da alcun competitor e, al contrario, l’assenza di copertura di un fatto-notizia che gli altri concorrenti stanno già trattando. Il risultati di una strategia “di imitazione” di questo tipo è la quasi totale indifferenza oggi delle prime pagine dei giornali generalisti, dei titoli e lanci dei principali TG, persino della serp dei motori di ricerca quando si cercano notizie rispetto a un determinato argomento.

Se la newsworthiness rischia di alimentare i bias del giornalismo

Come già si accennava, comunque, criteri di notiziabilità e valori-notizia non vengono sfruttati solo per la selezione delle fonti, ma sono seguiti anche nella costruzione del pezzo, lasciando in apertura per esempio quegli aspetti di un fatto-notizia che potrebbero farlo risultare più interessante agli occhi del lettore di un giornale o dello spettatore di un TG perché di grandi dimensioni, perché riguarda un gran numero di persone o persone famose e personaggi in vista e, ancora, perché in grado di giocare soprattutto sulla leva delle emozioni.

Sia quando utilizzati in una fase anteriore del lavoro giornalistico, quella di desk e che ha a che vedere col newsmaking, sia quando sfruttati per la costruzione dei singoli pezzi, i criteri di notiziabilità rischiano però di alimentare, e anche di questo si è già detto, alcuni bias tipici dell’informazione giornalistica. La copertura spasmodica di fatti che riguardano personaggi o situazioni particolarmente noti rischia di creare una sorta di spirale del silenzio su chi si trova all’estremo opposto di un immaginario asse di notorietà. L’indisponibilità di materiale di prima mano o già confezionato è costata in passato la copertura confusionaria di alcuni conflitti, come quelli nel MENA per esempio. Al contrario, invece, la presenza sul posto di corrispondenti o inviati “vip” e particolarmente amati da lettori e telespettatori potrebbe spingere a dare più rilevanza del dovuto a un certi fatti-notizia. Ancora, ci sono frame che sembrano piacere alle redazioni – ma sarebbe più corretto dire a lettori, spettatori e utenti – più di altri e che garantiscono, per questo, sicura notiziabilità agli eventi che li rispettino: tra queste cornici c’è, per esempio, quella del delitto di sangue avvenuto all’interno di rapporti familiari conflittuali. Ancora, la polarizzazione perfetta e la possibilità per il destinatario di riconoscere – e  di riconoscersi in – buoni e cattivi, protagonisti e antagonisti secondo categorie narrative ben precise, aumenta la newsworthiness di un evento, pur rischiando di semplificarlo eccessivamente.

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