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Word of mouth

Significato di Word of mouth

Passaparola o word-of-mouth: come usarli nel marketing Il passaparola, quando si parla di marketing, può far riferimento sia a clienti e consumatori che spontaneamente descrivono prodotti e servizi di un’azienda ad altri potenziali clienti utilizzando mezzi e canali diversi, sia a delle vere e proprie strategie di word-of-mouth marketing.

word of mouth (WOM): cos’è

In entrambi i casi c’è di mezzo l’idea di buzz marketing, ovvero il ruolo attivo che hanno consumatori e clienti nell’aumentare la visibilità – e la brand awareness, quindi – di una certa marca e del suo catalogo. La principale differenza tra il semplice passaparola e un vero e proprio marketing del word-of-mouth (o WOMM) sta, invece, nel buzz spontaneo nel primo caso e nel buzz al contrario eterodiretto, e cioè incentivato dall’azienda o dal brand in questione, nel secondo.

TRE MODELLI DI WORD OF MOUTH

Per semplicità, così, soprattutto la letteratura anglofona ha individuato nel tempo tre modelli diversi di passaparola applicati al marketing.

  • Il cosiddetto organic inter-consumer influence model: come suggerisce la stessa espressione, si tratta di un passaparola tra i consumatori genuino, spontaneo, non pianificato dall’azienda. È il tipico passaparola dei consigli di amici e conoscenti che hanno già provato un prodotto o servizio e ne conoscono di prima mano pro e contro e che ha il suo corrispettivo in Rete nelle recensioni, nei forum tematici, nelle discussioni spontanee che negli ambienti digitali coinvolgono le aziende e i loro prodotti senza, ovviamente, che queste facciano niente per indirizzarle — a guardarle bene tutte forme di eWOM.
  • Il linear marketer influence model nasce più tardi, quando le aziende si accorgono che ci sono dei consumatori influenti, più propensi di altri a iniziare conversazioni che abbiano per protagonisti le aziende e i loro prodotti e il cui parere viene preso più spesso in considerazione da parte degli altri utenti o consumatori. Si tratta di un passo avanti verso un vero e proprio marketing del word-of-mouth, soprattutto se si considera che le aziende cominciano presto a investire affinché questi consumatori influenti abbiano le giuste informazioni da condividere con il resto degli utenti. A ben guardare, persino una forma ante litteram di influencer marketing.
  • Il network coprodution model, infine, prevede un diretto coinvolgimento dell’azienda nel costruire e indirizzare il passaparola. Ciò può avvenire in diversi modi: selezionando, ancora una volta, dei consumatori più influenti degli altri e inviando loro dei campioni gratuiti in modo che possano provarli e descriverne poi funzionalità e vantaggi agli altri utenti, per esempio, o con un approccio letteralmente ingegneristico che include il monitoraggio delle conversazioni online e la capacità di orientarle.

Come funziona il passaparola

È soprattutto il passaparola spontaneo, però, che ha da sempre incuriosito gli studiosi e li ha portati a chiedersi cosa spinga le persone a voler parlare di un brand, fino a farsene, in qualche caso, addirittura ambasciatori. Come dimostra uno dei primi e più antichi esempi di passaparola, del resto, il word-of-mouth funziona sempre e indipendentemente dal campo di applicazione: studiando come avveniva l’adozione di una nuova soluzione farmaceutica, infatti, negli anni Settanta ci si accorse per esempio che uno o due medici che avevano avuto buone esperienze con un farmaco erano in grado di influenzare anche un intero gruppo di scettici, fino a far cambiare idea addirittura a chi aveva già avuto delle esperienze negative con lo stesso farmaco. Per voler utilizzare un acronimo, alla base del successo del passaparola ci sarebbero gli STEPPS: ossia più un oggetto, un servizio, un brand rappresentano una valuta sociale e di accettazione sociale (social currency), hanno degli elementi facilmente distinguibili (trigger), giocano sulle emozioni, sono di pubblico dominio, hanno un valore pratico (pratical value) e raccontano delle storie, più è probabile che chi li abbia già provati li consigli agli altri, alimentando un passaparola buono e proficuo per il soggetto in questione.

Non c’è e non ci può essere, del resto, una vera e propria scienza del passaparola. Chi ha provato, però, a realizzare delle campagne di word-of-mouth marketing (WOMM) ha individuato delle discriminanti non indifferenti sul loro successo. Va da sé infatti che, anche quando sia prevista una qualche forma di retribuzione, se l’utente accetta di parlare – o, meglio, di parlare bene – di un brand non può mancare mai una certa componente volontaria: se si considera, infatti, che in tutto quello che si fa online c’è la ricerca di credibilità, affiliazione, addirittura leadership in qualche caso, è impossibile pensare che ci si faccia portavoce di un brand per mero guadagno economico. Spesso è la possibilità di essere associati e poter rappresentare un brand ben noto e con una lunga storia alle spalle o percepito come di qualità a convincere al passaparola. In qualche altra occasione poter consigliare un brand, e il fatto sottointeso di averlo utilizzato, rappresentano uno status symbol che, un po’ persino per narcisismo, si ha voglia di condividere con gli altri. Anche se si è stati particolarmente soddisfatti di un prodotto, un servizio o dell’esperienza di brand si tende spontaneamente a partecipare al buzz. Nella maggior parte dei casi, però, il passaparola è alimentato da scopi utili: nel concreto, cioè, si è più propensi a parlare di un brand o di un prodotto quando si è certi che i propri consigli possano aiutare altri consumatori, quando il settore di riferimento abbonda di alternative e scegliere non è semplice o quando la propria conoscenza tecnica e specifica di un argomento può far comodo a utenti con meno expertise e, ancora, quando c’è un rischio percepito in un uso scorretto del prodotto o in comunicazioni da parte del brand non in tutto e per tutto veritiere. In questo senso, il wom marketing (marketing del passaparola) rientra nella prospettiva, più vasta, di un marketing collaborativo in cui, semplificando, tanto l’azienda quanto i suoi clienti finali sono coinvolti nelle costruzioni di senso.

word of mouth e Passaparola : vantaggi e svantaggi

Ci sono, ovviamente, pro e contro nell’utilizzare il passaparola – spontaneo o meno –all’interno della propria strategia di marketing. Uno dei primi vantaggi è che dire word-of-mouth, quasi sempre, significa dire visibilità a costo zero (o quasi) per l’azienda e i suoi prodotti. Le persone che parlano, spontaneamente, del proprio catalogo infatti non fanno che aumentare la reach e l’esposizione ai messaggi di brand. Anche quando sia previsto un investimento iniziale, come nelle campagne di WOMM, il ritorno è considerevole, tanto più se si considera che le informazioni ricavate dal passaparola tendono a essere percepite come più spontanee e credibili e che il word-of-mouth riesce a vincere quella naturale resistenza – oggi sempre più nella forma anche di mancanza di attenzione – ai messaggi pubblicitari. Ci sono, per di più, dati come quelli di McKinsey secondo cui il WOM è uno dei fattori di influenza più forti, soprattutto nei mercati ancora in via di sviluppo, a tutti gli stadi del customer journey incluso il momento dell’acquisto.

Non si possono negare, comunque, anche i rischi del passaparola. Soprattutto se spontaneo, questi hanno a che vedere ovviamente con la natura dei contenuti e dei messaggi che si propagano a macchia d’olio: infatti, potrebbero essere negativi e avere impatto altrettanto negativo sulla reputazione aziendale. Per questa ragione, anche quando non si voglia investire in word of the mouth marketing è bene usare tool di brand monitoring online per esempio che permettano di avere sempre il controllo delle conversazioni che riguardano il proprio brand e del loro tenore, del sentiment, ecc. In qualche caso, poi, anche un buzz neutro nei contenuti può rivelarsi dannoso per il brand. Si pensi alle firm del lusso, per esempio, che hanno fatto del principio di scarsità uno dei propri punti cardine: molto passaparola significa un aumento della domanda che potrebbe portare il prodotto a essere percepito come meno esclusivo, con effetti a valanga anche sul valore percepito e sulla disponibilità a pagare.

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