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Grooming

Significato di Grooming

Grooming definizione Per Grooming o, meglio, online child grooming si intende l’adescamento di minori online. Ambienti digitali come le chat e i servizi di messaggistica istantanea, i social network, blog e forum ma anche i videogiochi possono trasformarsi, infatti, per l’adulto abusante in posti ideali dove stabilire con la vittima forme di intimità sessualizzata.

Grooming: cos’è e come funziona

Sotto molti aspetti, non esclusi neanche quelli legali e criminologici, l’adescamento dei minori online è un fenomeno di complessa spiegazione e che qualcuno ha definito «a condotta camaleontica» (A.C. Salter, Predatori. Chi sono, come agiscono e quali sono gli strumenti per proteggere noi e i nostri figli, 2009 ). Ci sono infatti, come si vedrà meglio più avanti, nel grooming fasi diverse e che non sempre hanno carattere di illiceità: l’adescatore – ed è questo un elemento che accomuna, a ben guardare, tutte le forme di adescamento dei minori, dentro e fuori la Rete – sfrutta, cioè, non di rado tattiche di «seduzione emozionale» (ibidem) molteplici per creare con la propria vittima un rapporto di dipendenza profonda e, per così dire, a lungo termine che può condurre – e conduce spesso – alla soddisfazione dei propri impulsi sessuali. Treccani, non a caso, dà a grooming definizione innanzitutto neutra di «consolidamento dei legami e riaffermazione delle gerarchie tra i membri di un gruppo sociale».

Online child grooming: qualche precisazione sul significato dell’espressione

Letteralmente si dovrebbe dare, del resto, al verbo inglese “to groom” da cui deriva grooming traduzione di «strigliare, pulire, prendersi cura di (un animale, un cavallo)». Secondo una ricostruzione dell’etimologia della parola fatta dall’Accademia della Crusca, infatti, il “groom” era originariamente un individuo di posizione inferiore, un servitore, un garzone, in genere addetto appunto alla cura delle stalle. È implicito, insomma, che quando si parla di grooming si fa riferimento a una relazione tra due o più persone di cui almeno una si trovi in posizione di inferiorità, sottomissione, dipendenza anche emotiva. Meno lineare è ricostruire come l’espressione “online grooming” – o, per completezza, “online child grooming” – abbia assunto il particolare connotato che ha oggi nell’ambito dei reati di natura sessuale. Ancora secondo la Crusca, sarebbe un articolo del Chicago Tribune di metà anni Ottanta a usare per la prima volta il termine “grooming” in riferimento a «molestatori amichevoli [nella versione originale “friendly molester”] che familiarizzano con le loro vittime […], conquistandone la fiducia mentre segretamente adescano il bambino per farne un partner sessuale». L’ipotesi è, insomma, che l’espressione sia innanzitutto un’espressione giornalistica. Anche le più importanti fonti giuridiche in materia, a cui si accennerà in seguito, non usano mai l’espressione “grooming”, ma ne preferiscono di altre come “solicitation of children for sexual purposes” (così la Convenzione di Lanzarote, all’articolo 23) o direttamente “adescamento di minori” (come fa, invece, il Codice Penale italiano all’articolo 609 undecies).

Adescamento di minori online: come avviene

Anche mettendo da parte le questioni terminologiche, non è semplice rispondere a domande come “in che cosa consiste il grooming?”. Come già si accennava, tante condotte possono configurarsi come tentativi di adescamento dei minori online, tanto che nel 2007 la Commissione Europea, in una consultazione pubblica dedicata ai pericoli del web per i bambini, si rassegnava a considerare grooming online «tutti i tentativi di entrare in intimità» con soggetti minori, «condotti da estranei, allo scopo di abusarne» sessualmente, ma anche emotivamente per esempio.

A livello empirico, e stando a cosa succede in Rete in un solo minuto, possono essere considerati tentativi di adescamento, insomma, tanto il contattare minori sulle chat, magari utilizzando un’identità fittizia e fingendosi loro coetanei, e l’intrattenere con loro lunghe conversazioni che sfocino in confessioni amicali e intime, quanto il promettere piccole ricompense – in denaro, ma anche in bonus e vite per esempio se l’adescamento avviene in ambienti di gioco virtuali – in cambio di selfie o scatti di nudo e, ancora, il minacciare di rivelare dettagli imbarazzanti della quotidianità o della personalità della vittima, all’interno di gruppi per questa rilevanti come il gruppo scolastico o la cerchia di amici. L’elenco potrebbe continuare a lungo e del resto quando si parla di grooming app e servizi digitali frequentati soprattutto da bambini e ragazzi più giovani rappresentano una tentazione senza pari per l’adulto abusante. Qualche tempo fa ASKfm, un sito che permetteva a chiunque di rivolgere anche anonimamente agli iscritti qualsiasi tipo di domanda personale, fu accusato di essere una facile esca a disposizione dei malintenzionati. La ricerca, il bisogno di attenzioni che spingevano gli utenti a rispondere a domande, davvero di ogni genere, rivoltegli online da perfetti sconosciuti e a desiderare, anzi, che ciò accadesse sembrava allora lo stesso, identico meccanismo che rende possibile e funzionante ogni forma di adescamento del minore: semplificando, infatti, c’è sempre una fase in cui il minore è quasi gratificato dal ricevere la considerazione, le attenzioni di un adulto. Più di recente, comunque, delle accuse simili sono state rivolte a Instagram, considerato il social perfetto per l’adescamento dei minori online, prima che una rete di predatori sessuali venisse scoperta su Minecraft e qualche campanello d’allarme suonasse anche per TikTok e le sfide quotidianamente proposte ai giovanissimi utenti dell’app cinese.

Ogni volta che una nuova challenge, una nuova creepypasta diventa virale sui social c’è sempre qualcuno pronto a paventare l’ipotesi grooming. Così è successo già ai tempi della Momo Challenge e più di recente con la Blue Whale Challenge e la vicenda dei presunti suicidi legati al fenomeno Jonathan Galindo: quello che hanno in comune tutti questi casi è il coinvolgimento di figure, tanto misteriose quanto oscure e irrintracciabili, che sfiderebbero le vittime a una serie di prove iniziatiche che, oltre che pericolose in sé, potrebbero essere dei tentativi di favorire un contatto sessuale con il minore. Molti dei fenomeni virali come questi si sono rivelati in realtà delle semplici leggende metropolitane o frutto di notizie non verificate o non riportate integralmente dai media.

Online grooming: dati della Polizia Postale italiana

Quello che di vero c’è nella preoccupazione che qualcuno, usando un’identità fittizia, un avatar o approfittando in diverso modo delle possibilità di anonimato in Rete, costruisca un rapporto amicale, di intimità e confidenziale con il minore per costringerlo a una qualche forma di contatto sessuale è che i reati sessuali online con vittime bambini o adolescenti sono in costante aumento anche in Italia. È quello che rivela a Il Sole 24 Ore il capo della Polizia Postale, riferendosi in particolare a come durante il lockdown siano balzate le segnalazioni per casi di sexting, revenge porn o appunto tentativi di adescamento di minori a scopo sessuale. Questo balzo potrebbe essere inquadrato in un più generale aumento di cybercrime e rischi informatici durante l’emergenza coronavirus – se si adotta questa prospettiva allargata e si considerano, cioè, anche truffe online e tentativi di phishing come quello che ha sfruttato la popolarità di Chiara Ferragni, l’aumento sarebbe del +171% – a sua volta conseguenza del maggiore tempo che, a casa in quarantena, abbiamo trascorso connessi. Per tornare a bambini e adolescenti, però, l’isolamento sociale e la perdita di contatti con i gruppi primari (compagni di scuola, amici, ecc.) di questi mesi potrebbero averli resi più vulnerabili e facili prede per i malintenzionati: non a caso il grooming è uno dei rischi più tradizionalmente associati al fenomeno dell’hikikomori, quel ritiro sociale e quell’accurata fuga da ogni occasione di socializzazione al di fuori dello schermo che per molti adolescenti rappresentano una normalità patologica. I reati che coinvolgono minori tendono ad avere sempre però un numero oscuro piuttosto alto, tanto più quando avvengono online e richiedono attività di indagine e di intelligence piuttosto complesse: non è facile, per questo, quantificare le dimensioni o avere dati precisi sul fenomeno dell’online grooming in Italia. Per farsi un’idea però, tornando ai numeri forniti da Il Sole 24 Ore, è possibile partire dalla constatazione che negli ultimi mesi la Polizia Postale ha affrontato almeno 328 casi di pedopornografia e sequestrato oltre 118mila giga di materiale pedopornografico.

Vittime e fasi dell’adescamento di minori in Rete

Più chiaro è invece, almeno da un punto di vista anagrafico, il profilo della vittima di adescamento online: ha quasi sempre tra i 10 e i 13 anni e, più raramente, tra i 14 e i 17. Questo spiega anche perché è sistematicamente chiesto più impegno, più responsabilità alle piattaforme per evitare situazioni di rischio per utenti, come gli under 13 appunto, che, formalmente e stando alle clausole di iscrizione, su molte piattaforme non dovrebbero nemmeno avere possibilità di aprire un profilo. La cosiddetta real name policy, ossia la necessità di fornire nome e dati anagrafici reali – e, a seconda dell’ortodossia di chi formula l’ipotesi, persino un documento ufficiale che li attesti – al momento dell’iscrizione al social network o al servizio digitale, è stata spesso considerata così una possibile soluzione by design al problema dell’adescamento di minori online e della presenza in Rete di pedofili e sex offender.

L’obiezione in genere mossa a proposito è però che crescere nativi digitali in grado di riconoscereed evitare – i principali rischi a cui vanno incontro quando utilizzano servizi online è tanto importante quanto aumentare le possibilità di sorveglianza e controllo nell’ambito degli stessi. Anche nella battaglia contro i reati sessuali online, insomma, un po’ di educazione civica digitale può essere d’aiuto.

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Anche quando avviene al di fuori degli ambienti digitali, comunque, l’adescamento di minori è un reato complesso e per certi versi di non immediata comprensione. La letteratura in merito concorda nell’individuare cinque fasi tipiche dell’adescamento del minore (G. De Leo, V. Cuzzocrea, S. Di Tullio D’Elisiis, G.L. Lepri, L’abuso sessuale sui minori, in “Rassegna Penitenziaria”, 2003), che rimangono identiche indipendentemente da dove e come avvengano i primi e i successivi contatti con la vittima (a rigore, infatti, quello che inizia come online grooming perché l’adescatore usa chat e social network per relazionarsi con la sua o le sue vittime può trasformarsi in qualsiasi momento in un adescamento tradizionale e condotto offline, in luoghi e situazioni della vita di tutti i giorni). Il Telefono Azzurro, in un documento del 2017 (“Abuso sessuale e pedofilia. Storie, contesti e nuove sfide”), sintetizza le fasi così:

  • la prima fase, detta relationship forming stage (RFS), è quella in cui l’adulto prova a stabilire un rapporto di amicizia con il bambino, spesso parlandogli di scuola, sport o altri passatempi tra i suoi preferiti e dimostrandosi già in questa fase conscio dei bisogni emotivi più pregnanti per l’età prepuberale;
  • c’è una seconda fase, detta di risk-assessment (RAS), in cui l’adulto si assicura che il bambino chatti o utilizzi da solo Facebook e simili, senza il controllo di genitori o altre figure adulte di riferimento, e che il dispositivo che utilizza sia di uso altrettanto esclusivo;
  • superata con esito positivo questa fase, parte quella di costruzione di un rapporto fiduciario, fatto di appuntamenti online sempre alla solita ora, di confessioni intime, anche non di natura sessuale, e di scambio di confidenze;
  • segue una fase di esclusività, detta non a caso exclusivity stage (ES), in cui l’adulto può tanto chiedere esplicitamente al bambino di tacere rispetto alle attività che li vedono impegnati insieme, quanto giocare su una linea più sottile fatta di promesse di gratificazioni anche materiali nel caso in cui il bambino sappia mantenere un segreto;
  • solo infine, nel cosiddetto sexual stage (SS), la relazione diventa sessualizzata: l’abuso può consistere, come già si accennava, nell’invio di materiale foto e video esplicito o nel masturbarsi mentre si è in video-chat con il bambino e nel chiedergli di fare altrettanto o, ancora, nel proporgli un incontro dal vivo.

È ancora la letteratura in materia a suggerire, del resto, che per la maggior parte degli adescatori l’azione raramente si conclude – e può concludersi – con il solo contatto virtuale con la vittima e quest’ultimo è finalizzato anzi, quasi sempre, a un incontro dal vivo. Tanto che la cosiddetta Convenzione di Lanzarote, da cui molti stati hanno ricevuto l’impulso ad agire tramite azioni di politica penale contro l’adescamento minorile on e offline, cita espressamente la «proposta d’incontro» o «altri atti materiali» a essa riconducibili come premesse necessarie per potersi configurare il reato. Anche nell’ordinamento italiano l’adescamento dei minori è un reato a dolo specifico e si configura, cioè, semplificando, se e solo se le condotte messe in atto dall’offender sono finalizzate a compiere «delitti legati allo sfruttamento o all’abuso sessuale di minori»: vale la pena notare, in questo senso, come il legislatore italiano sposti leggermente indietro la soglia di punibilità, non prevedendo la necessità che siano già avvenuti proposte d’incontro o atti materiali finalizzati a questo e, cioè, considerando sufficiente la costruzione di un rapporto intimo e di fiducia, anche online, tra l’adulto e il minore per poter parlare di adescamento.

Grooming: in Italia è reato?

Le due fonti di diritto appena citate – la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (o Convenzione di Lanzarote, appunto) del 2007, poi ratificata in Italia con la legge n. 172/2012, e l’art. 609 undieces del Codice Penale – rappresentano il riferimento normativo di base da cui partire per rispondere ai dubbi riguardanti se e come l’online child grooming è punito in Italia. Volendo semplificare, il fatto che avvenga online non rappresenta nel nostro ordinamento un’attenuante: è anzi il testo dell’art. 609 undieces del Codice Penale a chiarire che per adescamento si debba intendere, in generale, «qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione» a cui corrisponde, salvo altre valutazioni processuali, una pena di tipo reclusivo.

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