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Influencer marketing

Definizione di Influencer marketing

Influencer marketing: cos'è e come creare una strategia L'Influencer marketing è la capacità di "influenzare", di generare un passaparola strategico che incide in maniera significativa sulla visibilità di un marchio ed è un concetto strettamente legato ai social media, tanto che si parla anche di "social influencer".

cos’è l’influencer marketing

Un tempo si chiamava semplicemente passaparola, come suggeriva il claim di un noto detersivo; oggi, con l’avvento dei social media , si è fatto strada un numero crescente di opinion leaderblogger , youtubers, utenti Twitter, pagine Facebook – che esercitano una vera e propria social influence attraverso la connessione e la condivisione di messaggi con la propria audience, incidendo in maniera significativa sulla visibilità di un marchio , sulle azioni dei follower /fan e sulle loro decisioni di acquisto.

Per questo motivo, le aziende hanno totalmente ridefinito il modo in cui possono influenzare e coinvolgere il mercato di riferimento, al punto che i piani di influencer marketing hanno assunto una rilevanza strategica per molti web marketer. Basti pensare che un rapporto di Sensei Marketing rivela che il 74% delle imprese intende pianificare strategie di inflencer marketing durante il 2017 con l’obiettivo di promuovere conversazioni di rilievo, consolidare la reputazione del brand e determinare il comportamento e le scelte degli utenti. Un investimento di questo tipo è ancor più giustificato, del resto, alla luce di altre statistiche come quelle riportate da Tomoson secondo cui il 76% di marketer riconoscerebbe una netta correlazione tra influencer marketing e customer loyalty.

Best practice per l’influencer marketing

Quali sono le best practice per realizzare un efficace piano di influencer marketing? Innanzitutto va chiarito un concetto fondamentale: chiunque può diventare influencer, ma non tutti gli influencer possono davvero collaborare in maniera efficace con una certa azienda o un brand. Per questo occorre partire da una corretta individuazione degli archetipi di influencer , ciascuno dei quali contraddistinto da caratteristiche specifiche. La letteratura più recente sul tema identifica tre cluster principali di influencer. Il primo è quello degli identified, costituito dagli influencer considerati rilevanti per un brand, in base ai ranking pensati appositamente, ma anche per il ruolo e la posizione ricoperta nell’ambito del settore in cui operano e che risulta essere rilevante per l’azienda. In questo cluster può essere inserita una vasta gamma di influencer, dalle celebrity che godono di ampia esposizione e generano azioni immediate ai publisher appassionati, autorevoli e indipendenti, dagli everyday advocate, che amano recensire prodotti e servizi e godono di una grande reputazione presso la propria community, agli altruistic activators, generalmente considerati imparziali e per questo affidabili. Il secondo cluster è invece costituito dagli engaged, vale a dire il numero di influencer con cui si è già instaurato un livello iniziale di interazione, dalla condivisione di contenuti sui social al following/like. Questo tipo di coinvolgimento rappresenta il primo, sostanziale passo per la costruzione di una relazione stabile e duratura ed è strettamente connessa alla pertinenza dei contenuti pubblicati e promossi da un’azienda e dalla propria capacità attrattiva, oltre che alla notorietà del marchio e del suo potere evocativo. Nel terzo cluster vanno infine inclusi gli influencer active: sono gli influencer direttamente coinvolti nei programmi di influencer marketing e che collaborano attivamente con brand e aziende per promuoverne prodotti o servizi, ne condividono la vision e ne sposano le cause, diventando di fatto dei veri ambassador.

Uno dei trend più recenti sarebbe, comunque, quello di chiudere partnership con micro-influencer. Sono utenti comuni, con community relativamente piccole e che non hanno certo performance numericamente paragonabili a quelle di vip o influencer di lungo corso, ma che hanno invece dalla loro una grande capacità di coinvolgere attivamente la fanbase e farsi ambasciatori del prodotto, del servizio, del brand presso di essa: metriche ben più importanti per un soggetto business che voglia investire in influencer marketing.

In secondo luogo, è essenziale definire quali sono gli obiettivi di comunicazione che si intende raggiungere e quali sono gli influencer che meglio possono rispondere a simili esigenze. Solo per fare un esempio, infatti, il lancio di un nuovo prodotto deve essere orientato a generare buzz e creare interesse, oltre a coinvolgere early adopters per ottenere insight e incrementare la rete di sostenitori di un nuovo prodotto o servizio; mentre la promozione di un evento punta ad ampliare la portata dell’evento, che si tratti di registrazioni online, prenotazioni o anche al coinvolgimento live degli influencer durante l’evento stesso. In quest’ottica non tutti gli influencer hanno un seguito, una presenza digitale, una stile contenutistico che si adattano a scopi simili.

Un altro punto da chiarire è che non sempre gli influencer più efficaci sono quelli che operano in contesti affini al mercato e all’ambito merceologico di interesse: le aziende possono trovare influencer anche al di fuori dei canali tradizionali dove è già collocato – si presume – un numero consistente di utenti che può cercare informazioni e aggiornamenti sul brand; è molto più opportuno avere una visione trasversale in grado di intercettare audience ugualmente ricettive ma che seguono influencer lontani dall’ambito merceologico e dal mercato nel quale si opera.

Del resto, anche i consumatori seguono una logica multicanale per ricercare un brand ed è giusto che ogni canale sia presidiato da un influencer o che lo stesso influencer operi parallelamente su più canali con la stessa autorevolezza ed efficacia.

L’ideale sarebbe avere una profilazione esaustiva che includa dati socio-demografici, riferimenti agli interessi e ovviamente una mappa completa della loro presenza sui social e sul web. Una volta definita quest’ultima, è opportuno stabilire il profilo della audience a cui si rivolgono fan, follower, commentatori del blog , iscritti al canale, etc. e valutare il tipo di relazione e interazione che si è costituito con l’influencer. Sono molteplici le modalità con cui è possibile profilare gli influencer – così come i tool studiati ad hoc per valutarne l’autorevolezza, come ad esempio Klout –, ma la regola delle quattro R non sbaglia mai.

Reach: corrisponde al numero di fan o di follower a cui un influencer si rivolge attraverso i social; generalmente, anche i più quotati influencer hanno una reach inferiore ai media tradizionali ma sono in grado di offrire maggiori opportunità in termini di roi , proprio perché sono connessi ad una audience altamente ricettiva. Tuttavia, selezionare un influencer solo in base a questo parametro può essere limitativo, perché un’ampia audience può includere anche utenti che non sono interessati al brand o che non presentano le feature socio-demografiche che ci interessano.

Relevance: risponde a un chiaro bisogno di focalizzazione della comunicazione in base all’effettiva rilevanza che un brand detiene rispetto a una certa audience e, al tempo stesso, alla rilevanza stessa dell’influencer rispetto alla propria audience.

Resonance: può sembrare banale, ma non c’è risonanza senza rilevanza. Per risonanza si intende la capacità di evocare sentimenti, emozioni o valori che siano condivisi tanto dall’influencer quanto dalla sua base di seguaci. Un influencer rilevante è colui che riesce a ottenere una certa risonanza – condivisione di valori, entusiasmo, coinvolgimento – presso la propria audience, al punto da guidarne il comportamento (sia esso la sottoscrizione di un abbonamento, la prova di un nuovo prodotto, l’acquisto di un certo servizio, etc.).

Relationship: ogni brand deve considerare il tipo di relazione che intende instaurare con i propri influencer, sia essa una mera relazione basata sull’affinità o su un più strutturato rapporto one-to-one. È importante che tra il brand e l’influencer si stabilisca una sorta di patto o accordo, che definisca chiaramente obiettivi e finalità della relazione.

Influencer marketing | Gerardo Grasso
Influencer marketing | Gerardo Grasso

Definizione di una strategia di influencer marketing

Una volta identificato l’influencer più efficace per il proprio brand resta da stabilire il modo in cui costruire una connessione tra il marchio e l’influencer stesso e quali possano essere le ragioni per spingere un influencer a decidere di collaborare con un brand. Va detto che non sempre la logica del “cash only” paga: non basta semplicemente fornire un compenso agli influencer per assicurarsi buone recensioni e una buona visibilità; è molto più saggio creare un piano di incentivi più ragionato, che sfrutti al meglio le competenze dell’influencer, la sua relazione con l’audience e che faccia leva sulla rilevanza del marchio e del contributo che è in grado di fornire alla audience in termini di contenuti, incentivi, esclusività.

È bene considerare che una strategia di influencer marketing non può essere pensata come stand-alone rispetto agli obiettivi di marketing di un’azienda ma, anzi, deve essere perfettamente integrata in un più vasto piano di marketing e comunicazione. Pianificare una strategia di influencer marketing  vuol dire individuare, cioè, un percorso organico che coinvolga tutti gli asset di comunicazione del brand per agire sul comportamento di acquisto e la reputazione del brand stesso presso l’audience di riferimento facendo leva sulla figura degli influencer. Così c’è chi, come Claudio Vaccaro, sostiene addirittura che l’influencer marketing sia «una costola della native advertising». Tanto più che quest’ultima, chiarisce il CEO di Bizup e Upstory in un’intervista ai nostri microfoni durante SMAU 2017, non è nient’altro che l’insieme di «tutte le attività che servono per contattare i publisher e distribuire il contenuto in maniera coerente con il contesto». Negli anni, infatti, quella che è profondamente cambiata è stata solo l’identità dei soggetti che pubblicano contenuti, sempre più sfumata com’è tra editori tradizionali, editori indipendenti e influncer, non di rado in grado di raggiungere comunque «reach in tutto e per tutto paragonabili a quelle di quotidiani come Repubblica».

Quale è la relazione tra native advertising e influencer marketing? | Claudio Vaccaro
Quale è la relazione tra native advertising e influencer marketing? | Claudio Vaccaro

Influencer marketing vs content marketing

Al centro di ogni strategia di influencer marketing si collocano, soprattutto, i contenuti. L’integrazione tra content marketing e influencer marketing si rivela del resto alla base di un approccio efficace, in grado di portare risultati concreti in termini di visibilità, coinvolgimento, conversioni, profitto. «L’influencer marketing, se fatto bene, non è mai il semplice comprare il servizio di una persona», sottolinea infatti in un’intervista ai nostri microfoni durante Inbound Strategies 2017 Matteo Pogliani, digital strategist di Open Box. È una relazione e, come in qualsiasi relazione, si tratta di «bilanciare le necessità del brand ed essere bravi a rispettare il valore dell’attività dell’influencer. I progetti migliori sono quelli win-win – continua l’esperto – e cioè quelli in cui, attraverso contenuti e attività degli influencer, il brand riesce a comunicare in maniera diversa, più impattante con i propri utenti (sempre più abituati come sono alle classiche forme pubblicitarie che per questo non hanno più performance eccezionali) e, d’altro canto, l’influencer riesce a trovare qualcosa d’interessante da proporre ai suoi fan».

Qualche consiglio pratico? «Il brief è essenziale, come lo è essere chiari fin dal primo momento rispetto a cosa vogliamo dagli influencer», senza che questa necessità di chiarezza si trasformi in un controllo autoritario sull’influencer scelto, «perché se gli togliamo l’autonomia rischiamo di svestirlo di quelle qualità ce lo hanno fatto diventare quello che è e che piacciono tanto ai suoi follower», continua l’esperto che, per finire, consiglia anche di «controllare KPI e reportistica, cosa che aiuta prima, dopo e durante a stabilizzare, dati alla mano, la dimensione di relazione».

Secondo gli esperti sono quattro, comunque, le fasi essenziali per integrare content strategy e influencer marketing: selezione, ascolto, collaborazione e approccio data-driven.

  1. L’individuazione degli influencer in grado di attivare conversazioni su un dato brand è certamente la fase più delicata di tutto il processo di integrazione strategica. Si tratta di un approccio squisitamente umano fondato sulla capacità di comprendere e definire gli interessi della propria target audience al fine di mappare il cosiddetto customer journey, ossia il percorso che ciascun utente, opportunamente inserito nel proprio cluster socio-demografico, compie prima di effettuare un’azione rilevante per il brand, come ad esempio l’acquisto. Ciascuno step del customer journey varia in base al profilo di utente tracciato ed è contraddistinto da uno specifico contesto. È in questa fase che vanno identificati gli influencer in grado di interagire e produrre contenuti pertinenti rispetto a quello specifico step del customer journey. Per fare un esempio, la content strategy legata a un cluster di utenti neofiti di crossfit sarà radicalmente differente dal piano di contenuti necessari per coinvolgere il cluster di utenti già esperti di crossfit e intenzionati ad acquistare una data marca di scarpe sportive o una certa attrezzatura. Ogni fase del customer journey ha, pertanto, bisogno di una specifica tipologia di contenuti e di influencer in grado di coinvolgere gli utenti e svolgere un ruolo attivo nel processo decisionale. La costruzione di una partnership felice tra brand e blogger costituisce il punto nevralgico di una strategia efficace di influencer marketing.
  2. L’ascolto attivo degli influencer rappresenta la chiave di successo per identificare le conversazioni e i trend, individuare i contenuti che interessano la propria audience di riferimento, colmare il gap che si crea tra brand e target e trovare nuove ed efficaci opportunità di coinvolgimento in tempo reale.
  3. Per quanto riguarda le forme di collaborazione con gli influencer è ipotizzabile, invece, partire da uno studio approfondito dei contenuti e dei topic su cui gli influencer scrivono o sul tipo di informazioni che condividono, le piattaforme prescelte, il grado di preparazione sugli argomenti discussi, così come la qualità delle conversazioni che sono in grado di generare. Questa variegata quantità di contenuti va selezionata attentamente se un brand sceglie la strada della condivisione o della content curation oppure, nel caso in cui gli influencer siano coinvolti direttamente dal brand nel processo di creazione del contenuto, va attentamente monitorata in termini di reach acquisita, condivisioni raggiunte e conversazioni attivate, per avere un quadro completo dell’efficacia non solo della content strategy ma anche della validità degli influencer prescelti.
  4. In tale prospettiva si delinea la quarta fase di una perfetta strategia di integrazione tra content e influencer marketing: l’approccio data-driven. L’elaborazione di un piano che veicoli contenuti rilevanti e insight, in grado di stabilire autorevolezza e fiducia e conferisca alla comunicazione del brand un tono di voce umano, rende indispensabile un controllo e una misurazione costante delle conversazioni online, della partecipazione, del coinvolgimento dell’audience e delle eventuali variazioni della percezione del brand e dei suoi prodotti presso il mercato di riferimento.

Per un approccio scientifico all’influencer marketing

Se c’è una cosa che hanno in comune trend e previsioni che sono stati fatti in questi anni riguardo al futuro dell’influencer marketing è proprio la necessità di puntare un approccio scientifico. Si tratta di far in modo che alla valutazione quantitativa e qualitativa dei contenuti e dei profili degli influencer corrisponda un approccio ragionato nella misurazione dell’efficacia di ciascun piano. Non si tratta di tenere conto dei semplici, principali, dati analitici (visualizzazioni di pagina o numero di like ricevuti, download, condivisioni, ecc.). Oggi gli strumenti messi a disposizione, tra gli altri, da Google Analytics e Facebook Insights sono sempre più raffinati, sono stati inoltre compiuti passi da gigante anche nella definizione di nuovi e più appropriati benchmark per misurare l’efficacia di tale piano. Tra gli indicatori più utilizzati ritroviamo, così, l’EMV (Earned Media Value), che indica il valore medio che può essere attribuito a visibilità, social sharing ed endorsement applicati attraverso una campagna di influencer marketing; la Total Social Reach, vale a dire la copertura raggiunta attraverso i vari canali social; la Social Exposures, che mette in relazione l’audience totale raggiunta con la frequenza del messaggio; il Social engagement , che misura i volumi di coinvolgimento generati da ogni singolo influencer e, ancora, il CPE (Cost Per Engagement). Sono solo esempi di metriche indispensabili per consolidare un approccio ROI-oriented quando si applica un piano di influencer marketing.

Siamo, insomma, davanti a una disciplina relativamente nuova e in costante fermento. Lo conferma la grande varietà di studi e i numerosi contributi su alcuni temi fondamentali a essa strettamente connessi: dall’importanza di una strategia basata su una relazione tra brand e influencer alle integrazioni tra YouTube, piattaforme video e influencer – solo per fare alcuni esempi –, fino agli studi per l’individuazione di un modello analitico che determini strategie, processi e metodologie di analisi dei piani di influencer marketing, a dimostrazione del fatto che il dibattito e la curiosità sul tema sono in continua evoluzione.

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