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Innovazione sociale

Definizione di Innovazione sociale

Innovazione sociale "Innovazione sociale" è l'espressione utilizzata per indicare nuovi idee, prodotti, servizi, modelli di business e di governance che soddisfano bisogni sociali grazie alla creazione di relazioni, risorse e capacità o al miglioramento di quelle esistenti.

Dalla tutela dell’ambiente all’istruzione, passando per l’assistenza sanitaria e la gestione del patrimonio culturale, quello dell’innovazione sociale è un settore in continua evoluzione e un tema che sta riscuotendo un interesse crescente negli ultimi anni proprio per la sua capacità di risolvere problematiche fortemente sentite dalla collettività. All’origine di questo fenomeno, infatti, non ci sono la competizione e la ricerca del profitto, ma l’esistenza di un vuoto politico o un fallimento di mercato che determina l’emergere di pressioni sociali fomentate da bisogni insoddisfatti, emergenze ambientali, risorse sprecate, aree di disagio e marginalità. L’assenza delle istituzioni apre il campo al privato sociale, a nuove forme di imprenditorialità dal basso, a comunità di cittadini che, stanchi di aspettare un intervento di uno stato fin troppo assente, decidono di agire in prima persona creando soluzioni e realtà imprenditoriali per soddisfare vecchi e nuovi bisogni, migliorando la qualità della vita e aspirando al cambiamento.

Che cos’è l’Innovazione sociale? Verso una definizione condivisa

Nonostante l’interesse crescente a livello nazionale e internazionale, ad oggi risulta estremamente difficile identificare una definizione condivisa di innovazione sociale. Questo perché gli studi accademici sul tema sono pochi e riguardano molteplici ambiti di ricerca: dalla sociologia allo sviluppo territoriale, passando per il management e la psicologia (Choi e Majumdar, 2015). Lo stesso quadro degli attori e dei settori idonei allo sviluppo di questo tipo di innovazione appare frammentato, così come diverse sono le forme sotto cui può presentarsi (servizi, prodotti, modelli, interventi, leggi, tecnologie).

In questo scenario, così complesso e variegato, la definizione che maggiormente si avvicina a comprendere tutti gli aspetti del fenomeno potrebbe essere quella di Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan che nel loro Open Book Of Social Innovation (2012) definiscono l’innovazione sociale come «nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che simultaneamente rispondono a bisogni sociali e creano nuove relazioni e collaborazioni. In altre parole, si tratta di innovazioni che sono buone per la società e che accrescono la sua capacità di azione».

Da questa definizione è possibile, infatti, identificare quelli che possiamo definire come “i sei pilastri” dell’innovazione sociale:

  1. novità: ogni innovazione, di carattere sociale o meno, per sua natura deve avere un carattere di novità;
  2. implementazione: non deve trattarsi di una semplice idea, ma dell’applicazione pratica di un nuovo prodotto, servizio, modello di business che sia economicamente sostenibile, cioè in grado di autofinanziarsi attraverso i proventi generati dall’attività imprenditoriale;
  3. efficacia: non solo deve rispondere a bisogni in modo innovativo, ma anche in modo più efficace rispetto alle soluzioni preesistenti;
  4. soddisfazione: l’obiettivo deve essere quello di soddisfare un bisogno latente e generare valore per l’intera società;
  5. coinvolgimento: spesso dà vita a forme di attivismo diffuso che portano al coinvolgimento delle comunità locali attraverso la creazione di nuovi ruoli e la valorizzazione delle risorse umane del territorio;
  6. collaborazione: si basa su forme di collaborazione aperta tra attori diversi, dalle comunità locali ai singoli imprenditori, accomunati da un obiettivo comune, ovvero risolvere un problema complesso creando valore per l’intera società.

Il filo conduttore che lega i diversi elementi è dunque la necessità di un cambiamento sociale, necessità che è sentita da diversi soggetti e il cui impatto è tanto più elevato quanto più è inclusivo il coinvolgimento dei soggetti stessi.

Gli interventi normativi a sostegno della social innovation: la startup innovativa a vocazione sociale

Considerato, dunque, l’importante ruolo che la social innovation può svolgere a sostegno del welfare state, non è difficile immaginare che tale fenomeno abbia suscitato fin dal primo momento l’interesse delle istituzioni. Ad oggi, infatti, sono numerosi gli sgravi e gli incentivi, sia di carattere nazionale che internazionale, riconosciuti a chi pratica questa forma di innovazione.

Ad esempio, nel 2012 è stata introdotta in Italia una particolare categoria di startup – la startup innovativa a vocazione sociale – a cui lo stato riconosce una serie di benefici e sgravi fiscali. Per rientrare in questa categoria un’attività deve non solo avere i requisiti propri delle startup innovative ma operare in settori ritenuti di utilità sociale – come l’assistenza sanitaria, la tutela dell’ambiente o l’istruzione – al fine di raggiungere obiettivi legati al benessere della collettività.

Secondo il registro delle stratup innovative, ad oggi sono 210 quelle a vocazione sociale. Un trend in crescita se si pensa che solo tra il 2017 e il 2018 il numero è aumentato oltre del 20%. Volendo fare solo qualche esempio di successo è possibile menzionare la romana The Circle, un’azienda agricola che ha eliminato qualsiasi tipo di rifiuto inquinante, o la milanese Anagramma, che ha creato Myfoody, un’app per consentire agli utenti di conoscere in quali supermercati ci sono prodotti in scadenza scontati al fine di ridurre gli sprechi alimentari nella gdo .

Una best practice: il caso della Cooperativa “La Paranza”

Un esempio diverso ma non meno emblematico di social innovation è quello de La Paranza, una cooperativa che nasce Napoli nel 2006 da un gruppo di giovani che, dopo un percorso di volontariato mirato alla promozione del territorio, ha deciso di riqualificare il proprio quartiere prendendone in gestione il patrimonio storico-culturale.

Parte dell’immenso patrimonio storico-artistico delle Catacombe di San Gennaro riportato alla luce grazie all’attività della Cooperativa La Paranza. Fonte: www.catacombedinapoli.it

La Paranza ha preso vita in una delle realtà più difficili e contraddittorie del territorio napoletano: il quartiere Sanità, una zona della città che in passato era nota perlopiù per episodi di criminalità e degrado. L’ambizioso obiettivo è stato fin dall’inizio quello di cambiare la percezione del quartiere attraverso vere e proprie azioni di marketing territoriale per la valorizzazione delle sue tante bellezze storico-artistiche. Tra le tante, vi sono le famose Catacombe di San Gennaro e San Gaudioso e la Basilica di Santa Maria della Sanità che all’epoca versavano in uno stato di totale abbandono e che oggi, proprio grazie all’attività della cooperativa La Paranza e dei tanti attori coinvolti contano oltre 130 mila presenza annue tra turisti e residenti.

Consapevoli del vuoto politico e normativo in cui versava il quartiere, i giovani della Cooperativa La Paranza sono riusciti in quello in cui le istituzioni hanno fallito: creare un modello di gestione innovativo che riuscisse, partendo dal basso, non solo a sostenersi nel tempo, ma anche a creare valore sociale per l’intero territorio.

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