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Mobile journalism

Definizione di Mobile journalism

mobile journalism Il Mobile journalism è spesso definito come una nuova forma di storytelling che prevede l’uso prevalente di dispositivi mobili e dotati di una connessione (come smartphone, tablet, ecc.) per confezionare, pubblicare e distribuire storie, intese in senso giornalistico.

La discriminante tecnologica, insomma, è essenziale quando si tratta di capire fino in fondo l’anima del mobile journalism o chi sono e cosa fanno i mojos, ossia i mobile journalist. Fermo restando che il contenuto è il re, infatti, «l’utilizzo di nuove tecnologie come Facebook Live, video e foto a 360°, Go Pro, ecc. permette di sperimentare e creare maggiore curiosità, facendo in modo che l’utente finale risulti meno annoiato», sottolinea Alessandro Allocca di Repubblica in un’intervista ai nostri microfoni durante il Mashable Social Media Day Italy + Digital Innovation Days 2018.

Che cos’è il mobile journalism

A guardarlo così, quello mobile appare quindi come la forma forse più user oriented di giornalismo. Quello che non si dice altrettanto spesso, però, è che il mobile journalism sta inevitabilmente cambiando anche assetti produttivi e organizzativi, oltre che la routine di lavoro all’interno delle redazioni. Per questo una definizione più esaustiva di MoJo non può non considerarlo un «nuovo workflow per lo storytelling nei media, in accordo al quale i reporter sono preparati e attrezzati per essere completamente mobile e completamente autonomi», così scrive il Mobile Journalism Manual.

Alle origini del MoJo: c’era una volta il giornalista con lo zainetto

Non a caso l’antenato, almeno concettuale, del mobile journalism è il backpack journalism. Un giornalista con lo zainetto è un giornalista che è allo stesso tempo reporter, fotografo, video-maker, montatore, distributore, ecc. Per riuscire in questa sfida deve avere sempre con sé la giusta cassetta degli attrezzi e, ancora una volta, device di ultima generazione che integrino le funzionalità più diverse e che permettano per esempio di editare foto o montare brevi video destinati ai social o al web in tutta semplicità sono un ausilio indispensabile. Tanto più se si considera che è in situazioni di velocità, emergenza, copertura in diretta delle notizie che il backpack journalism rivela al massimo le sue potenzialità: nonostante di certo più vecchio, le sue applicazioni più concrete e più riuscite sono avvenute nel contesto dei conflitti e della crisi mediorientale degli inizi Duemila.

Esempi e best practice di mobile journalism

Allo stesso modo, centinaia di mojos hanno sfruttato i loro smartphone per raccontare attentati e attacchi terroristici che negli ultimi anni hanno sconvolto l’Europa. Le situazioni d’emergenza non sono le uniche, però, che possono essere ricostruite tramite i mezzi e l’estetica del mobile journalism: anzi, nuovi formati come le Storie su Instagram, gli snap, le dirette video su Facebook sembrano aver dato nuova linfa vitale anche al giornalismo di approfondimento, investigativo, ecc.

Quello che è ufficialmente riconosciuto come il primo pezzo di MoJo, per esempio, è negli intenti una vera e propria inchiesta sulle città sorvegliate dall’onnipresenza di micro-camere e apparati di video-sorveglianza (fu realizzato nel 1995 da Steve Mann indossando delle speciali lenti con integrata una piccola videocamera, ndr).

primo esempio di mobile journalism Steve Mann

Nel 1995 il primo “pezzo” di mobile journalism è un’inchiesta di Steve Mann sulle città video-sorvegliate.

Dalla radio alla televisione, passando inevitabilmente per i social, tanti sono ormai i progetti di giornalismo mobile che hanno fatto scuola. Nel 2015, per esempio, la BBC coprì il terremoto in Nepal affidandosi quasi esclusivamente a uno dei suoi reporter nell’area e alle sue capacità di lavorare con smartphone e dispositivi mobili. RTE, un’emittente irlandese, nel 2017 ha creato una serie di “Mobile Shorts” destinati principalmente ai canali social ma che non per questo rinunciavano a una natura d’approfondimento (raccontavano, per esempio, la storia di un vecchio planetario e di altri luoghi della cultura dimenticati, ndr).

The story of a forgotten Planetarium
The story of a forgotten Planetarium

Mentre a vincere la Thomson Foundation Mobile Journalism Competition 2018 è stato il lavoro di una giornalista ecuadoregna sul viaggio di speranza che molti migranti compiono dal Messico verso gli Stati Uniti.

The migrant bus 2018 – in search of a safer life in the USA
The migrant bus 2018 - in search of a safer life in the USA

Gli strumenti del MoJo: dalla produzione alla distribuzione

Il filo rosso che lega progetti come questi o come “Syria: Song of Defiance” (il primo esperimento di MoJo di Al Jazeera dedicato alla rivolta contro il regime siriano, ndr)? È la qualità, non solo contenutistica ma anche e soprattutto estetica, dei prodotti finali. Ancora una volta il merito è di una tecnologia sempre più avanzata che rende smartphone e altri dispositivi mobili, soprattutto di ultima generazione, in tutto e per tutto paragonabili e competitivi nelle performance a strumenti più tradizionali come microfoni, fotocamere reflex, ecc. utilizzati da giornalisti e reporter. Né si può trascurare, ormai, l’apporto fondamentale di alcune app facilmente scaricabili dagli appstore dei propri dispositivi e che aiutano a montare ed editare audio e video, risolvere eventuali problemi di connettività, andare in streaming o condividere in cloud e in tutta sicurezza i propri contenuti. Non importa essere un freelance o dei «giornalisti di BBC, Sky, CNN o altri gruppi editoriali da milioni e milioni di investimento», sottolinea a proposito ancora Alessandro Allocca, il giornalista mobile si ritrova a lavorare spesso come una «one man band, ossia con telecamerina, microfono e intervistato davanti e facendo tutto da solo».

Com’è cambiata nel tempo l’idea stessa di mobile journalism? | Alessandro Allocca
Com'è cambiata nel tempo l'idea stessa di mobile journalism? | Alessandro Allocca

La più grande differenza tra i mojos che collaborano con testate medio-grandi e freelance ha a che vedere con le possibilità di distribuzione del prodotto finito. Semplificando molto, nella cassetta degli attrezzi di un giornalista mobile indipendente devono essere annoverate anche una buona presenza e una buona strategia digitale. Spesso, infatti, il primo canale di distribuzione dei contenuti è rappresentato dagli stessi profili social del mobile journalist ed è semplice capire in questo senso quanto e perché contino saper fare personal branding o cerchie amicali che possano fare da ponte verso redazioni o altri big del panorama mediatico per una distribuzione a più ampio raggio degli stessi contenuti.

Una forma zero di mobile journalism: il live tweeting

Vale la pena sottolineare, proprio a proposito, che c’è chi considera una forma zero di mobile journalism persino il live tweeting. Dalle situazioni di emergenza, in cui non si hanno tempo e risorse per un altro tipo di copertura, agli eventi di settore, quando twittare in diretta quanto succede è soprattutto una forma di partecipazione attiva, anche tramite i cinguettii si può fare una cronaca puntuale e oggi anche approfondita – grazie a più caratteri disponibili nei tweet o alla possibilità di corredarli di link, foto, brevi video e senza contare la possibilità di andare in diretta – di ciò di cui si è testimoni. C’è un caso che ha fatto scuola proprio in questo senso e che ha aperto, tra l’altro, la strada al citizen journalism: l’atterraggio di emergenza di un aereo sul fiume Hudson. era il 2009 e gli utenti comuni prima e reporter e giornalisti su Twitter poi arrivarono prima di quanto riuscirono a fare i grandi network televisivi.

Le skill indispensabili per un mobile journalist

La velocità e l’accessibilità sono, del resto, due dei principali vantaggi del mobile journalism. Chiunque abbia oggi in tasca uno smartphone può trasformarsi in ogni momento, e al bisogno, in un mobile reporter. Quello che un vero giornalista mobile ha in più è la totale padronanza di dispositivi che sfrutta al pieno delle loro possibilità e, certo, una mentalità e un metodo di lavoro tipicamente giornalistici che si riflettono sulla qualità del prodotto finito. Non a caso, tra quelle che la guida di Al Jazeera individua come  skill indispensabili per il giornalista mobile, insieme a capacità tecniche e altamente specifiche, ce ne sono di decisamente più soft. Chi voglia fare MoJo, in altre parole, deve essere in grado di

  • progettare una storia mobile-produced: utilizzare smartphone e altri dispositivi portatili, infatti, non significa che si debba rinunciare alla resa estetica, ogni storia cioè va pensata e ragionata fin dalle origini e questo può voler dire creare uno storyboard, pensare a inquadrature e luci o impostare un set ideale e privo di rumori e interferenze per esempio se vi vuole andare in diretta sulle piattaforme che lo permettono;
  • editare il materiale e trasformarlo in un prodotto finito: vuol dire saper utilizzare i filtri della fotocamera del proprio telefono, tanto quanto sfruttare le app apposite per i montaggi audio-video o per aggiungere testi o effetti alle proprie immagini e, ancora, individuare il miglior modo per archiviare, trasferire o pubblicare i contenuti in questione;
  • adattare i contenuti a canali, dispositivi, modalità di consumo molto diversi tra loro: la parola d’ordine di questi tempi, anche nel mondo dell’informazione, è infatti crossmedialità e un buon mobile journalist deve rendere fruibili i suoi prodotti non solo su quanti più canali possibili e in modo che non si perda in qualità o prestazioni anche passando da un device all’altro, per cui basta accertarsi in genere della compatibilità dei formati per esempio, ma anche e soprattutto in occasioni diverse e ciò vuol dire, nella pratica, una buona conoscenza della propria audience e delle sue abitudini mediatiche.

Interpretare i cambiamenti nel frattempo avvenuti nel mondo dell’informazione, provare ad anticiparne i trend futuri e, più di ogni altra cosa, comprendere i gusti di un pubblico sempre più abituato – e forse per questo distratto – dalla sovrabbondanza di informazioni sono, invece, tra quelle soft skill a cui si accennava e che fanno buoni mojos.

Vantaggi e rischi del MoJo

La mentalità e la (buona) cultura giornalistica, del resto, sono ciò che protegge il mobile journalism dalle sue stesse possibili derive. Se si intende per esempio il giornalismo mobile in un’altra delle sue forme zero, e cioè come possibilità di seguire ovunque e con uno scarto temporale minimo il farsi di una notizia, il rischio è di non poter mettere in atto tutte quelle operazioni di fact-checking che servono, in condizioni normali, ad assicurarsi della veridicità della notizia e di non incappare in fake news o bufale create ad arte.

Nel considerare che il mobile journalism ha reso di certo più interattiva e meno passiva la fruizione delle notizie, poi, non si può trascurare che anche «l’utente interagisce in tempo reale e spesso e volentieri lavora di pancia», come sottolinea ancora Alessandro Allocca: nel concreto ciò si traduce in commenti critici, quando non fortemente offensivi, espressi sui social network per esempio, di cui anche l’utente stesso può pentirsi in un secondo momento, ma che difficilmente vengono cancellati o modificati e che contribuiscono ad alimentare un clima d’odio e misinformativo.

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A fronte dei possibili rischi, se fatto bene e da parte di professionisti, il giornalismo mobile ha comunque molti vantaggi. Ancora la guida di Al Jazeera al MoJo ne ricorda alcuni. Il primo, impossibile da trascurare in tempi di tagli alle redazioni e budget sempre meno consistenti, è l’economicità: fare mobile journalism costa poco perché poco costano gli strumenti indispensabili, perché spesso si tagliano anche spese logistiche e di gestione e perché non si ha bisogno di squadre o team particolarmente numerosi ma i risultati sono ottimi anche se si lavora da soli. La qualità dei prodotti finiti è un altro dei plus evidenti del MoJo ed è direttamente collegata, come già si accennava, alle performance sempre migliori dei device utilizzati dai giornalisti mobile. È tutto il processo di newsmaking, comunque, che risulta più efficiente: spesso basta un click o un link operativo al posto delle complicate operazioni analogiche che servivano – o servono ancora nelle redazioni più tradizionali – per trasferire contenuti multimediali al desk o alle piattaforme di pubblicazione. Sperimentazione e creatività, poi, sembrano essere due parole d’ordine: al contrario di quanto avviene sui media tradizionali, infatti, non ci sono strade obbligatorie e percorsi segnati e i mojos, anche grazie alle infinite possibilità offerte dai mezzi che utilizzano, appaiono sempre alla ricerca di soluzioni estetiche e narrative nuove. La dimensione della sicurezza, infine, non può essere ignorata: se si ha in mente la figura di giornalista embedded, con tanto di pettorina e squadra foto-video al seguito, è facile immaginare come uno smartphone e i suoi eventuali accessori siano pratici da nascondere anche nei contesti e nelle situazioni più critiche, quando è l’incolumità e non solo il lavoro del giornalista a essere a rischio.

 

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