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Il brand ospedaliero, un’alchimia di tecnologia, qualità del servizio, cultura e visione

Franco Balestrieri, Direttore Marketing GVM Care & Research

Franco Balestrieri, dal 2011 direttore marketing e comunicazione di GVM Care & Research, analizza come si costruisce il brand di un gruppo ospedaliero e l'importanza rivestita da marketing e comunicazione.

L'intervista a:

GVM Care & Research – fino al 2010 Gruppo Villa Maria – è un gruppo ospedaliero presente in 10 regioni italiane (oltre 5 paesi esteri), con una rete integrata di ospedali polispecialistici, di alta specialità, poliambulatori e residenze assistenziali. Nel corso degli ultimi 10 anni GVM Care & Research ha fatto un vero e proprio percorso di costruzione del proprio brand e a sottolinearlo è Franco Balestrieri, direttore marketing e comunicazione del Gruppo.

Come si è evoluto questo percorso?

«GVM Care & Research negli anni è cresciuto anche per acquisizioni nelle diverse aree, dando vita a un’“aggregazione” di ospedali e strutture sanitarie, ognuna con un proprio brand, una propria identità territoriale e specialità mediche. Le differenze erano evidenti sia a livello digitale che fisico, non solo per identità visive ma anche per accoglienza, materiale informativo o connessioni operative, e spesso gli utenti non avevano la percezione che le diverse strutture facessero parte di uno stesso gruppo. Inoltre, tra il personale che a vario titolo lavorava in GVM non si respirava quell’aria di Gruppo “esteso, nazionale”.

L’idea di formare una realtà interconnessa e omogenea però è sempre stata l’elemento fondante dell’imprenditore, Ettore Sansavini, che aveva visto già negli anni ’70 la forza della coesione e collaborazione tra strutture. L’obiettivo nel nostro immaginario è stato quello di creare “l’ospedale grande come l’Italia”: riconoscibilità in un solo brand non solo per l’elemento grafico ma per tutto ciò che è collegato a esso.»

Quali sono state le tappe fondamentali?

«Nel 2010 c’è stato un rebranding che ha trasformando Gruppo Villa Maria in GVM Care & Research, senza però procedere a una reale applicazione.

Dopo una ricerca preliminare abbiamo creato un sito customer oriented con un’adeguata user experience, trasformazione che ha messo le basi per una interconnessione più fattiva tra le strutture. Allo stesso tempo c’è stato un restyling sia del materiale informativo BTL per le singole strutture sia istituzionale. Dopo qualche anno, abbiamo iniziato l’attività social del Gruppo.
Ci siamo poi avvicinati ulteriormente al cliente creando un modello di customer experience a 5 item che ci consentisse di offrire un migliore servizio, al di fuori dell’atto medico. Abbiamo realizzato la prima guida interna, utile alla formazione del personale di struttura, per aiutarci a progredire con la comunicazione verso il cliente/paziente, oltre ai nostri contact center interni.
La centralizzazione delle media relation è stata fondamentale, non solo per raccontare proattivamente chi siamo e cosa facciamo, ma anche per avere un piano strutturato centrale in caso di crisi.
Durante queste tappe sono stati aggiunti altri importanti pilastri come un CRM sanitario, attualmente in fase evolutiva, siti satellite e un’app.

Un percorso non semplice, costellato di errori, abitudini e singolarismi da superare per arrivare a una coesione di intenti e gestione guidata, che ha portato le qualità delle diverse aree a fattor comune, rafforzando l’immagine complessiva.»

La costruzione di un brand in ambito “salute” per che cosa di caratterizza? 

«Come per gli altri mercati, le sole attività di marketing non costruiscono nessun brand ospedaliero. Il vero valore è il prodotto, la cultura e la visione del servizio, insieme a personale, medici e tecnologie; senza tutto ciò non si costruisce un brand credibile.
Creare il brand del Gruppo è un percorso strategico e collaborativo a più livelli.

In primis, la comunicazione interna dovrebbe essere una delle scelte imprescindibili e necessarie per sostenere il percorso, per questo abbiamo aggiunto GVM Inside, la nostra intranet. Ma non si può prescindere nemmeno da solide scelte tecnologiche, scouting continuo di medici, strutture dotate di comfort adatto, formazione e capacità di creare un’esperienza cliente di livello superiore.

Un insieme di fattori organizzativi e strategici a cui tutto il personale deve contribuire per arrivare al risultato: un cliente che si fidelizza, il passaparola e recensioni positive contribuiscono ad attirare non solo clienti ma anche altri medici verso la struttura.»

Cosa orienta oggi le scelte dei pazienti?

«La prestazione sanitaria se non necessaria non si “acquista” a meno che non si tratti di prevenzione. Una visita ortopedica, una TAC o un intervento chirurgico si fanno se e quando servono.
Il cliente/paziente deve ricordarsi del brand ospedaliero quando ne ha necessità, non prima, una condizione che lo può portare a vivere uno stato emotivo meno lucido nelle valutazioni e nelle scelte conseguenti. Si riducono così alcune leve per la brand awareness ideale, condizionata anche dalla disinformazione o dalla caccia strenua alle notizie di malasanità.

SSN, assicurazioni, fondi e prestazioni a pagamento sono una prima discriminante.
Se invece entriamo nel merito del target, va distinto – questo è quello che ci suggerisce la nostra esperienza – il comportamento maschile da quello delle donne, molto più attente e ricettive. In base al target per età, si riscontrano modalità totalmente diverse di ricerca delle strutture, lettura e comprensione dei testi informativi, utilizzo di device digitali e app, aspettative di gestione.
Poi ci sono i caregiver, che hanno necessità di accesso e risposta ai servizi ancora diverse. Infine, i professionisti: medici di base e specialisti, il cuore pulsante del passaparola attendibile per i pazienti.

Da una ricerca UBM 2019 (commissionata da GVM), il medico di base è infatti colui con il quale l’84% degli italiani si consulta per l’insorgenza di sintomi, seguito dal medico specialista e dalle fonti digitali (Google, blog di medicina, piattaforme social) entrambe al 43%. Il 2020 ha modificato questi fattori facendo registrare un incremento sostanziale dell’utilizzo di fonti digitali.»

Il marketing sanitario in Italia ha bisogno di ulteriore sviluppo?

«Sì, siamo solo agli inizi: Amazon entra nel mondo del primary care, le assicurazioni aprono poliambulatori brandizzati. È recente anche l’inserimento di moduli di comunicazione e marketing in alcuni corsi universitari di medicina. La domanda assistenziale c’è sempre stata, ma è mutata nel tempo con l’aumento della popolazione, i diversi stili di vita e la pandemia.

Ci si occupa delle persone malate, perché invece non occuparsi delle persone sane e aiutarle a ridurre l’incidenza delle malattie? Perché non aiutare i pazienti e di conseguenza le strutture a generare la giusta domanda e offerta? Potremmo avere una risposta più efficiente, maggior rendimento economico ed efficacia medica, miglioramento progressivo dell’impatto sociale. C’è un effettivo ricorso anche nel pubblico a ricerche di mercato per capire se domanda e territorio siano coerenti con gli obiettivi ipotizzati? Marketing e comunicazione non potranno mai essere la panacea di errori strategici fatti a monte.

Si pensi a tutte quelle strutture con un’offerta sovradimensionata, anche quando è evidente un sottoutilizzo delle stesse. Un quadro che rientra nella staticità organizzativa di una parte della sanità italiana, dovuta a un’analisi non adeguata e contraria al progressivo sviluppo tecnologico e tecnico e all’importanza di avere centri iper-specializzati ad alto volume.

Solo ultimamente alcune aziende ospedaliere hanno dedicato maggiore attenzione alla customer experience per sapere anche cosa il cliente sanitario si aspetta. Oltre alla prestazione medica si sommano diversi item che contribuiscono alla reputazione dell’ospedale: accesso fisico o digitale, accoglienza, tempi di attesa, cortesia, ambienti, pasti, ecc. Se non per rarissime eccezioni, gli ospedali pubblici non valorizzano la funzione di marketing e comunicazione, dove quest’ultima viene spesso associata alla sola comunicazione istituzionale, ed è opportuno evidenziare che anche nel privato ancora in molti casi non c’è una corretta concezione ed importanza del ruolo.»

Comunicazione istituzionale di un brand sanitario e comunicazione dei servizi, in che cosa si differenziano?

«Un brand è nella testa del cliente, con valori che si costruiscono nel tempo e sedimentano nella mente di chi sceglie. Sono tanti i fattori che contribuiscono a consolidare un brand anche in questo settore, come lo sono la storia e la solidità organizzativa della struttura ospedaliera o, nel nostro caso, del Gruppo.
Divulgare e raccontare le specialità mediche che ci distinguono, le tecniche operatorie in base alla patologia o le tecnologie disponibili per la prevenzione o la diagnosi fanno parte della comunicazione del servizio, utile al paziente per orientarlo nelle scelte. Raccontare gli investimenti in tecnologie, innovazioni, comfort, le esperienze positive dei pazienti e la visione dell’azienda nei prossimi anni contribuisce a consolidare istituzionalmente verso gli stakeholder il brand. Tutto ciò sfruttando diversi canali online e offline, dal sito alle piattaforme social, dai magazine di salute alla stampa generalista, televisione o radio.

Il nostro sistema sanitario ha retto il colpo a cui l’ha sottoposto la pandemia. Ha però evidenziato una certa fragilità nella comunicazione istituzionale, rivelando una mancanza di strategia, coesione e impiego di professionalità adeguate al settore. Situazione nella quale i media si sono buttati “a cuor leggero” creando disorientamento e utilizzando i social media in maniera errata sia per il loro brand che come piattaforme social news.

Il paradosso è che in Italia gli organi di informazione prediligono ancora il sensazionalismo della malasanità, quando si è bersaglio di notizie contrastanti, fake news e toni allarmistici spesso non necessari. È quanto mai opportuno ricordare che il Servizio Sanitario Italiano è considerato tra i primi tre al mondo per qualità delle cure, ed è tra i più inclusivi del pianeta, e con queste caratteristiche potremmo farlo diventare una risorsa che incide sul PIL positivamente, richiamando pazienti da altri paesi così da costruire un solido turismo sanitario

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