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L'influencer marketing è in crisi e lo dimostra il fatto che i post degli influencer coinvolgono sempre meno

Influencer marketing è in crisi? Alcuni dati

A suggerire che l'influencer marketing è in crisi sono dati che parlano di un engagement generato dagli influencer in continuo calo.

Che quello dell’influencer marketing fosse ormai un mercato maturo lo avevano sottolineato diversi studi. Quello che di inedito fa l’ influencer marketing Benchmarks Report 2019 di InfluencerDB , così, è avanzare il sospetto che l’ influencer marketing è in crisi, a patto certo che per “crisi” si intenda un’inversione di tendenza – in negativo – per quanto riguarda l’ engagement generato dagli influencer e dai loro post, anche in settori insospettabili come il fashion e il beauty.

E se la crisi dell’influencer marketing dipendesse dalla bassa qualità dell’audience degli influencer?

Quello di cui molti marketer stentano a rendersi conto è, in altre parole, che l’affollamento e il numero sempre più alto di soggetti che destinano budget all’influencer marketing hanno progressivamente abbassato l’asticella della qualità. Basti pensare a un parametro che da InfluencerDB hanno indicato come “Audience Quality BenchMark” e che, più praticamente, ha a che vedere con la composizione dell’audience di Instagram, regno per antonomasia dell’influencer marketing: ci sono paesi come il Brasile in cui è molto basso, possibile spia del fatto che esiste una vera e propria industria del fake engagement che, mentre soddisfa metriche di vanità come il numero di follower di un account, abbassa drasticamente la qualità appunto delle interazioni tra l’influencer e la sua community. Anche in mercati più maturi come quello americano, però, l’influencer marketing è in crisi per colpa di bot e profili fake contro cui le stesse piattaforme si sono viste costrette a intraprendere azioni ad hoc.

L’influencer marketing è in crisi? O è in crisi la capacità di creare engagement degli influencer?

Uno degli insight più significativi dello studio, comunque, ha a che vedere con il numero di like ricevuto dai post degli influencer in rapporto al totale dei follower: anche in questo caso il trend è negativo, con differenze rispetto solo allo scorso anno che superano in qualche caso i tre punti percentuali. Più nel dettaglio? I post che creano più interazioni sono quelli dei travel influencer, pure fermi a una “Like Follower Ration” del 4.5%, quando lo scorso anno questa era dell’8%.

Seguono sport e lifestyle e, solo in coda, settori come moda, beauty e food che per lungo tempo sono stati campo di prova per le strategie di influencer marketing. Non è un caso: la crisi dell’influencer marketing potrebbe derivare infatti da una maturità del sistema che si è fatta impasse e che si traduce nella difficoltà di trovare modalità, formati di collaborazione tra brand e influencer nuovi e in grado di mantenere alti coinvolgimento e attenzione dell’utente.

La buona notizia è che questa crisi di engagement non sembra riguardare – o riguarda almeno solo marginalmente – gli influencer con community più piccole: per chi ha fino a 10mila follower la “Like Follower Ration” di InfluencerDB resta, cioè, abbastanza alta a dimostrazione, appunto, che non è più tempo di A-list influencer e influencer celebrità ma di micro-influencer e nano-influencer con community affezionate, attive, da cui sono riconosciuti in virtù di un’expertise precisa e presso cui godono di una certa credibilità. Con più probabilità del resto, per non perdere lo status di cui godono, piccoli influencer come questi badano ancora alla qualità dei contenuti, al loro risultare in linea con gusti e bisogni di un’audience che non solo conoscono più approfonditamente ma con cui hanno, soprattutto, maggiori opportunità di interagire in maniera diretta.

Il successo dell’influencer marketing ai tempi del traffico paid

Una apposita sezione dell’Influencer Marketing Benchmarks Report 2019 è dedicata, comunque, ad analizzare come cambia l’engagement a seconda che i post degli influencer siano o meno sponsorizzati. La tentazione è, in questo senso, di dire che l’influencer marketing è in crisi quando e se si considerano i soli risultati organici: pure in calo rispetto al 2016, agli albori dell’industria degli influencer, infatti l’engagement riferito ai post sponsorizzati rimane più alto rispetto a quello dei post non sponsorizzati e ciò vale in tutti i paesi e per tutti i settori presi in considerazione. Da InfluencerDB provano a fare una serie di ipotesi: è possibile che gli influencer prestino maggiore cura e attenzione nella realizzazione di ogni componente – visiva, testuale – del post quando questo è sponsorizzato o che, specie se si tratta della community affezionata di un piccolo influencer, i follower siano fieri della collaborazione con brand e aziende tanto da premiare l’influencer del caso con più like. Ovviamente non sono escluse tecniche di black hat che portano gli influencer a comprare like nel caso di post sponsorizzati, nel tentativo di convincere le aziende in merito al ritorno concreto delle campagne che li vedono coinvolti. L’ipotesi più probabile però rimane quella di algoritmi che sempre di più, soprattutto su Instagram, premiano sponsorizzati e contenuti paid e non post e traffico organici.

Smettere di  destinare budget a campagne che vedono coinvolti gli influencer, insomma, non sembra essere la soluzione migliore, se anche fosse vero che l’influencer marketing è in crisi. La parola d’ordine è razionalizzare, sia che si tratti di scegliere con attenzione l’influencer a cui rivolgersi e con cui chiudere una collaborazione, sia che si tratti invece di definire ogni singolo aspetto della campagna.

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