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Influencer Marketing Report 2018: lo stato dell'arte quanto ad aziende e influencer in Italia

L'Influencer Marketing Report 2018 segna lo stato dell'arte quanto alla collaborazione tra aziende italiane e influencer.
È una strategia «dedicata», «fatta dalle persone, per le persone» o, almeno, così la definisce l’Influencer Marketing Report 2018. Proprio per questo, il primo studio sistemico svolto dall’Osservatorio sull’ influencer marketing di IED e AKQA non può che segnare una popolarità crescente degli influencer anche presso le aziende e i soggetti business italiani che, con sempre più frequenza, li coinvolgono nelle proprie strategie di marketing e comunicazione. Il mercato nostrano dell’influencer marketing, in altre parole, vive oggi di una crescita consistente (di circa il 65%), trasversale e in tutto e per tutto paragonabile a quella che si registra nei mercati internazionali.
Perché (e come) le aziende italiane scelgono gli influencer da coinvolgere
Più nello specifico? Il 64% del campione sembra essersi rivolto nell’arco del 2018 a degli influencer: lo ha fatto l’80% delle multinazionali, il 57% delle PMI e almeno una startup su due. Gli obiettivi sono diversi e tradiscono, forse, una certa immaturità del mercato italiano, rispetto a quello statunitense per esempio dove la pratica è certo più radicata nel tempo. Chi ha fatto influencer marketing in Italia lo ha fatto soprattutto guardando alla possibilità di migliorare l’awareness del proprio brand (56%) e di garantire maggiore notiziabilità ai propri eventi (18%), oltre ovviamente a quella di aumentare le vendite dei propri prodotti (17%). Risultati sales a parte, se c’è una cosa che insegnano i mercati più maturi – come quello americano appunto – è che ci sono obiettivi più robusti che giustificano l’investimento in influencer marketing, tra cui il reale engagement della propria community e dei propri consumatori, per esempio.
Si fa presto comunque a parlare di influencer; un po’ meno semplice è orientarsi però tra archetipi diversi di influncer, micro-influencer, ecc. L’essenziale, allora, prima di mettere in piedi una strategia di influencer marketing è riuscire trovare le figure giuste con cui collaborare. Secondo il report in questione, le aziende italiane hanno utilizzato come criterio di scelta soprattutto il brand fit (lo ha fatto il 35% del campione IED-AKQA) e, cioè, una certa adattabilità e una certa assonanza tra il brand e l’influencer in questione. Non meno importanti sarebbero stati l’affinità di target (19%), un’analisi quali-quantitativa (14%) e delle metriche (8%) sulla presenza online dell’influencer, qualche riflessione sulla sua content strategy (7%) e, più in generale, sulla sua credibilità e la sua personalità (5%).
Maggiore attenzione nella fase di scelta dell’influencer – o degli influencer – con cui collaborare si dovrebbe tradurre, tra l’altro, in una maggiore soddisfazione rispetto ai risultati della propria strategia. È quello che sembra essere avvenuto per la maggior parte di aziende italiane che quest’anno hanno sfruttato l’influencer marketing: il 76% si è detto soddisfatto del proprio investimento, contro meno di un’azienda su cinque che avrebbe mostrato invece una certa insoddisfazione.
Tra insoddisfazione e strategie che mancano: la resistenza italiana all’influencer marketing
È interessante, proprio in riferimento a quest’ultimo dato, il tentativo del report di capire le ragioni d’insoddisfazione nei confronti dell’influencer marketing, tanto quanto quelle resistenze che tengono ancora molte realtà di business lontane dall’avere una chiara strategia in materia.
Chi ha collaborato con un influencer e si è detto non soddisfatto di questa collaborazione lo avrebbe fatto soprattutto a causa di risultati difficilmente misurabili (ragione valida per il 28% del campione), mancanza di planning e di strategia (26%), pregiudizi iniziali nei confronti dell’influencer marketing (21%), poca disponibilità dei singoli influencer (11%) o una loro incompatibilità con i valori, la mission , gli obiettivi aziendali (9%).
Lo scetticismo delle aziende italiane nei confronti di questo tipo di strategia sembra essere legato, invece, all’incapacità di interpretarla come necessaria (non lo è per il 27% del campione che ha dichiarato di non aver fatto influencer marketing nel 2018), per mancanza di budget o di strategia (in entrambi i casi per il 16%) o per incapacità di trovare partner (10%) e influencer in target (5%).
A guardarla più da vicino, insomma, anche questa resistenza italiana all’influencer marketing sembra essere legata a una mancanza di competenze e saperi ad hoc all’interno dell’azienda. La maggior parte delle realtà intervistate da IED e AKQA non ha al suo interno una figura specializzata – e poco o nulla cambia, in questo senso, a seconda della dimensione dell’azienda in questione – e per questo si rivolge a soggetti, esterni, che operano nel settore come agenzie specializzate nell’influencer marketing (lo fa almeno il 36% del campione), agenzie digitali (29%) e agenzie di digital PR a cui affida lo scouting (vale per il 38% di aziende italiane), l’attività di monitoraggio e report (26%) e persino la formulazione di una strategia (20%).
Prospettive future, per l’Italia e non solo, secondo l’Influencer Marketing Report
Le buone notizie, comunque, sono due. Sia chi ha già investito in influencer marketing, sia chi non ha ancora una chiara strategia in questo senso desidererebbe un’adeguata formazione in materia (su questo si dice d’accordo almeno il 47% del campione) e, ancora una volta, le differenze sono minime tra grandi multinazionali, PMI o startup. Nel 2019, poi, potrebbe risultare aumentato l’investimento nostrano in influencer marketing: la maggior parte delle aziende italiane (il 74%), infatti, ha speso fin qui tra mille e cinquantamila euro in attività continuative di influencer marketing, il 95% ha in programma di investire anche nel 2019 e per un 35% del campione l’investimento potrebbe aumentare anche fino al 10%.
Con ogni probabilità, infine, chi farà influencer marketing in Italia guarderà soprattutto e con crescente attenzione ai temi del brand fit e dell’implementazione di kpi adeguati: temi vagamente retrò se si pensa che al centro dell’attenzione nel mercato americano ci potrebbero essere invece la necessità di regolamentazione e quella di andare oltre il semplice uso dei social network nelle attività degli influencer.
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