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Insuccesso dell'influencer marketing: cause e casi celebri

Insuccesso dell'influencer marketing: da cosa dipende?

Da cosa dipende l'insuccesso dell'influencer marketing? Cosa ha portato, cioè, molte campagne di questo tipo al fallimento? Un caso di scuola

C’è chi sostiene che il 2019 sarà l’anno di nano e micro influencer e chi, ormai da tempo, cerca di coinvolgerli anche in iniziative di comunicazione politica e pubblica. Con i reparti marketing che destinano parte sempre più consistente di budget in campagne di questo tipo, però, quello di cui non si parla altrettanto sono i casi di insuccesso dell’ influencer marketing . Lontano dall’essere una scienza esatta, infatti, anche il marketing dell’influenza, se non è parte di una strategia più complessiva e olistica, può rivelarsi un flop e costringere il brand a fare i conti con perdite che, oltre che materiali e legate per esempio al budget investito, al danno in perdite di opportunità, ecc., possono essere anche di immagine.

Le principali cause di insucesso dell’influencer marketing

Guardare, come hanno fatto da SocialMediaToday, alle principali cause di insuccesso dell’ influencer marketing può essere utile, così, per evitare almeno gli errori più grossolani quando si stanno provando a coinvolgere degli influencer nelle proprie strategie di marketing.

Spesso per esempio le campagne di influencer marketing falliscono perché non si sono stabiliti degli obiettivi chiari o, meglio, perché gli obiettivi fissati per le campagne di influencer marketing non sono in linea con quelli, complessivi, del brand. Tradotto significa che anche una campagna che coinvolga degli influencer non può non passare al vaglio di reparti diversi da quello marketing, reparti come quello delle vendite, per esempio. Solo così, del resto, si possono stabilire obiettivi comuni chiari – che siano di lead generation , l’aumento delle vendite, ecc. – e altrettanto chiare metriche di valutazione degli obiettivi già raggiunti.

Com’è stato sottolineato spesso e a più voci, poi, un elemento chiave per il successo – o, a seconda delle prospettive, appunto l’insuccesso – dell’influencer marketing è la scelta degli influencer. Per fortuna oggi ci sono tool e agenzie che permettono di identificare quali sono gli influencer più in linea, che incarnano meglio il proprio brand e il proprio prodotto e persino l’intelligenza artificiale può essere d’aiuto in questo senso.

Ci sono, però, task che rimangono in mano al brand stesso ed è giusto che sia così. Se molte iniziative di influencer marketing falliscono, del resto, è proprio per un certo lassismo da parte di chi le ha ideate: in ogni momento, a qualsiasi punto la campagna sia arrivata e anche se ci si è affidati a terzi, insomma, il brand, l’azienda in questione non può che essere l’unico responsabile dei risultati – buoni o cattivi che siano – ottenuti fin lì. Molto più operativamente, ciò significa per esempio riuscire a stabilire, e fin da subito, un rapporto e un dialogo costante con quelli che sono stati individuati come gli influencer più adatti per la propria campagna. Può servire, in questo senso, una buona dose di pazienza ed è meglio prepararsi fin da subito a dimostrarsi disponibili, rintracciabili e collaborativi in qualsiasi momento ed essere pronti a fornire agli influencer tutto il supporto – tecnico o in termini di informazioni, strumenti, contenuti, ecc. – di cui possono aver bisogno. Guai, però, a non lasciare loro lo spazio necessario e a pretendere di mettere becco in qualsiasi decisione: un influencer, un buon influencer, infatti è l’unico che conosce davvero e al meglio com’è fatta, come interagisce, che tipo di contenuti gradisce la sua community di riferimento; è inutile, e spesso visto male da parte dell’influencer stesso, così che sia il brand a voler imporre per esempio calendari, plan o linee editoriali e di contenuto. Il corollario è, com’è facile capire, che un rapporto di fiducia tra brand e influencer è fondamentale per la buona riuscita di una campagna di influencer marketing, di qualsiasi tipo essa sia. In qualche caso, se gli obiettivi specifici delle singole iniziative lo consentono, può essere proficuo addirittura stabilire collaborazioni durature e continuative nel tempo con gli stessi influencer.

Quando l’insuccesso dell’influencer marketing dipende da errori di brand e influencer

Va da sé che, in non pochi casi, l’insuccesso dell’influencer marketing è legato a un atteggiamento malevolo di brand e influencer. Non di rado i primi hanno provato per esempio a non pagare gli influencer coinvolti nei loro progetti, proponendo in cambio di quello che è un vero e proprio lavoro di content creation e community management soltanto prodotti in prova gratuita, o hanno richiesto molto più impegno, molte più task e più complicate di quanto pattuito. In questo senso, una migliore regolamentazione in materia di influencer marketing non farebbe che giovare a tutti i soggetti coinvolti, compresi ovviamente i consumatori finali desiderosi e meritevoli di maggiore trasparenza. Qualche passo avanti, in questo senso, è stato già fatto: c’è un codice di autodisciplina, per esempio, che invita gli utenti a segnalare i post e i contenuti frutto di sponsorizzazioni e collaborazioni con brand e aziende e pare che in America qualche vip sia stato richiamato già dalle authority competenti proprio per i suoi rapporti poco chiari con imprese e aziende.

Dall’altro lato, comunque, altrettanto a rischio sono le tecniche di black hat  praticate dagli influencer. Prima tra tutte la compravendita di follower che è servita fin qui a pompare metriche di vanità, come quelle che hanno a che vedere appunto con la dimensione della community. Già da tempo però le piattaforme minacciano di penalizzare chi abbia profili frequentati soprattutto da account fake e bot e, nella prima metà di febbraio 2019, proprio un crollo improvviso dei follower su Instagram che ha colpito anche star come Arianna Grande e Selena Gomez ha fatto pensare che la piattaforma avesse finalmente preso i provvedimenti tanto annunciati (anche se in realtà, da Instagram, non hanno chiarito ancora se si sia trattato effettivamente di un’operazione anti-bot o di un semplice bug del sistema).

Fyre Festival: un caso di scuola quanto a insuCcesso dell’influencer marketing

Quello che è stato, forse, fin qua uno dei più grandi casi di insuccesso dell’influencer marketing – al limite di una frode come raccontano Business Insider e Vice – del resto vede protagonisti proprio i grandi numeri delle star di Instagram. Nel dicembre 2016, sui social si comincia a parlare del Fyre Festival, un esclusivissimo festival musicale ideato dal rapper Ja Rule e che si terrà l’aprile successivo su un altrettanto esclusivo arcipelago delle Bahamas. C’è un alone di mistero sull’intera vicenda: i primissimi annunci vengono fatti con dei semplici quadrati monocromi arancioni che agli occhi di tutti appaiono come dei teaser di quello che sarà il programma vero e proprio del festival; solo più tardi, insieme alla presentazione dei primi ospiti che calcheranno il palco del Fyre, comincia un vero e proprio bombardamento di informazioni, curiosità, meravigliose foto dal set da parte di influencer molto conosciuti in Rete, modelle di Victoria’s Secret e altre star che annunciano la loro partecipazione al festival. Il risultato? I biglietti vanno immediatamente esauriti, nonostante il prezzo tutt’altro che modico (dai 2 ai 12mila dollari). Un ottimo esempio di come funziona l’influencer marketing sembrerebbe fin qui, unito ovviamente a quell’eterno fascino che esercitano tutte le esperienze esclusive, per pochi, in grado di far sentire i partecipanti parte di una cerchia ristretta e di fortunati. Peccato che, invece, il festival sia stato un vero flop e che a qualche anno di distanza ci siano addirittura dei procedimenti penali ancora in corso: chi aveva comprato i biglietti per il Fyre Festival, infatti, arrivato sull’arcipelago, non aveva trovato ad aspettarlo niente di quanto immaginava: nessun resort esclusivo e niente cibo stellato, solo qualche capannone in plastica e pasti di fortuna offerti tra l’altro da un ristorante che non è mai stato pagato dall’organizzazione; gli ospiti musicali nel frattempo avevano disdetto la loro partecipazione e il governo aveva dovuto approntare un piano di evacuazione e bandire gli organizzatori dal territorio nazionale. Cosa era andato storto? Solo le autorità competenti potranno evidenziare eventuali responsabilità penali e l’ipotesi di dolo nel comportamento degli organizzatori. Il Fyre Festival, però, per chi vuole evitare l’insuccesso dell’influencer marketing è l’esempio forse più esplicito della potenza, in termini di esposizione e reach del messaggio, a tratti ingovernabile, che può avere una campagna che coinvolga degli influencer e, allo stesso tempo, dei danni che può fare proprio per questo una strategia cieca e poco oculata.

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