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illimity e la relazione tra brand e clienti di nuova generazione: un'intervista a Giuseppe Montella in vista del Richmond Digital Communication Forum 2022

intervista a Giuseppe Montella Richmond Digital Communication Forum 2022

Il caso della community "Vai Oltre la Forma" di illimity mostra come è possibile puntare a realizzare in maniera collettiva e collaborativa, con il coinvolgimento dei clienti, anche servizi come quelli bancari.

In preparazione della prossima edizione del Richmond Digital Communication Forum, che si terrà al Grand Hotel di Rimini dal 14 al 16 di settembre 2022, l’organizzazione dell’evento ha intervistato uno dei relatori che salirà sul palco: Giuseppe Montella.

Chi è Giuseppe Montella

Giuseppe Montella dal 2020 insegna Business Design al Politecnico di Milano e la sua definizione professionale è attualmente quella di head of digital strategy and design di illimity. A Rimini, durante il Richmond Digital Communication Forum, terrà una relazione sul viaggio memorabile”, la promessa che sta alla base del lavoro di chi disegna prodotti e servizi che fanno sentire uniche le persone.

Napoletano d’origine e milanese d’adozione, di sé dice: «51% creatività napoletana e 49% focalizzazione milanese». La sua carriera lo ha portato ad approfondire piuttosto che esplorare: ha trascorso 13 anni in Vodafone occupandosi di strategia di innovazione, nuovi prodotti e canali digitali.

Disurptive innovation e focus sulla community: la forza di illimity e di Giuseppe Montella

Nel 2018 Giuseppe Montella è entrato in illimity per fare disruptive innovation attraverso il coinvolgimento dei clienti e la prototipazione di nuove esperienze. Un percorso professionale di spessore e segnato dalla buona sorte («mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto», afferma), che gli ha consentito di essere in prima linea in luoghi in cui l’innovazione si è fatta davvero, osservando e traendo insegnamento da situazioni straordinarie. Come ha raccontato egli stesso al team del Richmond Digital Communication Forum:

«Disruptive è una parola affascinante ma anche rischiosa. Fa pensare al fatto che ciò che si è accumulato e stratificato nel tempo debba essere modificato. Mentre il passato è un punto importante da cui partire, per liberare nuovo potenziale. Un tema, il potenziale, che nel mestiere di designer è un po’ il “Sacro Graal”. Come rabdomanti, infatti, cerchiamo giacimenti di potenziale ed energie che avevamo ma che erano sopite o energie nuove che si incontrano nella contaminazione fra saperi, persone e business.

Sbloccare il potenziale – posso confermare – è il purpose di illimity, la sua ragion d’essere. Mi riferisco in prima battuta al potenziale della nostra community: persone con cui abbiamo immaginato e disegnato soluzioni adatte ai loro bisogni e soluzioni che spesso si sono mosse lontano dalla scintilla originale e, a loro volta, hanno fatto nascere altri bisogni e ulteriori spunti di ricerca.»

Quindi alla parola “potenziale” associa il concetto di “community”?

Basata sul target private e famiglie, la nostra community Vai Oltre la Forma” è nata nel 2018, prima della banca stessa. E quello che abbiamo imparato interagendo con una community, cresciuta e consolidata nel tempo, è di mettere il cliente al centro del nostro modo di fare innovazione. Per tornare alla domanda, se si dice “potenziale” io dico “mindset“.»

Senza una sintonizzazione preliminare, quindi, non accade nulla? 

«Voglio solo dire che è difficile fare innovazione se tutti gli attori coinvolti non hanno già assimilato un approccio che contiene l’idea di sbloccare il potenziale dei singoli individui e, in seconda battuta, dei processi. Chiamo questa predisposizione “umanizzazione del digitale”. Ci sono tipologie di communiter in “Vai Oltre la Forma” che di fronte alle sfide quotidiane manifestano un grado di curiosità e di progettualità più elevato: sono individui che non si stancano di provare e riprovare, sono alla ricerca di qualcosa. In un mondo di servizi indifferenziati e “commodizzati” come è quello bancario, dominato da realtà molto solide, persone come queste, con cui si scambiano opinioni, consigli, passaparola, sono preziose.

Proprio per legarci a questo concetto, a febbraio 2022, infatti, abbiamo lanciato b-ilty, la piattaforma bancaria pensata per le piccole e medie imprese e nata dal coinvolgimento e dall’ascolto di più di mille imprenditori.»

Quando si ha la fortuna di avere un “orto” come questo come bisogna curarlo?

«Il mio percorso è atipico: arrivo al design dalla strategia e dal business. Nei territori del business ho imparato l’importanza di mettere il cliente al centro del progetto. Più facile a dirsi che a farsi. Il mio lavoro è trovare l’equilibrio fra desiderio e necessità, fra soddisfazione del cliente e sostenibilità finanziaria. Occuparsi solo di uno dei due poli è limitante, perché tende a semplificare troppo la realtà. Oggi si tende a confondere il canale con la sostanza, a pensare che i social media siano sinonimo di community. Non è così. Il canale è solo uno strumento.
Un brand che vuole essere futuro deve costruire relazioni e valore per i suoi clienti presenti e futuri. Io credo fermamente nel passaparola e so quanto efficace possa essere. Negli anni, confesso che in certi momenti ho sofferto per un eccesso di orientamento agli obiettivi di breve termine, a discapito di una creazione di valore con tempi “naturali”.»

Dove e come imparano le aziende a creare community?

«Prendono spunto dai migliori. Imparano dai brand di successo che hanno saputo mettere in piedi veri e propri sistemi digitali di loyalty, nei quali l’utente è invogliato a partecipare, a usare i servizi e anche a dire le cose che non vanno bene in una logica costruttiva. Ci hanno educato aziende come Amazon che mettono al primo posto la customer obsession e che lavorano alla gestione degli errori del servizio in modo che il cliente si senta in cima alla lista delle priorità. Le aziende sbagliano e questo non è un problema. Le aziende brave sono quelle che trasformano la gestione dell’errore in un’opportunità per rinsaldare il legame

I clienti delle aziende di successo sono quelli messi nelle condizioni di vivere esperienze, all’interno di quella che potremmo definire “customer experience”?

«Esatto e nella mia visione è un passaggio cruciale. La customer experience va al di là dei canali. Noi siamo “digital first” ma non “digital only” e vogliamo umanizzare il digitale a tutti livelli, persone, small business e corporate. In questo approccio, la customer experience è fondamentale. Io la definisco come quel viaggio che un’impresa, una famiglia o un individuo compiono insieme al brand.
Non dobbiamo costruire la Cappella Sistina: certe volte basta poco per colorare questo viaggio rendendolo fluido e piacevole. È importante semplificare al massimo l’experience di onboarding, dare il “welcome” ai clienti in modo da farli sentire speciali e ben accolti, permettendo di scoprire tutte le potenzialità della piattaforma e tutti i canali di assistenza umana.
Stiamo attraversando una fase storica di grande interesse, con parole d’ordine nuove come transizione digitale, sostenibilità, climate change, per cui c’è bisogno di fiducia e la customer experience è prima di tutto un motore che genera il valore della fiducia. Noi non abbiamo l’ambizione di sapere già cosa vogliamo fare, ma sappiamo come vogliamo farlo: facendo leva sulla fiducia.»

Come è nata la community di illimity?

«illimity si è subito posta come banca di nuovo paradigma. Quando è nata la prima scintilla della community “Vai Oltre la Forma”, sono rimasto sorpreso. Nella mia più rosea previsione non mi immaginavo che ci potesse essere un numero così elevato di persone interessate a ragionare insieme sui nostri prodotti, al di là del reward che si dà in questi casi per il tempo dedicato alla survey. 40mila persone sono rimaste legate alla “causa” a tal punto che hanno continuato a partecipare alla discussione anche quando il reward è venuto meno. C’era entusiasmo, c’era voglia di dare idee, di condividere esperienze.
Oggi una community ce l’hanno più o meno tutti, ma dare un potere reale alla community e metterla nelle condizioni di influenzare la roadmap dello sviluppo del business, come abbiamo fatto noi, è un caso raro.
Per me la community è un gruppo di clienti fidati che dice sempre la verità e probabilmente parla bene di noi, un gruppo che ha trovato qualcosa che non stava cercando e ha deciso di restare, diventando il motore di qualcosa di nuovo. Oggi quando abbiamo un dubbio interpelliamo la community. È diventato per noi un mindset culturale.»

Il concetto di innovazione è ormai molto frequente, in diversi ambiti. È un concetto su cui fate leva anche voi?

«Nella maggior parte dei casi l’innovazione è autoriferita e autoproclamata, ma poi si scontra con un mercato che non riconosce l’innovazione. Spesso le organizzazioni credono di fare innovazione. Siamo sicuri, però, che ci sia un valore nuovo per i clienti? Io sono fiero del metodo che applichiamo quando vogliamo prototipare idee innovative. Ogni idea, sul piano teorico, può essere buona, oggi non è difficile raccogliere idee. Il segreto è testarle in modo veloce e attendibile prima del lancio. Ora stiamo lavorando al lancio di una piattaforma per le imprese e stiamo costruendo una community di imprenditori, un gruppo crescente di persone che formano un panel che ascoltiamo e a cui sottoponiamo idee. Abbiamo lanciato una versione beta che permettesse a un numero di clienti selezionato e limitato di sperimentare in anteprima il nostro b-ilty: il primo business store digitale. Grazie ai feedback degli utenti è nato il primo ecosistema di servizi, prodotti ed esperienze finanziarie per le PMI italiane. Stiamo ragionando su come inserire nello store di trimestre in trimestre la rosa di soluzioni per l’azienda in una logica di release continua e di try & buy per far provare i prodotti per tre mesi e se non convincono non si è tenuti a comprare.Tutto questo partendo da un insight semplice: l’imprenditore è un essere umano, adora sistemi e piattaforme come quello di Spotify, adora Netflix, perché una banca non potrebbe avere un modello di fruizione analogo?»

Qual è il modello di business di b-ilty?

«Ogni anno, senza variare il canone di accesso, b-ilty accrescerà la propria offerta grazie a partnership con associazioni e altri soggetti e grazie alla logica di subscription fee. Il digitale semplifica operazioni che in filiale chiedevano ore di tempo. Questo però da solo non basta. Resta la questione del riferimento umano in azienda. Noi stiamo lavorando a una rete smart, che scalerà a seconda dei volumi e che non vuole fermarsi solo alla vendita ma guarda anche alla gestione. Obiettivo ultimo è un approccio personalizzato combinato a un linguaggio digitale semplice, intuitivo, veloce e al tempo stesso umano, presente, empatico, competente. La combinazione sembra scontata, ma non lo è affatto. illimity è una banca che viene scoperta da chi ha una maggiore propensione al digitale e all’innovazione.
Ci siamo accorti che in Italia esiste un tessuto imprenditoriale molto vitale di circa un milione di imprese che fatturano tra i due e i dieci milioni di euro; per loro abbiamo creato un business store digitale che va oltre il semplice concetto di banca per le imprese: ogni imprenditore può scegliere i migliori prodotti e servizi finanziari per la crescita dell’azienda.»

Cosa fa illimity per essere credibile come incubatore di community?

«Alla nostra community retail abbiamo “dato le chiavi” dell’evoluzione della nostra app. Ai nostri imprenditori stiamo dando centralità per costruire una piattaforma veramente utile alle PMI. Si tratta di un segno concreto di stima e così facendo la rendiamo imbattibile. La partecipazione attiva passa dal livello consultivo a quello decisionale. Nel futuro vedo sempre più DAO (decentralized autonomous organization), sempre più decisioni decentralizzate, sempre più blockchain diffuse e sempre più community che prendono il potere. Dovremo uscire per sempre dall’effetto “assemblea di condominio” che porta a rimandare le decisioni all’infinito e diventare consapevoli del fatto che anche le decisioni hanno un costo di gestione.»

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