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Joy of missing out: come trascorrere meno tempo sui social ed essere felici

Joy of missing out: come trascorrere meno tempo sui social

Joy of missing out: il rimedio alla dipendenza da social network che insegna come trascorrere meno tempo connessi ed essere più felici.

Indica, metaforicamente ancor più che letteralmente, la gioia che si può provare nel perdersi qualcosa: la joy of missing out, o JOMO, è diventata così un rimedio naturale e indispensabile di questi tempi all’obbligo di farsi trovare sempre connessi, informati, operativi, multitasking. C’è chi la pratica come periodo sabbatico o pausa detox dalle tecnologie, gli ambienti digitali e le (cattive) abitudini che questi si portano dietro. Più che una pratica estemporanea, però, sarebbe utile farne un vero e proprio approccio a social network e co., se non addirittura uno stile di vita.

Perché la JOMO può migliorare la vita, on e offline

Nonostante il riferimento, quando si parla oggi di joy of missing out, sia soprattutto alle nuove tecnologie, ai dispositivi mobili e agli ambienti digitali appunto da cui molti hanno sviluppato forme di vera e propria dipendenza, l’idea che perdersi qualcosa possa essere benefico è in realtà molto più analogica di quanto si possa pensare. Chi ha cercato una definizione di JOMO l’ha trovata, infatti, nella capacità di godersi il presente e sentirsi bene esattamente nel posto e nel momento in cui ci si trova, dove il qui e l’ora vanno intesi comunque non solo in senso geografico-temporale ma anche e soprattutto come situazioni e condizioni attuali della propria vita. In molti campi e in molte occasioni è stato sottolineato, del resto, come chiunque sia soggetto oggi a un eccesso di stimoli da un lato e dall’altro esposto a modelli e figure aspirazionali eccessivi e difficili da raggiungere. Nel primo caso fare selezione è indispensabile, dal momento che le risorse e le capacità attentive e di elaborazione si sono rivelate limitate. Quanto al confronto continuo con gli altri e con obiettivi via via più grandi e ostici da raggiungere, se in qualche occasione si può rivelare uno stimolo imprescindibile e utile a migliorare se stessi, in molte occasioni finisce per impedire di godere dei risultati effettivi raggiunti. Nella sua accezione più ampia, la joy of missing out consiste così nel permettersi di rallentare, di vivere al presente senza lasciarsi schiacciare dai dovrei o dai potrei e nell’imparare a gestire le proprie emozioni, positive o negative che siano. I benefici di una simile filosofia dovrebbero essere garantiti: semplificando molto, quando non deve sprecare risorse in preoccupazioni superflue e remote la nostra mente rimane infatti più focalizzata su obiettivi e task attuali e le probabilità che questi vengano raggiunti sono più alti.

Come praticare la Joy Of Missing Out al lavoro

Per questo – come si accennava – non si dovrebbe gioire soltanto dell’essere capaci di perdersi, e senza ansia o sensi di colpa, l’ultima polemica sui social, un nuovo video virale, qualche messaggio in una chat di gruppo, ma si dovrebbe riuscire a fare della joy of missing out una via per affrontare anche la propria carriera e le proprie giornate lavorative, per esempio. Per fortuna il mercato del lavoro è oggi in profonda trasformazione e al mito della produttività del lavoratore o del professionista si è affiancata – e, in qualche caso più virtuoso, direttamente sostituita – una maggiore cura verso il benessere, inteso anche come soddisfazione e felicità, del lavoratore stesso.

Perdersi, volontariamente e godendone, qualcosa sul lavoro ha a che vedere più pragmaticamente allora con imparare a gestire al meglio i propri tempi e le proprie priorità, fissare obiettivi di carriera realistici e raggiungibili e persino migliorare il proprio rapporto con colleghi, capi, competitor . Praticare la JOMO sul lavoro, in altre parole, può significare per esempio imparare a rinunciare a riunioni e Skype-call continue che sottraggono tempo alle attività quotidiane e spesso si rivelano superflue e, più in generale, a gestire meglio il proprio tempo in ufficio; riuscire a fissare obiettivi che contribuiscano, contemporaneamente, a risultati aziendali e personali e a dire no a richieste che poco hanno a che vedere con le proprie mansioni o competenze per esempio e, infine, a vivere i rapporti con colleghi e superiori come momenti di arricchimento personale.

Così la dipendenza dai social ci rende infelici

Tagliare via il superfluo e rallentare, del resto, dovrebbero essere il mantra della joy of missing out. Per questo il riferimento all’uso della tecnologia, all’imperativo di essere always on e alla costante presenza sui social è naturale quando si parla di JOMO. Numerosi studi hanno provato a indagare gli effetti dei social media sugli utenti e quella da smartphone e ambienti digitali – al di là delle diverse formule con cui ci si riferisce a essa: nomofobia, FOMO, ecc. – è stata ormai ufficialmente riconosciuta come una vera e propria dipendenza.

Chiunque può accorgersi d’altro canto di come, anche senza assumere caratteri patologici, l’essere sempre connessi abbia cambiato anche le abitudini più quotidiane e ne abbia create di nuove. Si controlla lo smartphone decine, qualche volta centinaia, di volte al giorno e già da appena svegli; si prova un senso di ansia e smarrimento quando lo si dimentica a casa o ci si ritrova con la batteria scarica; non si può fare a meno di chattare, guardare le storie su Instagram, scorrere la home di Facebook e controllare le notifiche anche mentre si è in compagnia di altre persone e finendo di fatto con l’essere assenti, seppure apparentemente presenti, in entrambe le dimensioni dell’online e dell’offline. Queste stesse abitudini sembrerebbero condannarci all’infelicità. Basti pensare che soprattutto sui social si è continuamente costretti al confronto con gli altri: dalla promozione sul lavoro all’ennesima vacanza in una località esotica, quello che gli altri decidono di condividere – sempre la parte più raggiante e imbellettata della loro vita – impone di fare i conti con quello che si sarebbe potuto essere e non si è, in qualche caso con il fallimento dei propri obiettivi e comunque con modelli difficilmente raggiungibili. Quando non ci si ritrova a mentire pur di far apparire altrettanto attraente la propria vita, ciò si può tradurre in un senso di ansia e frustrazione.

Qualche consiglio per perdersi qualcosa sui social, ma essendone felici

È presto spiegato, allora, perché perdersi qualcosa di quello che sta avvenendo sui social potrebbe rappresentare in realtà un vero e proprio guadagno. Come riuscire a massimizzare questa joy of missing out? Esistono pratici rimedi per trascorrere meno tempo sui social network, utilizzando quei device portatili che sembrano diventati vere e proprie estensioni del nostro corpo o attaccati agli schermi, quanto nuove attitudini da sviluppare.

  • Bisognerebbe, innanzitutto, riconoscere il problema e cioè ammettere di essere dipendenti dai propri dispositivi e dalla propria vita online. Il Center for Humane Technology ha etichettato, in questo senso, gli smartphone come «slot machine tascabili», sottolineando come siano volontariamente progettati nel design e nelle modalità d’interazione per creare dipendenza appunto.
  • Un altro aspetto fondamentale è fare attenzione alla propria dieta mediatica. Esattamente come l’alimentazione si è fatta oggi sempre più consapevole, anche l’approccio alle tecnologie e agli ambienti digitali dovrebbe essere monitorato negli effetti benefici o dannosi che ha per l’organismo. Se seguire un thread dai toni esasperati e con commenti offensivi su Facebook crea ansia e frustrazione si può semplicemente smettere di farlo, esattamente come si può smettere di seguire chi pratica over o shitposting o hate speech e, più in generale, le persone e i contenuti che possono incidere negativamente sulle proprie giornate.
  • Anche gestire i tempi e le proprie interazioni con gli altri è importante. JOMO può significare stabilire infatti dei momenti, certi e limitati, da dedicare al social networking durante la giornata, cosa che dovrebbe evitare di ritrovarsi a perdere tempo su Internet, sottraendolo ad altre attività ricreative, sociali, culturali. Programmare proprio alcune di queste, tra l’altro, potrebbe aiutare nell’impresa di staccarsi dai social. Non si deve essere i soli, però, a rispettare questi tempi: bisogna pretendere che anche gli altri lo facciano, non preoccupandosi per esempio di dover rispondere a un messaggio a qualsiasi ora del giorno o della notte solo per via della fatidica doppia spunta blu.

Dalla JOMO al digital detox: perché le aziende dovrebbero pensare al benessere digitale dei loro utenti

Quando ognuno avrà trovato la sua personalissima versione di joy of missing out, anche situazioni che prima generavano ansia o sconforto, come il non poter sapere in ogni momento dove si trovano o cosa fanno i propri amici grazie ad aggiornamenti di stato, snap, ecc., dovrebbero diventare neutre se non addirittura piacevoli. Per questo, più che un periodo di distacco forzato e forzoso dai social e della tecnologia come lo è il  digital detox , la JOMO sembrerebbe essere un vero e proprio approccio nuovo alla vita digitale.

Un approccio, tra l’altro, che sembra convincere molti. Numerosi vip e personaggi famosi (tra cui lo stilista Stefano Gabbana che, di solito sempre molto attivo in Rete e in particolare su Instagram, ha deciso a settembre 2018 di prendersi una pausa dai social, ndr) stanno rallentando, per esempio, il ritmo della loro presenza digitale. E, secondo uno studio del PEW Research, circa quattro utenti americani su dieci si sono presi una pausa da Facebook, pausa lunga intere settimane se non di più e che in qualche caso ha portato anche alla cancellazione dell’app dal telefono: con ogni probabilità si è trattato anche di una sorta di reazione allo scandalo Cambridge Analytica e di una perdita di fiducia nei confronti della piattaforma di casa Zuckerberg.

Decisamente più significativo sembra comunque il fatto che ad allontanarsi dal social siano stati i più giovani in percentuale nettamente maggiore rispetto agli utenti senior (il 44% di chi ha tra i 18 e i 29 anni, contro un 12% di over 65). Vista in questa prospettiva, infatti, se anche gli utenti più forti e nativi di questi ambienti arrivano ad apprezzarla e ad averne bisogno, la joy of missing out sembrerebbe dover diventare una issue prioritaria e caratterizzante la stessa vita digitale, il che non può richiedere a sua volta un impegno concreto, diretto da parte degli stessi big del settore. La strada da percorrere sembra essere segnata da Google. Dal redesign di Gmail alle nuove feature di YouTube che permettono di quantificare il tempo passato sull’app o di ricevere una notifica quando è ora di prendersi una pausa dal guardare video, passando per una dashboard pensata appositamente per dare agli utenti Android una panoramica delle attività sui dispositivi, la direzione del team di Mountain View sembra essere chiara: costruire una tecnologia che sia «realmente d’aiuto per la persona» (così scrivono) e, in una formula metaforicamente ben riuscita, contribuire al digital wellbeing, ossia al benessere digitale, degli utenti.

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