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Lavorare nella moda? Sì, con queste carriere 2.0

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Tanti giovani sognano ancora di lavorare nella moda. Cliclavoro ha pensato, così, a un piccolo vademecum sulle professioni del fashion 2.0.

Lavorare nella moda è ancora un sogno per tanti giovani cresciuti con il mito di passerelle, collezioni di haute couture, eventi e show esclusivi come quelli delle fashion week. Gli esperti consigliano, così, a chi vuole provare a fare carriera nel mondo del fashion di puntare sulla formazione, meglio se scegliendo un corso universitario di chiara fama e largamente riconosciuto a livello internazionale e che abbia una rete di placement ampia e in grado di accompagnare (con stage, tirocini curriculari e non, ecc.) lo studente nei suoi primi passi nel mondo del lavoro.

Gli studenti di moda? Amano l’Italia, ecco perché

Una buona notizia proprio a proposito viene da Cliclavoro, il portale ministeriale dedicato al lavoro: mentre in molti altri settori l’Italia è vittima di un’ormai famosa fuga di cervelli, lo stesso non succede nel campo del fashion e, quindi, se si tratta di lavorare nella moda. Centinaia di studenti stranieri – europei ma non solo – scelgono, infatti, ogni anno di recarsi in Italia per guardare da vicino il nostro sistema moda e di frequentare una delle tante rinomate scuole di moda nostrane. A richiamarli è soprattutto una certa allure di cui gode ancora il made in Italy: la lunga tradizione italiana quanto a filati e tecniche di confezionamento di abiti e collezioni, la presenza sul territorio di alcune delle firm più rinomate dell’alta moda internazionale fanno sì che al prodotto di moda nostrano siano attribuiti ancora elementi quali artigianalità, cura e attenzione per i dettagli, nonché qualità, che hanno fatto nel tempo di quello Italia-moda uno dei binomi più solidi. Non a caso gli studenti di moda inglesi, soprattutto, riterrebbero che completare in Italia almeno una fase della loro formazione garantirebbe loro maggiori possibilità di lavorare nella moda poi in tutto il mondo.

Il digitale e le trasformazioni imposte alla moda…

Va detto, del resto, che nonostante l’avvento del digitale abbia cambiato tutta la filiera del fashion – o, forse, sia cambiata proprio in virtù di questo – per chiunque voglia lavorare nella moda si prospettano ancora molte e diverse opportunità. Accanto alle figure professionali tradizionali come stilisti, truccatori, costumisti ci sono, infatti, nuovi professionisti specializzati a cui è affidata la cura di ciascuna delle singole sfaccettature di cui vive oggi il sistema moda. Si tratta di professionisti formati per scovare e anticipare nuove tendenze quanto a look, palette di colori, tagli, tessuti, ecc. o che sanno come mettere in piedi lo spettacolo perfetto e che meglio si adatta a una moda vissuta sempre più nella sua dimensione di evento. E, ancora, sono professionisti che sanno come comunicare al meglio un brand, come renderlo di appeal per un certo target o come approfittare al massimo degli ambienti digitali per averne un ritorno d’immagine e non solo.

Per questo, ancora da Cliclavoro, hanno provato a stilare un piccolo vademecum delle nuove professioni digitali del settore del fashion, utilissimo tanto per chi ha da sempre il sogno di lavorare nella moda ed è alla ricerca del modo migliore per farlo, quanto per chi crede che parlare di fashion 2.0 significhi non solo parlare di fashion blogger , pur comunque indispensabili nella nuova economia di questo sistema.

…a partire dall’inizio della filiera tra nuovi materiali e sostenibilità

La rivoluzione digitale nel mondo della moda, del resto, inizia già a monte della filiera, tra professionisti che lavorano soprattutto dietro le quinte o nell’ambito di ricerca e sviluppo quanto a novità nel campo delle fibre tessili, delle altre materie prime e delle lavorazioni o quanto a sostenibilità dei processi produttivi.

Sono figure come, per esempio, l’esperto per la ricerca e la progettazione nel settore tessile che si occupa all’interno dell’azienda di studiare prodotti e processi innovativi e di valutarne la sostenibilità. Per farlo abbina conoscenze specifiche e di settore con saperi di contesto (è lui che si occupa, per esempio, di reperire eventuali fondi o finanziamenti utili per lo sviluppo tecnologico) e con soft skill – oggi indispensabili per le aziende – che gli permettono di capire e anticipare le innovazioni e le esigenze del mercato e dei clienti. O, ancora, si tratta di figure professionali come il responsabile della sicurezza chimica: anche chi acquista beni di lusso è sempre più attento, infatti, ai temi della sostenibilità e dell’impatto ambientale, per questo molti brand di moda puntano su collezioni green con capi ottenuti da materie prime naturali e attraverso processi di lavorazione rispettosi dell’ambiente. Chi si occupa di sicurezza chimica all’interno dell’azienda, allora, conosce alla perfezione i materiali, ha un ruolo chiave nella loro scelta, compila le schede tecniche dei prodotti finali, ma collabora anche e a stretto contatto con l’ufficio marketing e comunicazione per far sì che questa immagine sana dell’azienda possa essere veicolata al meglio.

Lavorare nella moda 2.0: le altre principali figure professionali

Tra le altre figure più sotto ai riflettori quando si parla di fashion e luxury 2.0 ci sono poi, secondo Cliclavoro:

  • il fashion event coordinator: come si è accennato, del resto, la moda vive sempre più di eventi capaci di trasmettere l’identità del brand, meglio se nella cornice tematica delle settimane della moda come quelle milanesi, newyorchesi o parigine. Chi idea un evento di moda deve, perciò, essere una figura creativa, in grado di lavorare a stretto contatto con l’art director aziendale e di supplire alle sue eventuali mancanze, quanto a pragmatismo e capacità logistiche, soprattutto. Non può, per questo, non avere una buona formazione artistica e sociologica, oltre che storica;
  • il fashion country manager: se pensate ancora a case di moda con una sola collezione stagionale per tutti i paesi in cui abbia distributori siete sulla cattiva strada. È vero, infatti, che i mercati sono globali, non altrettanto globali sono però i gusti dei consumatori: lo sanno bene i grandi brand di moda che proprio per questo hanno, nella maggior parte dei casi, collezioni costruite su misura per i diversi pubblici di riferimento. Al fashion country manager, che fa un po’ da tramite tra azienda e consumatori, spetta trovare insomma il miglior posizionamento del marchio sul mercato in questione e le strategie di branding più adatte di caso in caso;
  • il fashion design manager: c’è chi la considera una sorta di evoluzione 2.0 del vecchio stilista: non solo è in grado di prevedere le tendenze e tradurle in moda attraverso abiti e accessori, ma riesce anche a lavorare sul brand in tutte le sue sfaccettature, dall’immagine alla comunicazione interna e corporate per finire con quella verso l’esterno;
  • l’ ecommerce manager: i consumatori cinesi non costituiscono un’eccezione. Anche chi compra beni di lusso è sempre più propenso oggi a farlo online. Una figura professionale come questa ha il ruolo, così, di facilitare il passaggio al digitale dell’azienda, specie quando si tratta di approdare alle piattaforme di eCommerce. Può avere una laurea in Economia o, meglio ancora, in Informatica. Soprattutto, però, non può ignorare i principi del web marketing e deve essere essere in grado di rimanere sempre aggiornata sulle ultime novità del momento.
  • il community manager: come qualsiasi altro brand di qualsiasi settore, un marchio di moda non può fare a meno oggi di una figura professionale che curi la sua immagine negli ambienti digitali, presso le community che nascono al loro interno e che, più in generale, riesca a farne da pr 2.0. Attenzione a non sottovalutare, però, le competenze specifiche di cui un community manager necessita e la capacità di lavorare insieme a chi si occupa, per esempio, di content marketing;
  • il cool hunter: letteralmente il cacciatore di tendenze, è il professionista che prova ad anticipare trend e stili. Lo fa essendo gli occhi, il tatto e i sensi dell’azienda nel mondo: è la professione ideale, insomma, per chi proprio non ce la fa a stare chiuso in un ufficio o è curioso e sempre alla ricerca di novità, spunti e idee. Creatività e spirito d’osservazione sono, senza dubbio, skill indispensabili per un cool hunter. Senza dimenticare, però, la dedizione: non bisogna aspettarsi successo facile, è probabile che si inizierà la propria carriera come consulenti in piccole aziende per approdare solo dopo ai grandi brand.

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