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Lavoratori autonomi: arriva finalmente lo Statuto

Lavoratori autonomi: finalmente in arrivo lo Statuto?

Il DDL in commissione alla Camera mira a colmare i vuoti di tutela che ancora fanno dei lavoratori autonomi soggetti di serie B.

Si profilano importanti novità all’orizzonte per i lavoratori autonomi: dopo l’approvazione alla Camera nel gennaio 2017, infatti, il Senato in terza lettura ha finalmente concluso l’iter legislativo che delinea il nuovo statuto del lavoro autonomo.

Molti in realtà i profili su cui il Legislatore è stato chiamato ad intervenire con il testo in questione e ciò perché i vuoti di tutela per questa categoria di lavoratori, infatti, rappresentano da lunghissimo tempo un problema irrisolto nell’ambito dell’assetto giuslavoristico italiano.

Lavoratori autonomi e dipendenti: due universi paralleli

Ciò essenzialmente in virtù della marcatissima differenza di regime giuridico che esiste tra i liberi professionisti ed i lavoratori subordinati. Per questi ultimi, infatti, già il codice civile esprime un marcato favor ed infatti, all’art. 2087, rubricato tutela delle condizioni di lavoro, stabilisce che «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».

Senza dubbio, però, la svolta epocale per la posizione del lavoratore subordinato si è realizzata con l’adozione dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970). Infatti, ad eccezione di alcune norme di chiara portata generale, come ad esempio l’art. 1 relativo alla tutela della libertà d’opinione, la legge in questione si occupa essenzialmente di disciplinare (e di limitare) i poteri del datore di lavoro, garantendo quindi una disciplina protettiva particolarmente rafforzata per il lavoratore dipendente.

Non esiste fino ad oggi, invece, alcun testo normativo che si occupi – in ottica tutelare – in maniera organica della posizione dei lavoratori autonomi. Ciò, in effetti, si spiega tenendo conto di più aspetti.

  • Anzitutto, infatti, per ragioni storiche. I lavoratori non-subordinati, infatti, hanno praticamente da sempre manifestato una forte tendenza all’associazionismo corporativo, tant’è che ancor oggi sono normalmente organizzati in ordini e collegi professionali. In questo modo hanno spesso beneficiato di ampi spazi di autonomia nella (auto)regolamentazione delle vicende professionali (giuridiche, disciplinari, previdenziali) dei propri iscritti. In epoca fascista, poi, addirittura le norme corporative erano considerate autonome fonti del diritto (art. 1 disp. prel. c.c.).
  • In secondo luogo, poi, l’assenza di una normativa protettiva ad hoc si riconnette alla tradizionale differenza di posizione giuridica tra i lavoratori autonomi e quelli subordinati. Mentre i secondi, infatti, erano ritenuti soggetti deboli (dunque bisognosi di tutela rafforzata) in quanto “in balia” degli eventuali abusi del datore di lavoro (soggetto patrimonialmente più forte), non così per i lavoratori autonomi, datori di se stessi.
  • Da ultimo, per una questione spiccatamente economica: i professionisti, infatti, nel convincimento comune dispongono di entrate sensibilmente più elevate di quelle dei lavoratori subordinati, dunque non occorrerebbero per essi forme solidaristiche di protezione reddituale, previdenziale o sociale.

Para-subordinazione e false partite IVA: “figli illegittimi” del mercato del lavoro?

Queste considerazioni, tuttavia, risultano oggi quantomai anacronistiche e, anzi, risulta essersi verificato un vero e proprio sovvertimento dei ruoli, considerato come molto spesso i lavoratori autonomi si vengano a trovare in una condizione di gran lunga più difficile di quelli subordinati. Tra le molte questioni che si pongono, ci si può limitare qui a segnalarne due di particolare rilievo.

Da un lato, infatti, si pone il problema della parasubordinazione: a parte le ipotesi fisiologiche di co.co.co – co.co.pro. (quest’ultima, invero, superata dal Jobs Act), con tale espressione si indicano anche quei fenomeni di elusione della disciplina protettiva del lavoro subordinato attraverso le cdd. “false partite IVA”. 

Si tratta cioè di quelle particolari situazioni lavorative nell’ambito delle quali esiste un soggetto che svolge in fatto le funzioni di datore di lavoro ed altri soggetti che di fatto svolgono mansioni di lavoro dipendente, ma non in forza di un contratto di lavoro subordinato, bensì figurando come lavoratori autonomi, operando, cioè, con partita IVA. Questo escamotage, come è facile intuire, è giustificato proprio dalla volontà del datore di “avere le mani libere”, in modo tale che i rapporti lavorativi non risultino soggetti alla normativa di protezione operante la subordinazione.

Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione, precisando che, indipendentemente dalla “veste giuridica utilizzata”, anche dietro a relazioni formalmente riconducibili a una collaborazione autonoma si tratterà pur sempre di lavoro subordinato nel caso in cui riscontrino alcuni “indici”, tra cui vincoli di orario, assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, remunerazione a cadenze fisse della prestazioni lavorative, proprietà degli strumenti di lavoro in capo al datore di lavoro e assenza di rischio (Sez. LSentenza n. 1420 del 2002).

In termini più ampi, poi, l’assoggettamento alle altrui direttive rappresenta l’elemento tipico al quale bisogna riferirsi per riconoscere un rapporto di lavoro subordinato, con applicazione della relativa disciplina, anche in presenza di forme esteriori tipiche del lavoro autonomo.

Se questa “criticità” quindi è stata – pur con qualche difficoltà – superata, il problema ancora attuale, sul quale il testo di legge finalmente interviene, è quello della normativa operante con riferimento ai veri lavoratori autonomi, specie per coloro i quali non dispongono di strutture assistenziali-previdenziali corporativi.

Come giustamente osservava il quotidiano la Stampa, in un articolo del 2 febbraio 2017, infatti, i freelance – ma il discorso ben si adegua alla generalità dei lavoratori autonomi – in Italia potevano essere considerati cittadini di serie B.

Il nuovo statuto dei lavoratori autonomi

A parte le problematiche derivanti dalla gravosa burocrazia e dal carico tributario, ciò deriva(va) soprattutto dal fatto che, laddove non intervengano delle casse professionali, i lavoratori autonomi non potevano di norma né beneficiare di trattamenti economici integrativi in caso di malattia (esiste in tal senso solo una circolare per gli iscritti alla Gestione separata INPS) né – paradossalmente – sospendere il versamento dei contributi previdenziali nel caso in cui si trovino con la necessità di impiegare somme, magari ingenti, proprio per spese mediche.

Esattamente per queste ragioni, nel febbraio 2016, è stato presentato, su iniziativa del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, un disegno di legge recante «misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato».

Il provvedimento, approvato dal Senato il 10 maggio, si applicherà ai rapporti di lavoro autonomo così come disciplinati dal titolo III del libro quinto del codice civile, ivi inclusi i rapporti di lavoro autonomo che hanno una disciplina particolare ai sensi dell’articolo 2222 del codice civile (ovverosia il cd. Contratto d’opera) (art. 1).

Riservandoci di approfondire più dettagliatamente le in altra sede le misure del nuovo statuto, passiamo quindi in rassegna le principali novità introdotte.

Il provvedimento anzitutto prevede a vantaggio dei lavoratori autonomi l’applicazione di una normativa di protezione in materia di ritardi dei pagamenti, sanzionando con la nullità le clausole contrattuali che – secondo certi parametri – dovessero risultare eccessivamente gravose per il professionista-creditore.

La legge poi prevede – anche per coloro i quali sono iscritti ad albi –  una delega al Governo con la quale abilitare gli enti di previdenza di diritto privato a riconoscere, oltre a prestazioni complementari di tipo previdenziale e socio-sanitario, anche altre prestazioni sociali, a vantaggio di chi abbia subìto una significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà o sia stato colpito da gravi patologie (art. 6).

Per i soggetti non iscritti ad albi o collegi, poi, si provvede anzitutto a modificare – ampliandone la portata – la disciplina del congedo parentale. Sicuramente significativa in tale ottica è l’introduzione della possibilità di fruire del congedo entro il primo anno di vita del bambino a prescindere dall’ammontare dei contributi versati.

Pure si prevede, ai fini della corresponsione dell’indennità di malattia per gli iscritti Gestione separata INPS, l’equiparazione alla degenza ospedaliera dei periodi di convalescenza conseguenti a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche o comunque per patologie gravi totalmente invalidanti (art. 7).

È attribuita, poi, alle lavoratrici autonome la facoltà di fruire del trattamento di maternità a prescindere dall’effettiva astensione dall’attività lavorativa, con ciò introducendosi una disciplina addirittura più favorevole rispetto a quella del lavoro subordinato, nell’ambito del quale l’indennità è comunque sempre legata alla astensione dal lavoro (art. 12).

Ancora, si prevede la possibilità di sospensione del versamento degli oneri previdenziali nelle situazioni di malattia grave (art 13), nonché la sospensione del rapporto di lavoro con diritto alla conservazione dello stesso, riconoscimento tanto ovvio e banale quanto incomprensibilmente fino ad oggi inesistente (art. 14).Se il giudizio sulle novità apportate non può che essere positivo, non resta che attendere il completamento del quadro normativo con i decreti legislativi che il Governo è stato autorizzato ad adottare in attuazione delle deleghe conferite su aspetti particolarmente sensibili, come ad esempio l’ampliamento delle prestazioni per maternità e malattia riconosciute ai lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata INPS (art. 6).

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