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Dal lavoro in remoto al futuro del digitale: la “formula” Montemagno

Dal lavoro in remoto al futuro del digitale: la “formula” Montemagno

In un'intervista Marco “Monty” Montemagno ci ha parlato di come investire nel digitale, di trend imminenti, lavoro in remoto e molto altro.

L'intervista a:

Una pagina Facebook con oltre 320mila like a febbraio 2017 da cui ogni giorno, o quasi, parla al suo pubblico di un’infinità di temi, da come stare sui social alle sfide più urgenti del mondo del lavoro; un canale YouTube con quasi 40mila iscritti; un libro che ha scalato le classifiche Amazon già in prevendita: sono solo alcuni numeri del successo del codice Montemagno.

Per chi ancora non lo conoscesse, comunque, Marco Monty Montemagno è, come ama definirsi, un imprenditore digitale o, meglio, un imprenditore di se stesso. Ha un passato in tv dove ha portato una delle prime trasmissioni italiane interamente dedicate alla tecnologia; ha co-fondato Blogosfere, il network di blog professionali poi passato in mano a Il Sole 24 Ore; ancora, ha portato in Italia il format della social media Week, per non parlare del fatto che è, da anni, speaker ambitissimo di eventi dedicati al tech e al business.

Come si passa, insomma, dall’essere imprenditori di se stessi all’essere una figura pubblica e, in qualche misura, d’ispirazione?

La verità è che continuo a fare sempre la stessa cosa da anni e l’unica differenza è che, adesso, ho più visibilità presso un pubblico mainstream, addirittura più di quanta non ne avessi a Sky Tg 24 (dove, come si è accennato, ha condotto IoReporter e Reporter Diffuso, ndr). Essendo Facebook così dentro alla vita delle persone, del resto, c’è un impatto e una visibilità maggiore. Non sono cambiate, però, le cose di cui parlo: la mia lente sono sempre il digital business e la comunicazione. E, soprattutto, non mi permetto mai di dire agli altri cosa dovrebbero o non dovrebbero fare: mi permetto di condividere la mia storia, la mia esperienza, quello che ha funzionato e quello che non ha funzionato. Ognuno, poi, ne tira fuori le cose utili per se stesso e se ci trova qualcosa di “ispirazionale” non posso che essere contento.

Restare sempre se stessi, nonostante la necessità di cambiare e di adeguarsi ai cambiamenti che si percepiscono attorno, del resto, sembra essere parte della formula Montemagno, se esiste. È facile, infatti, essere entusiasti a 25 anni e ad inizio carriera di qualsiasi novità, dell’ultimo gadget hi-tech arrivato sul mercato: poi si invecchia, si diventa padri – di quattro figli in questo caso – e si comincia ad avere una visione differente della tecnologia e del suo impatto sulla vita di tutti i giorni. «Così ho allargato anche i temi di cui parlo comunemente: mi piace, per esempio, parlare del modo corretto di ragionare sul lavoro – ci racconta Marco Montemagno – e, soprattutto, prima parlavo molto meno, mi limitavo a fare un lavoro più giornalistico, pur non essendolo, e più neutrale. Ora la mia opinione la esprimo in modo molto più netto».

La sfumatura che acquista questa ricorrenza del verbo «parlare», quando di mezzo ci sono “Monty” Montemagno e l’attività per cui è noto ai più, è parte anch’essa della formula, del codice a cui si è già più volte accennato. Un video al giorno – ma no, non chiamateli motivazionali – insomma, è quello per cui Marco Montemagno è ormai diventato famoso anche tra i non addetti ai lavori. Famoso e copiatissimo. Del resto «quando fai una cosa che funziona, immediatamente hai cloni da ogni parte. Ogni giorno c’è qualcuno che “copia” e non importa che sia gente che non lavora nel mondo digital che ti vede e vuole replicare quello che fai o gente che, invece, lavora nel digitale e che, magari, da un lato ti critica e dall’altro fa esattamente quello che fai tu per cercare di replicare esattamente il tuo risultato», così il diretto interessato ha provato a spiegare ai nostri microfoni il dilagare dei video alla Montemagno.

Cosa si prova, però, ad essere così “imitati” in una formula per cui, in qualche modo, si è stati i primi?

Io vedo solo la parte positiva che è che la gente comincia a fare i video. Se ci si fa caso, oggi parliamo dei video come qualcosa di strano, ma agli albori dei blog sembrava strano che qualcuno ne aprisse uno, così come nei primi anni in cui è arrivato Facebook era considerato arrogante aprire un proprio profilo e lo stesso è successo con la possibilità di registrare un dominio col proprio nome e cognome. Poi tutto questo è diventato normale. Allo stesso modo, oggi può sembrare ancora strano che qualcuno parli in video, ma nel giro di cinque anni diventerà un canale normale, la gente parlerà quasi esclusivamente in video (gli snap, le storie di casa Facebook del resto vanno in questa direzione, ndr). Certo, poi ognuno decide che strada prendere: si può copiare un altro o farlo, sì, ma come passaggio per trovare la propria identità. Io, da parte mia, spero che nascano presto altri professionisti che “parlano” in video. Pensa se avessi gente con cui collaborare con una community da 2-300 mila persone: sarebbe più facile fare network, mentre oggi sono ancora un po’ solo nel mondo del business e della comunicazione. E, poi, com’è che si dice: copiare è inutile, evitare necessario.

Da più fronti, del resto, il 2017 è stato già definito l’anno dei video e non sono solo i brand che hanno capito l’importanza di una video strategy efficace. A proposito di trend, però, Marco Montemagno sembra non avere dubbi: se ce n’è uno da tenere d’occhio per la disruptiveness con cui caratterizzerà il futuro imminente del mondo digitale è il successo degli assistenti vocali. «La voce sarà fondamentale, ma cambierà radicalmente il mercato e chi lavora col digitale e la comunicazione non può ignorarlo. Se prima si andava su Google e si cercava “imbianchino per la casa”, domani ci si rivolgerà direttamente al proprio assistente vocale, che sia Google o Apple non importa, e gli si dirà direttamente “trovami l’imbianchino per la casa”: automaticamente si salta quindi tutto il mondo Google, AdWords, pay per link. Senza contare su quale base un assistente vocale ti segnalerà l’imbianchino a, b o c. L’obiettivo sarà, quindi, interfacciarci con questi sistemi e, soprattutto, creare un brand in modo tale che parlando con l’assistente vocale non si dica semplicemente “voglio un imbianchino” ma “voglio Montemagno che imbianca che più bianco non si può”. Senza un brand resteremmo nelle mani dell’algoritmo vocale di turno.

Anche per chi intende lavorare nel digitale le opportunità e i modelli di profittabilità sono ancora molti, a patto di partire da una premessa indispensabile: la formula lavorare nel digitale ha finito per diventare nel tempo un po’ vuota e insignificante. «Vuol dire qualunque cosa: essere una social media agency, creare un personal brand e monetizzarlo o, più semplicemente, avere da anni una parrucchieria e usare il digital per promuovere la propria attività», sottolinea Marco Montemagno. Basta, comunque, prendere uno dei grandi temi caldi del digitale di questi ultimi anni, il social media marketing, per accorgersi di come ci sia ancora tanta, tanta possibilità di fare business. «Se prima tematiche come queste riguardavano solo una nicchia di mercato o gli early adopter, oggi c’è un mercato di massa: dal personal trainer, all’estetista, all’imbianchino, al parrucchiere, alla PMI appunto. Se dovessi lanciare un’agenzia di social media o fossi un freelance che lavora nel campo – consiglia Marco Montemagno – andrei a scegliere un pubblico specifico, una nicchia e un settore ben precisi, pagine Facebook per avvocati per esempio, e batterei esclusivamente su quella categoria. Può diventare anche molto profittevole, soprattutto se si considera che per la gestione social spesso bastano già dieci aziende per chiudere il proprio budget».

Cifre e ragionamenti da contabili a parte, però, quello che non si può non registrare è un approccio completamente diverso al digitale, anche da parte di chi fino a poco tempo fa era restio e non riusciva a comprendere l’opportunità di una strategia digitale: «qualche anno fa, quando lanciammo una delle prime agenzie di social media in Italia, le aziende ci dicevano di non voler andare su Facebook perché era un posto “per ragazzini”, figuriamoci su Twitter dove con i 140 caratteri non ci si capiva niente. Oggi, invece, sono più o meno tutti d’accordo sul fatto che bisogna passare da lì: non si hanno più grandi difficoltà a convincerli. Poi, certo, si deve continuare magari a lottare ancora per quanto budget investire». 

A proposito di freelance e nuove forme di lavoro: è tra le voci più credibili in Italia che vantano i pregi del lavoro in remoto.

È da qualche anno che io stesso lavoro esclusivamente in remoto e mi sembra meraviglioso. Ormai non hai nessun problema se sei un freelance o un imprenditore e hai un team completamente delocalizzato. Si prenda il caso di un’agenzia di sviluppo con programmatori sparsi per il mondo: basta commissionare i lavori e assicurarsi che vengano consegnati. Ed è un sistema che funziona per una marea di altri lavori: oggi insomma è oltremodo comune avere collaboratori, anche stretti, che stanno dall’altra parte del pianeta. Certo, gli strumenti di collaborazione e la tecnologia a disposizione hanno fanno molto: il semplice parlarsi in video solo dieci anni fa non era possibile o, se lo era, non era così accessibile anche per un problema di costi. In più, il lavoro in remoto ha il vantaggio che se vuoi ritrovarti con i tuoi collaboratori, per esempio, almeno all’inizio non hai bisogno di investire in uffici, puoi benissimo sfruttare gli spazi di co-working o posti simili. Dai costi alla logistica , cioè, rende tutto più facile o, almeno, semplice in una cornice difficile come il business: qui niente è pensato per essere semplice, altrimenti sarebbero tutti dei fenomeni.

Il modello in remoto è valido anche per la formazione?

Assolutamente: si può formare a distanza e ci sono oggi molti siti (come Lynda, ad esempio) che stanno facendo business grossi solamente con i corsi online. Certo, la formazione person-to-person ha vantaggi ineguagliabili che hanno a che vedere con il rapporto umano che si crea tra le persone o grazie all’esperienza dal vivo. Se si rimane però strettamente sul piano della formazione, specie se i contenuti sono più tecnici come imparare a montare un video, quello a distanza è un modello ottimale ed efficace.

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