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Senior e lavoro in Italia: la sfida della re-generation

Senior e lavoro in Italia: la sfida della re-generation

L'aumento di over 50 in azienda segna la necessità di anticipare rischi di obsolescenza professionale, rendendo i senior un asset di valore.

L’allungamento della vita media in tutti i paesi industrializzati inevitabilmentesi ha una forte incidenza anche sulla vita e le relazioni che si instaurano all’interno degli ambienti lavorativi. La crisi economica e occupazionale ha dato forma a nuovi contesti aziendali dove generazioni diverse, con competenze e “linguaggi” talvolta molto lontanti fra loro, si trovano a dover comunicare. Che peso ha e che cosa significa tutto questo nella vita di lavoratori e disoccupati over 50?

Spesso l’attenzione è focalizzata sulle difficoltà che i giovani riscontrano attualmente nell’inserirsi nel mondo del lavoro, soprattutto a causa dei tassi di occupazione molto bassi presenti in Italia; tuttavia è in crescita il numero di persone fra i 50 ed i 60 anni che hanno perso o stanno per perdere la propria occupazione, tornando così a misurarsi con il mercato del lavoro, oggi regolato da meccanismi del tutto nuovi oppure, ancora, dovendo reinventarsi e mettersi alla prova con strumenti e tecnologie che richiedono competenze del tutto nuove.

Nonostante l’aumento del rischio di disoccupazione, il basso numero di assunzioni fa crescere il peso che gli over 50 assumono nell’attuale mercato del lavoro: secondo la ricerca “Policy e pratiche dell’active ageing nelle aziende italiane”, presentata da Randstad in occasione del convegno “Re-Generation: ruoli e generazioni al lavoro”, dal 2006 ad oggi l’incidenza degli over 50 è passata dal 25% al 30% della forza lavoro totale, con una crescita che si prevede raggiungerà i 23 milioni di persone entro il 2034 (rispetto agli attuali 17 milioni). Cambiano le competenze ma anche le relazioni in contesti nuovi dove la generazione che vive una prima assunzione – oggi tra i 25 e 30 anni di età – si trova a collaborare con la “vecchia generazione”, che non potrà andare in pensione prima dei 70-75 anni.

L’allungamento dell’età media e l’incapacità di coniugare le differenze, rispetto all’attualità, di cui sono portatrici generazioni lontane, può comportare alcuni rischi che le organizzazioni devono tenere sotto controllo, gestendole con politiche innovative per non farne una causa di perdita di produttività.

over 50

 Quali rischi per le organizzazioni? Fonte: Infografica Randstad. 

In che modo affrontare questo mix generazionale facendone un punto di forza per le aziende? La chiave potrebbe essere l’adozione di politiche di active ageing, come sottolinea Fabio Costantini, Chief Operations Officer di Randstad HR Solutions: «Nel contesto attuale le organizzazioni devono adottare una visione che immagini i lavoratori senior come un nuovo asset strategico in grado di contribuire in misura significativa a creare valore e vantaggio competitivo», come viene riportato nel comunicato dell’azienda.

Creare valore a partire dall’esperienza dei lavoratori più maturi, garantendo al contempo il mantenimento della loro occupazione, vuol dire essere in grado di valorizzare le conoscenze e le skill che i dipendenti hanno maturato durante la carriera, preoccupandosi anche di garantire loro un adeguato aggiornamento delle competenze, un miglioramento dell’ambiente lavorativo e l’adozione dei più idonei strumenti di flessibilità e incentivazione. Riuscire a fare tutto ciò nel rispetto delle esigenze e delle diversità legate alla differente età vuol dire lavorare al meglio alla grande sfida che rappresenta la “re-generation”.

I numeri della ricerca: le aziende italiane e i dipendenti SENIOR

Quasi la metà delle organizzazioni analizzate (47%) rivela di aver già eseguito una “mappatura” dei propri dipendenti per stabilire il grado di obsolescenza professionale, individuare le competenze e le motivazioni dei singoli, nonché rilevare rischi e opportunità per l’azienda. Tuttavia, osservando meglio i dati, emerge che questa pratica non viene effettuata con un buon grado di profilazione e, soprattutto, non sembra seguita da una reale consapevolezza delle problematiche che ruotano attorno al fenomeno dell’active-ageing. A dimostrazione di ciò, circa il 67% delle aziende non è conscia dell’esistenza di problemi di impiegabilità e di motivazione che attualmente coinvolgono i dipendenti senior.

Ciononostante, alcune fra le aziende oggetto dell’indagine mettono in campo politiche per la gestione del mix generazionale del proprio organico, al fine di valorizzare non solo la produttività ma anche il lavoro dei dipendenti over 50. L’approccio prevalente vede le organizzazioni puntare sulla formazione attraverso l’adozione di programmi di apprendimento (63,2%) e il passaggio di competenze tra senior e junior (50,5%). Quest’ultimo approccio risulta molto importante anche per favorire l’interazione informale e la cooperazione fra le diverse generazioni presenti in un team di lavoro. Solo il 39,8%, invece, punta all’accrescimento della consapevolezza sul tema dell’age management attraverso la comunicazione.

Non meno importanti della formazione sono le politiche di riorganizzazione del lavoro e di flessibilità, come dimostrano le più recenti riforme volte a favorire il part-time a fine carriere o una maggiore gradualità in uscita. Dimostrandosi abbastanza attente a questo tema, il 50% delle aziende intervistate dichiara di aver concesso modalità di lavoro flessibili come part-time, telelavoro, smartworking, prendendo in considerazione almeno parzialmente le esigenze di flessibilità espresse dai lavoratori (60%). Tuttavia solo il 29,1% permette ai lavoratori vicini alla pensione di ridurre l’orario lavorativo.

In merito ai programmi di job redesign, il 68,9% ha avviato attività per la ridefinizione del lavoro e delle relative competenze per collaboratori over 50 al fine di migliorare in modo sostanziale le performance, per esempio riducendo quelle attività che richiedono un elevato sforzo fisico; il 73,6% è invece intervenuto a favore di una riorganizzazione dello spazio di lavoro.

Nonostante la disponibilità professata, le aziende risultano in ritardo rispetto alla necessità di politiche di re-employment e outplacement dei dipendenti senior che non posseggono più competenze e professionalità in linea con le esigenze del mercato. La ricerca, infatti, mostra che solo il 37,5% dichiara di aver già avviato programmi che puntino al raggiungimento di uno stato-psicofisico ottimale dei dipendenti, così come solo il 20% circa ha adottato pratiche di active-ageing e il 26,4% prevede programmi per la gestione facilitata delle uscite dal mondo del lavoro. Allo stesso modo, solo il 33,5% degli intervistati si dichiara favorevole all’assunzione di nuovi dipendenti over 50, considerando il fenomeno dell’impiegabilità dei lavoratori fra i 50 e i 65 anni una problematica esclusivamente di responsabilità dell’amministrazione pubblica.

Al contrario, secondo il modello proposto da Randstad, un’azienda attenta alla sostenibilità del proprio business nel medio-lungo periodo ed in grado di evolvere con il macroambiente esterno può, invece, anticipare il rischio di obsolescenza professionale attraverso la mappatura di specifiche variabili organizzative – che cambiano secondo la tipologia di business e il profilo demografico aziendale – e umane, come il coinvolgimento dei propri collaboratori.

Senior e lavoro in Italia: la sfida della re-generation

Cosa di può fare? Due approcci alla re-generation. Fonte: Randstad

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