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Le lezioni di marketing di Grey's Anatomy: così un brand diventa un cult

Lezioni di marketing di Grey's Anatomy: da brand a cult

La serie ha una community vasta e affiatata ed è ormai diventata un brand di culto: le lezioni di marketing di Grey's Anatomy.

In Grey’s Anatomy ogni giorno «è un bel giorno per salvare vite!» e per imparare qualcosa di nuovo su come essere un buon leader, gestire la propria community, creare valore attraverso i contenuti, guadagnare visibilità dentro e fuori dalla Rete, rafforzare il proprio brand personale, creare esperienze totalizzanti, ecc. Giunta alla quindicesima stagione, la serie non è solo un prodotto di punta nel palinsesto della ABC, nonostante i numeri parlino di un ascolto medio per episodio di Grey’s Anatomy di 8 milioni di spettatori.

Lezioni di marketing di Grey’s Anatomy: partire dal differenziarsi…

Per il suo pubblico di affezionati il medical drama è soprattutto un appuntamento ormai fisso e immancabile. Tanto che un hashtag , #TGIT (ossia l’acronimo di Thank God It’s Thrusday, dal giorno di messa in onda degli episodi sulla rete originaria, ndr), ha finito per scandire l’attesa di ogni nuova puntata e la fine di ogni vecchia stagione e l’inizio di una nuova sono accompagnati da un incessante chiacchiericcio su trame, scenari possibili. In altre parole? La prima tra le lezioni di marketing di Grey’s Anatomy è come trasformare un prodotto culturale in un brand, meglio in un love brand . Il successo della serie è garantito, infatti, soprattutto da uno zoccolo duro di spettatori che, da ormai tredici anni (la prima stagione è del 2005), segue le avventure degli (ex) specializzandi del Seattle Grace: le corsie dell’ospedale sono per loro luoghi familiari e altrettanto spontaneo è sentirsi partecipi delle sorti dei personaggi, quelli principali almeno, esattamente come lo è per le vicende di familiari o amici. La ricetta del successo? L’hanno cercata in molti, anche se con ogni probabilità rimane nota veramente solo a Shonda Rhimes (show runner della serie). Di certo c’è che Grey’s Anatomy ha saputo differenziarsi dai soliti medical già in onda e lo ha fatto trovando un sapiente mix tra vita professionale e vita privata dei suoi protagonisti, introducendo l’elemento glam in un contesto tradizionalmente drammatico. Come a dire – e lo dimostrano gli ascolti e la vita breve di serie simili – che i consumatori amano appunto i brand che si differenziano.

…e dare valore ai brand personali 

E, qualche volta, i brand si differenziano anche e soprattutto grazie ai brand personali di chi sta loro dietro. Gli startupper per esempio sanno bene quanto lavorare sul personal branding possa incidere sui risultati – anche concreti, economici – e sul futuro della loro impresa. Il che è come dire, in fondo, che Apple sarebbe stata un po’ meno Apple senza Steve Jobs. Persino una serie come Grey’s Anatomy, così, deve inevitabilmente parte del suo successo a singoli personaggi e interpreti molto amati e con un proprio seguito personale. Non solo Meredith Grey da cui la serie prende il nome, la brillante Cristina Yang, l’affascinante dottor Bollore, il dottor Weber per tutti semplicemente il Capo sono casi esemplari di come l’affetto, la simpatia, persino la credibilità verso il singolo possano avere, in un circolo virtuoso, effetti positivi sul prodotto finito, il brand collettivo.

Il contraltare è che il brand d’appartenenza si attacchi in maniera indelebile all’individuo. È inevitabile: per proseguire con esempi già fatti, sarebbe come pretendere di parlare di Steve Jobs senza mai far riferimento ad Apple. Soprattutto questa interdipendenza può rappresentare un rischio, sia per i singoli professionisti sia per il brand di riferimento, in caso di crisi per esempio o di errori commessi da una parte o dall’altra: così, quando le accuse di sessismo sono piovute addosso a uno dei personaggi più amati della serie, il dottor Burke, fu l’intero brand Grey’s Anatomy a rischiare una crisi di reputazione, tanto da costringere gli sceneggiatori a una virata drastica nella linea narrativa. Nella maggior parte dei casi, però, avviene il contrario e, cioè, il successo del brand madre rafforza quelli singoli: lo sa bene Patrick Dempsey che, dopo essere diventato il neurochirurgo più amato del piccolo schermo, gode di una visibilità senza uguali qualsiasi cosa faccia, che sia correre su un’autopista agonistica o lanciarsi nell’avventura di una startup.

Essere visibili dentro e fuori la Rete: la formula di successo di Grey’s Anatomy

lezioni di marketing grey's anatomy campagna stampa

Per il lancio della quindicesima stagione, il settimanale Entertainment ha dedicato la copertina a Grey’s Anatomy (questa la versione dedicata ai Jolex, ndr).

Tra le lezioni di marketing di Grey’s Anatomy, del resto, c’è l’importanza di essere visibili, per i media tradizionali innanzitutto. A questo possono servire le conferenze stampa, gli eventi di lancio, le première ufficiali, le interviste dei protagonisti – meglio se big – e, cioè, il più tradizionale lavoro di pr .

In qualche caso, però, serve ormai giocare d’attacco e attirare, piegare a proprio favore la notizia. Bisogna considerare, in questo senso, che i media sono sempre più attenti a quello che succede sugli altri media. Per questo lo stralcio dell’intervista di un attore o lo spezzone della sua ospitata in un programma televisivo possono essere ripresi e riproposti innumerevoli volte e stimolare la curiosità verso il prodotto in questione. Questo è successo, per esempio, con l’intervista di Vanity Fair Italia a Ellen Pompeo in cui si prospettava un possibile abbandono del personaggio di Meredith Grey o quella volta in cui l’attrice si è prestata all’intervento in un famoso late show americano, durante il quale il presentatore ha scherzosamente messo alla prova le sue stesse conoscenze mediche.

Oggi i media sono sempre più attenti, però, anche a quello che succede sui social e proprio per questo risulta essenziale saper calibrare (bene) la propria presenza digitale, anche se si è un brand con già una storia di successo alle spalle. C’è chi ha scritto, così, che Grey’s Anatomy è stata la serie che meglio di tutte ha compreso il futuro social della televisione e in effetti chi segue la serie sa bene che quello che accade sullo schermo è riproposto, adattato, remixato, reinventato in altri luoghi della Rete e a uso e consumo di chi li abita.

Parola d’ordine: coinvolgimento. Cosa insegna il successo di Grey’s Anatomy

C’è una pratica, del resto, a cui anche i telefilm addicted non sembrano saper rinunciare: il second screen , ossia commentare dai propri profili social e in tempo reale quello che sta succedendo sullo schermo.

La produzione del medical, così, in diverse occasioni e per appuntamenti come le prime o i finali di stagione, ha coinvolto direttamente attori e protagonisti invitandoli a fare live-tweeting e partecipare in maniera diretta e personale alle conversazioni che stavano avvenendo in Rete. È quello che qualsiasi brand può fare invitando i personaggi più rappresentativi per sé a entrare nel flusso delle conversazioni social in momenti topici come il lancio di un nuovo prodotto, un evento aziendale, ecc. e arricchirlo. Tutto sta nel riuscire a trovare gli ambasciatori giusti: una volta che lo si è fatto si possono tentare anche opzioni estreme come il take over degli account ufficiali, il che può significare per esempio che sia direttamente il cast a raccontare su Instagram con dirette, Stories la confezione di una scena, la partecipazione a una cerimonia di premiazione, ecc.

L’obiettivo macro di qualsiasi strategia social, del resto, si può dire sia coinvolgere le persone e farlo quanto più spontaneamente possibile. Può tornare utile in questo senso, per esempio, mostrare il volto umano del brand e tra le lezioni di marketing di Grey’s Anatomy, tra l’altro, c’è che nessun tema, nessun ambito – nemmeno la salute o la morte – sono troppo seri per fare un po’ di ironia o mostrare il lato giocoso: a questo servono i dietro le quinte nei momenti di pausa sul set, per esempio, o i meme e le GIF divertenti che richiamano quanto avviene durante la puntata.

A volte coinvolgere i propri destinatari può significare lasciare loro una call to action chiara: persino un hashtag può servire allo scopo e ha, tra l’altro, il doppio vantaggio di incentivare il volume delle conversazioni social sul tema e renderle più facilmente tracciabili attraverso tool specifici.

In qualche altro caso, invece, engagement è sinonimo di gratificazione: contenuti speciali, collegati a particolari ricorrenze vanno in questa direzione e aggiungono valore, arricchiscono l’esperienza di visione. Specie nelle ultime stagioni, poi, il medical ha spesso affrontato temi di attualità e di forte dibattito pubblico (matrimoni e adozioni gay, fine vita, pregiudizi razziali, scontri con la polizia, ecc.): mostrarsi coinvolti nelle questioni che più da vicino interessano il proprio target può essere strategico e i brand, le aziende che fanno CSR lo sanno bene.

Una serie come Grey’s Anatomy insegna, però, anche a giocare con l’effetto nostalgia: chi segue la serie fin dall’inizio ha imparato presto a fare i conti, infatti, con morti e addii, in qualche caso letteralmente traumatici; non di rado però, specie nel caso di personaggi molto amati, piccoli cadeaux (i flashback della storia d’amore tra Meredith e Derek, le telefonate con Cristina, ecc.) disseminati come easter egg negli episodi o sui canali social hanno provato a mantenere in vita, se non addirittura rafforzare, la relazione con gli spettatori.

E neanche la dimensione di evento è totalmente esclusa quando si tratta di coinvolgere il pubblico, tanto che tra gli episodi più amati dai fan di lungo corso ma noti anche ai profani, ci sono gli episodi musicali in cui le corsie dell’ospedale si trasformano in veri e propri musical con protagonisti i personaggi della serie. Per tornare alle logiche di notiziabilità di cui si è già detto, puntate-evento come queste attirano inevitabilmente l’attenzione dei media di settore e generalisti e, proprio in questo senso, suggeriscono la potenza e il portato strategico degli eventi aziendali.

Va detto, comunque, che Grey’s Anatomy può contare ormai su una community vasta e affiatata: per accorgersene basta fare un giro tra i tanti gruppi Facebook o forum tematici che sono, tra l’altro, fin dalla prima messa in onda della serie una fucina di creatività: come per gli altri prodotti diventati cult, il fandom di Grey’s Anatomy è infatti nutrito e interessante. Come ogni community, anche quella nata attorno all’interesse per una serie, un programma televisivo va gestita in maniera opportuna e non sono mancate, proprio in questo senso, occasioni in cui una svolta improvvisa, inaspettata o poco gradita nella storyline ha trasformato le lezioni di marketing di Grey’s Anatomy in vere e proprie best practice quanto a gestione della crisi del brand; proprio ad alcuni di questi plot twist, del resto, sono stati attribuiti periodicamente delle crisi di popolarità e di ascolti della serie che sono state risolte, per esempio, attraverso apposite strategie di palinsesto.

Differenziazione, esperienze aumentate: cosa fa di un brand un brand di culto

Tra le cose che la fortunata serie della ABC ha da insegnare ai brand c’è comunque anche il valore della differenziazione, che nel caso specifico significa sia arrivare a un pubblico parzialmente diverso, sia farlo su canali e touch point differenti, sia ancora riuscire a creare high concept che non perdano la loro forza neanche se declinati in versioni diverse. Il medical ha infatti due spin-off che vanno in onda sui canali tradizionali (Private Practice e Station 19) e ci sono almeno altre tre web serie ispirate alle vicende dell’ormai ex Seattle Grace.

L’obiettivo, insomma, sembra essere rendere quanto più totalizzante e aumentata possibile l’esperienza di visione. E verso questo obiettivo si muove anche, per esempio, la scelta di celebrare l’imminente quindicesima stagione con un’esibizione temporanea al THNK1994 Museum: a essere esposti gli oggetti simbolo della serie, dal post-it con le promesse di matrimonio di Meredith e Derek ai famosi asciugamani stretti in vita del dottor Sloan. L’intento di “Anatomy of an Icon” – questo il titolo dell’esibizione – è evidentemente celebrativo ma, come suggerisce il titolo, non c’è brand, nel mondo dell’intrattenimento e non solo, che non possa diventare un’icona. E tra le lezioni di marketing di Grey’s Anatomy questa è, forse, la principale.

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