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Digital detox: pausa da social e ambienti digitali per essere lavoratori felici

Il digital detox non è tanto una moda ma una necessità: Alessio Carciofi spiega come tornare produttivi prendendosi una pausa dal digitale.

EDITORE Hoepli
PUBBLICATO 2017
EDIZIONE
PAGINE 152
LINGUA italiano
ISBN/ISSN 9788820376956
AUTORE
A. Carciofi
VALUTAZIONE Inside Marketing
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Recensione Inside Marketing

C’è chi sostiene che sia una delle parole dell’anno, soprattutto per chi ha bisogno di prendersi una pausa per se stesso, prima che da lavoro, social media , ambienti digitali e simili. Per Alessio Carciofi, però, il digital detox, se praticato bene, è soprattutto il modo migliore per ritrovare la «giusta misura» nel rapporto con le tecnologie e gli schermi che affollano la vita di chiunque. Ciò di cui ci si rende conto subito, fin dalle prime pagine di “Digital Detox. Focus e produttività per il manager nell’era delle distrazioni digitali”, è che si tratta di un testo ibrido: metà manuale con numeri, teorie, spiegazioni psico-fisiologiche e metà prontuario di consigli onesti e a portata di tutti per smettere di dipendere, letteralmente, dallo smartphone che si ha in mano.

Dipendenze digitali e paure: cosa c’è dietro a una vita always on e distratta

Lo scenario di riferimento, del resto, è ben noto e preoccupante a detta degli esperti: le diagnosi di Internet disorder sono in continuo aumento; lo stress da lavoro colpisce tutti, dallo stagista al top manager, e le aziende cercano invano un rimedio; la dipendenza da social affligge anche i più piccoli; tutti, poi, abbiamo una letterale “paura di perderci qualcosa” (in gergo FOMO, ndr) che ci impedisce di staccarci dalle nostre estensioni digitali. Viviamo always on, per dirla in breve.

Questa condizione di connessione perenne, però, ha una serie di effetti concreti e diagnosticabili sull’organismo che Carciofi certo non risparmia ai suoi lettori: si tratta del cosiddetto “artiglio dell’SMS”, che corrisponde alla vecchia infiammazione del tunnel carpale di cui soffrivano sportivi e pianisti, del collo da SMS, della riduzione di produzione di melatonina e della qualità, oltre che della quantità, del sonno, per esempio. Senza contare gli effetti sulla personalità: aumenta a dismisura l’obbligo del confronto sociale e con esso l’insicurezza da un lato e il narcisismo dall’altro. Se tanti si sono chiesti, in altre parole, perché postiamo sui social, la risposta che sembra dare il testo è: perché sentiamo la mancanza di qualcosa. In questa prospettiva, ogni tweet, ogni post su Instagram, ogni like che ci aspettiamo e la smania che abbiamo di controllare le notifiche sono frutto di una mancanza di amore, stima, affetto, accettazione o di paure che non riusciamo ad affrontare e che proviamo, invece, a sublimare con le innumerevoli distrazioni che il digitale ci offre. “Distrazioni”, del resto, è una delle parole chiavi più ricorrenti nel testo.

Supportato da ricerche e teorie delle più recenti e da esempi concreti dalla vita di tutti i giorni, Carciofi nel testo sostiene infatti come tutti viviamo ormai in uno stato di «attenzione parziale continua»: crediamo nel multitasking, nella capacità di gestire e di prestare attenzione a più cose contemporaneamente, senza mai saper essere però concentrati veramente su una sola cosa importante. Non a caso c’è chi considera l’attenzione la vera “superskill” degli anni a venire.

Per una definizione di digital detox

Un lavoratore digitale, insomma, è una lavoratore distratto. E un lavoratore distratto è un lavoratore che costa all’azienda, in termini di produttività ma anche in termini concreti di mancato profitto. È opportuno, quindi, menzionare anche due soli numeri per avere un’idea di quello di cui si sta parlando: una notifica può far perdere a un lavoratore della conoscenza il 28% della giornata lavorativa, con un costo per le imprese di quasi 600miliardi di dollari all’anno. Per questo il digital detox non serve solo al singolo, ma serve anche e soprattutto alle organizzazioni, a patto di non considerarlo semplicemente come una parentesi a sé ma di riuscire a farne una sorta di modello di riferimento.

C’è una corrente di pensiero filoamericana che definisce il digital detox, infatti, come «la disconnessione forzata da tutti gli smartphone, device, o dalla strumentazione digitale per un paio di giorni o poco più». Un approccio più mediterraneo alla questione, invece, lo fa consistere nella possibilità di capire come usare in maniera corretta il digitale. In altre parole? «Ci mancano le “note” del come vivere questi nuovi tempi, facendoci accarezzare dal desiderio di scrivere un alfabeto di comportamenti digitali che abbia come vocali l’amore, il rispetto e l’equilibrio», come sottolinea l’autore nel testo. Trovare queste note può fare bene al singolo e a tutti gli altri.

Dal digital detox al Digital Felix

Quello che forse stupisce di un libro professionale come “Digital Detox. Focus e produttività per il manager nell’era delle distrazioni digitali”, del resto, è proprio la naturalezza con cui infografiche, tabelle, grafici, esempi pratici si mischiano a concetti un po’ new age di meditazione, respirazione consapevole, amore, passione e a tanti principi mutuati dalla filosofia più classica – dall’akrasia, la mancanza di autocontrollo in senso aristotelico, al kairos, cioè il tempo da vivere nel modo migliore possibile.

È nell’anima del Digital Felix, però, coniugare buone pratiche per aumentare la produttività e la focalizzazione in ufficio con altre che hanno l’obiettivo più olistico di riportare la persona al centro di ogni esperienza, lavorativa e non. Cosa non così scontata nell’era dell’efficienza a tutti i costi, di aziende che pretendono una reperibilità 24/7 dai loro dipendenti e di professionisti che hanno allenato negli anni così tanto il loro “io-lavoratore” da rendere quasi invisibile il loro “io-persona”. Per fortuna, però, anche i modelli aziendali stanno cambiando e nel testo stesso sono citati casi virtuosi di grandi manager che si riservano ai loro collaboratori ore libere in cui non fare niente per alimentare la propria creatività riposando la mente o di grandi aziende che prevedono bonus per ogni ora di permesso richiesta. C’è, insomma, una nuova concezione di welfare aziendale, sempre più attenta alla salute emotiva e psichica del lavoratore, da cui dipende del resto quella fisica e lo stato di salute della stessa organizzazione.

Le cinque fasi del Digital Felix

Il Digital Felix è parte di questa nuova concezione e, al di là del fatto che si tratti di una metodologia brevettata e praticata all’interno delle aziende con l’aiuto di professionisti, comprende una serie di pratiche anche comuni – di buon senso, si potrebbe azzardare – per «aiutare le persone a vivere il digitale nella giusta misura, migliorando l’armonia della vita del singolo e della collettività».

Cinque sono, infatti, le fasi che Carciofi individua come fondamentali per un digital detox ben riuscito. Cinque le erre che, dal rallentare al ricaricarsi, dovrebbero permettere a chi lo prova di ritrovare focus, concentrazione e produttività nonostante le distrazioni digitali da cui è attorniato.

Si parte, appunto, dal rallentare riscoprendo il valore del tempo: in questa fase è importante chiedersi e dare una risposta onesta alle domande “Cosa è essenziale?”, “Cosa mi fa stare bene?”, “Di cosa ho bisogno veramente?”. Quindi è una buona idea provare a ridurre ciò che non è indispensabile, a partire da una legge ben nota in campo sociologico, quella di Pareto, che qui si declina nell’evidenza che l’80% di quello che otteniamo viene dal 20% di quello che facciamo: consideriamo che le nostre energie sono limitate e limitiamoci a fare solo l’indispensabile, per il resto impariamo a dire no, anche alle tante distrazioni digitali che ci tolgono tempo e risorse, s’intende.

Come nell’alimentazione, però, esistono diverse tipologie di diete detox, da quella monastica a quella naturalistica, ognuna più adatta alle necessità del singolo e a quelle della task che deve compiere.

Il testo suggerisce, poi, che anche ridisegnare l’ambiente di lavoro può essere utile per favorire maggiore concentrazione e focalizzazione del lavoratore: un’idea interessante, forse poco approfondita rispetto ad altri aspetti (la gestione efficace delle email, per esempio) già fin troppo a lungo discussi in manuali simili. E a proposito dell’inconsueta sacralità per un testo tecnico di cui si accennava, c’è una fase importante del digital detox, attraverso il Digital Felix, che prevede di riprogrammare il proprio modo di lavorare attraverso dei rituali, quelli che distinguono il tempo del lavoro dal tempo libero, limite ormai sempre più sottile, oppure quelli che permettono di far pause quando è il corpo a chiederlo.

Il testo, del resto, attinge a teorie e metodi ben noti ai coach del lavoro che mischiano esigenze fisiche ed escamotage psicologici (la tecnica del pomodoro, ecc.) per assicurare la maggiore rendita lavorativa. Tanto che a tratti si ha l’impressione di essere finiti in un manuale di auto-aiuto, più che in un testo a prova di lavoratori della sharing economy. In qualche caso presenta addirittura test di autovalutazione del livello di stress, di dipendenza digitale, di probabilità di burnout .

Se l’ultima fase della metodologia Digital Felix, comunque, prevede la ricarica mediante un viaggio o un sonno finalmente ristoratore, c’è un momento ancora più importante e cioè quando si ritorna a lavoro e si prova a riorganizzarsi perché il viaggio appena compiuto possa essere di qualche utilità. A questo è dedicato soprattutto l’ultimo capitolo: qui, più che altrove, i consigli pratici sono tanti e vanno dall’imparare a gestire le email e ottimizzare il tempo dedicato alle riunioni al rapportarsi con colleghi e collaboratori che potrebbero non far bene la propria vita lavorativa.

Per chi voglia approfondire, infine, “Digital Detox. Focus e produttività per il manager nell’era delle distrazioni digitali” offre un’appendice con interessanti spunti e ricerche di tipo psico-neurologico sulle dipendenze, da Internet e da lavoro soprattutto. E per chi non abbia tempo per un vero e proprio percorso di digital detox o sia scettico e voglia testare di cosa si tratti prima di intraprenderne uno, ce n’è una versione tascabile, da fare in 21 giorni e al passo di un semplice consiglio al giorno. Perché da qui al futuro più prossimo «le aziende avranno sempre più bisogno di persone indipendenti, integre e in equilibrio. Dipendere non è mai la migliore scelta personale. Dipendere significa aver smesso di sognare. Abbandoniamo le paure e iniziamo tutti a sognare. Per questo è bello vivere il digitale anche se nessuno ci ha mai insegnato come comportarci».

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