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Digital marketing del lusso: una sfida o un'opportunità per i luxury brand?

Nel saggio “Digital marketing del lusso”, Andrea Da Venezia analizza le opportunità e le sfide collegate, per i luxury brand, agli investimenti digitali.

EDITORE Edizioni Lswr
PUBBLICATO 2016
EDIZIONE
LINGUA italiano
AUTORE
A. Da Venezia
VALUTAZIONE Inside Marketing
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Recensione Inside Marketing

Il digitale è un contesto adeguato ai brand del lusso? Sembra essere questa la domanda di fondo a cui prova a rispondere “Digital marketing del lusso. Comunicare e vendere il lusso attraverso il Web, le app e i social network“, un saggio di Andrea Da Venezia pubblicato da Edizioni LSWR. C’è nel testo, infatti, uno sforzo ricostruttivo: quando i luxury brand hanno capito davvero che non avrebbero più potuto ignorare la digital disruption in atto e che avrebbero dovuto, invece, “spostare” sul canale digitale anche le loro strategie di marketing e comunicazione?

Ai brand del lusso conviene davvero investire nel digitale?

Un dato vecchio, riferito al 2011 e riportato nel saggio, parla di consumatori con un reddito annuo superiore ai 150mila euro, gli unici disposti a spendere per prodotti di questo tipo, raggiungibili già allora primariamente via web: tradotto, è un dato che sottolinea come le “luxury people” siano, più di altre categorie di consumatori, connesse nella Rete e tramite la Rete raggiungibili dai brand.

In quest’ottica la reticenza degli operatori del settore nei confronti del digital marketing del lusso non può che sorprendere. Nel libro si prova a spiegarla con una riflessione culturale, oltre che contestuale. La “democraticità” degli strumenti del marketing digitale, il loro essere accessibili a tutti e rendere il prodotto accessibile a tutti ha dovuto, inizialmente, cozzare con l’aura di esclusività che, da sempre, accompagnava i luxury product. La resistenza dei brand di lusso, insomma, doveva essere intimamente legata a timori che riguardavano il posizionamento specifico dei prodotti in questione, sul mercato e nella mente del consumatore. Per questo dovette apparire di certo sui generis, se non sconvolgente, per esempio, la scelta di Cartier di aprire, nel 2008, una sorta di minisito su MySpace (tra i più vecchi antenati dei moderni social network e molto in voga tra i giovanissimi di allora, ndr) interamente dedicato alla collezione LOVE o, appena un anno dopo, l’operazione “The Art of Trench” che avrebbe reso Burberry uno dei più interessanti casi di studio per quanto riguarda l’adozione di strategie digitali nel lusso.

Già allora parve chiaro che chiunque volesse fare marketing del lusso – tradizionale o digitale che fosse–avrebbe dovuto imparare a non accettare compromessi tra esposizione e posizionamento del prodotto.

Oggi è altrettanto chiaro che gli ambienti digitali rappresentano «una Via Montenapoleone aperta 24 ore su 24 e con una disponibilità illimitata di brand, prodotti e personalizzazione, un servizio garantito e unico in tutto il mondo». La metafora degli hub commerciali sembra essere particolarmente cara all’autore, che la usa anche per spiegare per esempio come il passaggio al digitale imponga ai luxury brand di riconsiderare il proprio target . Gli ambienti digitali sono come degli shopping mall: da decenni anche le firm più prestigiose hanno punti vendita in centri come questi e sono punti vendita in cui qualsiasi tipo di cliente può entrare anche se non è detto che acquisti e, anzi, è in genere solo una minoranza che lo fa. C’è un target, cioè, quello che in “Digital marketing del lusso” viene indicato come “dei desiderata” che quando si sceglie di stare negli ambienti digitali non si può non considerare. Sono persone attratte dal prodotto, che lo considerano un must have, un simbolo aspirazionale quasi, ma che nella vita reale non possono permetterselo e che, nonostante questo, possono essere rilevanti per il brand, la sua immagine, la sua narrativa.

Non è l’unico sconvolgimento di cui serve essere consapevoli: “Digital marketing del lusso” prosegue con una serie di indicazioni, consigli, persino strumenti pratici che potrebbero essere utili ai luxury brand che vogliano investire in strategie digitali. Da come si struttura un digital luxury planning a come lo si integra con un media planning più tradizionale per riuscire a conservare la coerenza dei propri messaggi, passando per la necessità di un approccio omnichannel che preveda più e diversi touchpoint tra il cliente e l’azienda in considerazione del fatto che micro-moment e momento della verità seguono ormai logiche proprie e, ancora, per le opportunità inedite offerte dall’influencer marketing e dalle digital PR, per esempio: il testo prova a offrire una panoramica quanto più ampia possibile a uso e consumo dei digital marketer del lusso.

Imparare da esempi e testimonianze: una buona ricetta per il digital marketing del lusso

A patto che gli operatori del settore siano i veri destinatari del saggio. Ci sono scelte linguistiche, di registro e, più in generale, di complessità degli argomenti che rendono difficile capire a chi sia indirizzato veramente il libro. A chi ha bisogno di una prima, essenziale introduzione al mondo del digital marketing del lusso? Sembrerebbe di no, se si considera la velocità con cui si passa sopra ad alcuni argomenti o i concetti e le basi teoriche con cui si dà per scontato la familiarità del lettore. Allo stesso tempo, però, se il target del saggio dovesse essere un pubblico di professionisti che già opera nel campo apparirebbero ingiustificate alcune scelte come un linguaggio eccessivamente didascalico, un’abbondanza di informazioni di contesto e preliminari, ridondanti e inutili in questo caso.

D’altro canto, però, c’è la sezione dedicata a case study e best practice del digital marketing del lusso che aggiungono valore al testo. Sono casi di studio comodamente divisi in sezioni, a seconda che i brand considerati operino nel fashion, nell’accessorize (dal jewellery alla cosmetica) o nel campo delle esperienze di lusso (dalla guida di un’automobile ai viaggi e gli eventi). E sono esempi che, come si accennava, hanno a che vedere con tutti i touchpoint, i punti di contatto fisici o virtuali che siano, tra brand del lusso e loro clienti. Si dà spazio, così, alle svariate app – di Vuitton, Hermès, Pucci, MontBlanc – che permettono al potenziale acquirente di anticipare l’esperienza d’acquisto, arricchirla, personalizzarla; alle tantissime campagne social con tanto di hashtag dedicato, da #FendiCrew a #InstaSparkle, che hanno come obiettivo quello di coinvolgere la community e di mostrare il volto umano e svecchiare l’immagine dell’azienda; agli esperimenti di video shoppable, tour virtuali del punto vendita o a bordo del veicolo, ecc.

Quando si parla di digital marketing del lusso, e più in generale di strategie digitali, non esistono del resto regole d’oro. Guardare a e imparare da quello che hanno fatto gli altri, persino gli errori che hanno fatto gli altri, è l’unica via per trovare la formula perfetta, che meglio si adatti alle proprie esigenze. E  in questo senso un ulteriore spunto interessante arriva nel testo di Andrea Da Venezia dalle interviste, nella parte finale, ad alcune delle firm più importanti del luxury e ai loro rappresentanti che le hanno condotte sulla strada della digitalizzazione.

Ultima nota dolente: i paratesti. Quando ci si imbatte in un’infografica, in tabelle riassuntive, supporti visivi all’interno di un saggio è sempre un po’ come tirare un sospiro di sollievo, dal momento che dovrebbero rendere più chiaro, immediatamente comprensibile ciò di cui si sta leggendo. In “Digital marketing del lusso” sono numerose, nella maggior parte dei casi interessanti in sé,  peccato che risultino nel complesso poco leggibili e comunque in qualche caso slegate o non ben integrate col contesto di riferimento.

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