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Entreprecariat. Siamo tutti imprenditori. Nessuno è al sicuro

Riprendendo molta letteratura in materia, Silvio Lorusso indica come "entreprecariat" quella condizione di chi è oggi precario e imprenditore insieme.

EDITORE Krisis Publishing
PUBBLICATO 2018
EDIZIONE
PAGINE 228
LINGUA italiano
ISBN/ISSN 8890533757
AUTORE
S. Lorusso
VALUTAZIONE Inside Marketing

Recensione Inside Marketing

Se siamo tutti imprenditori – di noi stessi, come recita una formula molto usata quando si tratta di sintetizzare le proprie informazioni professionali sui social –, nessuno è veramente al sicuro. Suona così, parafrasato, il sottotitolo di “Entreprecariat”, un saggio di Silvio Lorusso (edito da Krisis Publishing) che è sì un viaggio all’interno di un mercato del lavoro in profonda trasformazione, ma anche e soprattutto un excursus sulla precarietà.

Entreprecariat: cos’è e chi ne è responsabile

L’imprendicariato – o nell’inglese del titolo “entreprecariat”, dalla crasi di due termini come “entrepreneurship” (imprenditoria) e “precariat” (precariato) – sembra essere, infatti, la condizione che più caratterizza questi tempi: tempi in cui la mentalità imprenditoriale non è più un talento, un dono distribuito a pochi, ma una vera e propria strategia di sopravvivenza al precariato imperante. Il corollario, va da sé, è che l’assunzione del rischio, la propensione al cambiamento, l’entusiasmo a tratti persino cieco che costituivano un tempo la forma mentis “tipica” dell’imprenditore si limitano a essere oggi l’altro lato della medaglia di una diffusa paura per la propria condizione precaria e di precari.

Come si è giunti a tutto questo? Quando e perché si è fatto della precarietà il brand della postmodernità? E chi o cosa ne è responsabile? Il saggio di Lorusso ha la capacità di sintetizzare, ma senza un intento compilativo e con un tono anzi leggero e leggibile, decenni di letteratura sulla precarietà. Soprattutto, però, teorie come quelle di Lovink o Butler si incrociano in “Entreprecariat” con storie vere e vere testimonianze di imprenditori precari che hanno lasciato il mitico posto fisso sedotti dalle allettanti possibilità del lavoro smart e flessibile, della sharing economy, della logica delle piattaforme.

Quando si prova a capire perché e come i giovani abbiano aderito a una sorta di «avanguardia del precariato» – e Lorusso lo fa a partire da dati, casi di studio di pubblico dominio, teorie ben convalidate – del resto c’è almeno un profilo di responsabilità chiaro. Per anni media, saggi, in qualche caso persino politiche del lavoro hanno promosso una narrativa a tratti ingiustificatamente ed eccessivamente positiva dell’imprenditore come self-made man, professionista che si è fatto da solo, coniugando la creatività dell’inventore con le capacità gestionali del manager, di fatto trasformandosi in una sorta di ibrido tra le due figure. Sembra essersi consolidata, cioè, l’idea di un «volontarismo magico» per cui basta desiderare ardentemente qualcosa per ottenerla, insieme al mito che le carriere più moderne non possano non obbedire ai diktat della quitting economy e, cioè, all’imperativo del cambiamento continuo e di una crescita anche professionale che non può avvenire se non passando continuamente da un ambiente di lavoro all’altro. Survivorship bias di cui i media sembrano affetti a parte, però, non tutti possono essere moderni Steve Jobs o versioni nostrane di Elon Musk. Vivere una condizione di precarietà per qualcuno può rendere difficile persino creare della auto-narrazioni coerenti; c’è chi vive il precariato allegramente e chi allergicamente e, ancora, ci sono precari che, come il protagonista de “Il canto di Natale” di Dickens, sono costretti a imparare a convivere con lo spettro del fallimento, con una miseria tanto più grande quanto più rosea era l’idea di sé e di realizzazione di sé.

Una via d’uscita all’imprendicariato è possibile?

Se a questo punto “Entreprecariat” rischia di sembrare così un’istantanea pessimistica del presente, non si può non sottolineare che, velatamente o meno, vengono suggerite anche strategie di uscita dall’imprendicariato. Sbaglia, però, chi stia già pensando al mantra del “fake it till you make it” (fingiti felice finché non lo diventi davvero): per Lorusso e la letteratura a cui fa riferimento riconoscere e accettare il proprio imprendicariato è il primo passo per uscire da questo.

Dal formato leggermente verticale, con tanti inserti e paratesti grafici, una ricca bibliografia a uso e consumo di chi voglia approfondire la questione dell’enterprecariat e citazioni diverse e vagamente motivazionali al principio di ogni nuovo capitolo, insomma, il saggio è anche letteralmente un incentivo a ribellarsi all’idea del precariato come modello di vita. Perché, come in un circolo vizioso, il precariato genera imprenditoria che genera precariato e via dall’inizio.

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