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Food marketing 2.0

Vendere il made in Italy nell'era digitale

Adatto agli operatori del food che vogliono avere una visione d'insieme sul marketing e su quali aspetti influenzano la vendita nell'attuale scenario, il libro di Ida Paradiso è un testo con consigli pratici ed esempi.

EDITORE Astro Manuali
PUBBLICATO 2021
EDIZIONE
PREZZO 14.90 su Amazon
PAGINE 207
LINGUA italiano
ISBN/ISSN 9788833171296
AUTORE
I. Paradiso
VALUTAZIONE Inside Marketing
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Recensione Inside Marketing

Quanto lavoro c’è – e non soltanto in termini di produzione – dietro quello che mangiamo? C’è un’importante attività di distribuzione e marketing per far sì che i prodotti alimentari arrivino al consumatore e proprio di questo tratta il libro “Food marketing 2.0. Vendere il made in Italy nell’era digitale”. Nel libro l’autrice Ida Paradiso invita i lettori a soffermarsi su questo e altri aspetti che riguardano il rapporto food-marketing

A chi è rivolto “Food marketing. Strategie e strumenti per il Made in Italy”

Il testo è dedicato in particolare a tutti i professionisti del settore food e agli operatori del Made in Italy (produttori, aziende agricole, distributori, export manager, ristoratori, ecc.) e ha come obiettivo quello di fornire informazioni sulle tecniche di food marketing e indicazioni su come usarle al meglio per comunicare il legame con il territorio puntando però all’innovazione nell’attuale «realtà ibrida» (p.15).

Come il COVID ha cambiato il settore food

La prima parte di “Food marketing 2.0” si apre con una riflessione sul «new normal» e sui mutamenti causati dal COVID-19, sottolineando che, tra le altre cose, con la pandemia sono cambiate le abitudini alimentari.

L’autrice, citando report e ricerche di ASSORETIMPMI e CENSIS, sottolinea come si siano manifestate o consolidate alcune tendenze di consumo – complice anche l’impossibilità di recarsi in punti di ristorazione o a poterlo fare con molte restrizioni –, con un aumento di richiesta di prodotti italiani, biologici, certificati. Inoltre, liberi dal COVID-19 sembra che le piccole cose, quali la condivisione di momenti di convivialità e socialità (di cui spesso è protagonista il cibo), saranno quelle ritenute più importanti.

Il settore food, così, dovrebbe avere un periodo di vivacità economica dopo il periodo di crisi vissuto dagli inizi del 2020, ma non basterà riproporre lo stesso modello di business che si aveva in precedenza o servirsi degli stessi strumenti di marketing. La lettura di libri come quello di Ida Paradiso, perciò, dovrebbero essere una sorta di bussola per muoversi in un nuovo scenario in cui il digitale è praticamente essenziale per la definizione della strategia di marketing e per la vendita.

La premessa di partenza: il cibo non è un prodotto come altri

Prima della trattazione relativa al mondo digitale, però, l’autrice invita innanzitutto a considerare se «dal punto di vista del marketing, il cibo può essere considerato soltanto un prodotto» (pp.13-14). Sicuramente lo è, ma ha – come pure le bevande, anche se non citate esplicitamente qui dall’autrice – una sua particolarità: «è l’unico prodotto che introduciamo nel nostro organismo e che, di fatto, contribuisce a caratterizzare la nostra essenza» (p. 27).

È un prodotto, tra l’altro, molto studiato, per gusto e vari aspetti e componenti, sfruttando anche la neurobiologia alla base dei comportamenti alimentari, nel tentativo di aumentare, attraverso determinate strategie di marketing (e con l’applicazione del neuromarketing nel settore food), il consumo di certi prodotti.

Inoltre, sono numerosi gli elementi che condizionano gli acquisti di tipo alimentare, diventati ormai leve del food marketing: dalla gratificazione psicologica a meccanismi antropologici, culturali e identitari (come religione, credenze, condizioni atmosferiche nel luogo in cui si vive, ecc.), fino alla responsabilità sociale (eticità del processo di produzione, effetti sull’ambiente e, più in generale, CSR delle aziende).

Il Made in Italy come leva di marketing

Tra le leve di marketing nel settore c’è poi l’italianità e, non a caso, una significativa parte del libro Food marketing 2.0” – come anticipa già il suo sottotitolo – è dedicata al Made in Italy.

L’autrice definisce il Made in Italy «un unicum nato per essere un brand» (p. 41), ponendo l’accento su come l’unicità dell’Italia sia conseguenza della sua storia, del passaggio di numerosi popoli, delle caratteristiche del suo territorio e una serie di peculiarità che rappresentano un vantaggio competitivo sul mercato. Nella percezione dei consumatori, e forse ancor di più nel settore food, il Made in Italy è infatti ritenuto sinonimo di qualità, bontà, tradizione e altre caratteristiche non riproducibili altrove, tipiche della cultura mediterranea.

Per comunicare al meglio la cifra di esclusività di un prodotto italiano serve un concept riconoscibile e rappresentativo, valorizzando pochi, unici e identificativi aspetti (l’autrice porta come caso di successo quello di Leon Venesian).

Tuttavia, in una strategia di marketing non si può usare per un prodotto la dicitura “Made in Italy” con leggerezza, in quanto essa è regolamentata da normative nazionali e comunitarie. 

In questa corposa parte del libro, Ida Paradiso fornisce anche ulteriori precisazioni terminologiche relative a prodotto tipico, prodotto tradizionale, prodotto artigianale, prodotto locale e prodotto nostrano; diciture che vanno usate con attenzione, in modo appropriato.

Vista la forza comunicativa di simili definizioni, infatti, molti tendono ad appropriarsene in modi scorretti, che vanno da operazioni di forzatura – semmai vestendo di artigianalità prodotti completamente industriali (un po’ come fatto da Mulino Bianco nella sua narrazione di marca, definita dall’autrice come «prima operazione di storytelling culturale applicata a un prodotto alimentare industriale fatto in Italia», p. 55) – all’attribuire nomi che fanno sembrare italiani prodotti che non lo sono (fenomeno dell’italian sounding).

L’incontro tra settore food e mondo digitale

In Food marketing 2.0 è specificato anche che il Made in Italy è – e forse sarebbe più corretto dire che dovrebbe essere – glocal: ogni piccolo produttore, cioè, deve realizzare, riprendendo le parole dell’autrice, una sorta di «globalizzazione localizzata». Per farlo, ovviamente, è necessario servirsi anche del digitale.

La premessa dell’autrice è che idigital food, ormai, è ovunque (in programmi TV, in Rete, sui giornali, ecc.) e definisce «un giudizio QUALITATIVO sull’esistenza, in cui “siamo quello che mangiamo” assume un nuovo significato: “siamo (persone migliori) per come mangiamo, come cuciniamo, come serviamo”» (p. 63). Anche per questo l’interesse verso il settore food nel mondo digitale sembra in continua crescita e si stanno sviluppando nuove professioni: chef starfood blogger , influencer, gastronauti e gastrosofi.

Proprio per la significativa presenza del food negli ambienti digitali bisogna creare una strategia di marketing ad hoc, considerando che il digital non è uno spazio a sé stante ma un livello di interazione tra contenuti (utili, per esempio, per migliorare la propria reputazione), eventi (da manifestazioni di promozione culinaria a eventi di social eating) e showbiz (parte più di show business del settore, legata a personaggi noti, come chef star o food blogger, ecc.).

Per quanto riguarda la promozione, Ida Paradiso individua tre macro-gruppi di strumenti da poter considerare, definendoli come strumenti di identità, piattaforme di contenuti e strumenti di interazione con gli utenti. Per ciascuno fornisce esempi e consigli (per i social media , per esempio, delle brevi descrizioni, che però rischiano di dare una visione d’insieme estremamente parziale o, considerando la rapidità con cui essi vengono aggiornati, superata a distanza di poco tempo).

Per quanto riguarda la vendita, invece, poiché non avviene più solo nel retail ma è phygital , si deve creare un’esperienza di acquisto online adatta, prendendone in considerazione le caratteristiche (l’autrice cita, a tal proposito, la frictionless experience), e occorre ripensare il sistema distributivo con un approccio omnicanale. Per le micro-piccole imprese andrebbe evitato il rischio di lanciare un eCommerce poco profittevole, servendosi magari di marketplace o di altre possibilità (l’autrice le passa in rassegna fornendo informazioni utili anche sotto un punto di vista normativo).

La centralità del consumatore

Nulla di tutto ciò è possibile, però, se viene trascurato il cliente, sia esso diretto o intermediato. Va, anzi, studiato con attenzione, per comprenderne atteggiamento o modello di consumo, che può variare in base a diversi fattori: i “consumatori semplici“, solo per fare un esempio, prestano molta attenzione al prezzo e si differenziano dagli “interessati“, che non hanno competenze troppo specifiche ma chiedono informazioni, dagli “esperti“, che, tra le altre cose, conoscono i metodi di produzione, e dai “foodies“.

Per delineare il profilo dei consumatori l’autrice suggerisce di individuare le buyer personas , servendosi di dati reperibili grazie al digitale che rendono più facile individuare quali sono caratteristiche, comportamenti, personalità, ecc. delle persone che acquistano, per compilare una sorta di carta d’identità del consumatore (a p. 92 consiglia di farlo «utilizzando uno schema come quello riportato nella figura» e la figura in realtà manca, ma ci si può servire di uno schema online).

Solo quando è stato delineato con chiarezza il tipo di consumatore, oltre ad aver fatto un’attenta analisi della propria azienda, individuato e definito obiettivi SMART, si può procedere alla stesura di un piano operativo di marketing, da scrivere nel dettaglio per avere una chiara idea di cosa fare e come. 

Attuata una food strategy serve sempre misurare i risultati, anche nel digitale, per avere dei KPI che indichino in che modo si ha un ritorno (in Rete, per esempio, questo può essere anche in termini di contatti, di interazione e così via).

“Food marketing 2.0” in sintesi

Nel libro Ida Paradiso riprende alcuni dei concetti principali del suo precedente manuale “Food marketing. Strategie e strumenti per il Made in Italy” per aggiornarne i contenuti alla luce delle evoluzioni digital del settore e dell’approccio phygital necessario in uno scenario post COVID-19, con lo scopo di offrire informazioni utili, consigli e dieci regole (quelle che chiudono il testo) da poter mettere in atto subito nella propria attività.

Questo scopo ha infatti guidato la trattazione degli argomenti, talvolta portando a una eccessiva sintesi per addetti ai lavoro ma adatto a chi non lavora direttamente nel settore marketing (vero target del testo), offrendo un quadro generale e indicazioni su dove e come approfondire i singoli argomenti. 

Nonostante qualche svista, qualche errore di battitura e la mancanza nel capitolo dedicato al digital food di tutte le fonti relative a dati e informazioni specifiche (solo per fare un esempio, quelle relative alle tre nazioni in cui grazie al digitale sarebbe aumentato l’interesse verso il cibo italiano), “Food marketing 2.0 – Vendere il Made in Italy nell’era digitale” è infatti un libro di facile lettura, in cui Ida Paradiso, lavorando nell’ambito da tempo, condivide il suo attento punto di vista sulle evoluzioni e sui cambiamenti del settore.

Ai più interessati alle possibilità offerte dal digital, infine, non manca di dare, nel capitolo intitolato “Futurama”, alcune informazioni riguardanti le sperimentazioni tecnologiche nel settore agroalimentare, per indicare, anche con degli esempi, alcune delle potenzialità dell’agritech, rese possibili dall’adozione di realtà virtuale e realtà aumentata, stampanti 3DIoT, blockchain.

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