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Il Marketing del Made in Italy

“Marketing del Made in Italy”, uno sguardo a modalità e strumenti di promozione dell’italianità in un libro a cura di Selena Pellegrini

EDITORE Armando Editore
PUBBLICATO 2016
EDIZIONE
LINGUA italiano
AUTORE
S. Pellegrini
VALUTAZIONE Inside Marketing
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Recensione Inside Marketing

«Quante ne avete sentite sulla definizione di Made in Italy»? Forse tante, ma il rischio è che non siano state accompagnate da una spiegazione specifica dell’espressione e da ciò che essa trasmette. Selena Pellegrini, CEO di TheBe – The brand Experience, con alle spalle 25 anni di esperienza nel Marketing e nella Comunicazione, pone questa domanda nell’incipit del primo capitolo di “Il marketing del Made in Italy”, tentando di offrire una risposta completa ed esaustiva.

Il testo, pubblicato nel 2016 da Armando Editore per la collana Comunicazione 4.0, vuole essere un vero e proprio manuale rivolto a tutti quegli imprenditori e manager che puntano su una resa tutta italiana delle proprie aziende. Diviso in cinque capitoli, traccia un percorso che inizia con una parte strettamente legislativa e si conclude con i casi italiani di maggiore successo come Bialetti o Quercetti.

Domande, risposte e dettagli che diversificano il concetto di “produzione italiana” da qualsiasi altra realtà estera: non a caso viene immediatamente evidenziato che spesso questo tipo di produzione, tra le più conosciute e apprezzate (ma anche contraffatte o riprodotte) al mondo, viene tirato in ballo in contrapposizione al Made in China, pregiudizialmente foriero di cattiva qualità.

Provenienza e origine (differita per di più in doganale preferenziale e non preferenziale) sono alla base del discorso che comincia su una distinzione ben precisa tra i due termini, perché non vengano confusi analizzando la legislazione specifica. Ma di cosa si tratta realmente? «Il Made in Italy è sicuramente un marchio d’origine cioè un’indicazione che attribuisce l’origine del bene al nostro Paese per consentire al consumatore di effettuare una distinzione tra merci nazionali e merci importate», si legge all’interno del testo. Tale marchio può essere utilizzato nel caso in cui il prodotto sia realizzato interamente entro i confini italiani, in parte in Paesi diversi e in parte in Italia o se ha avuto un’origine doganale non preferenziale, cioè rendendo il nostro Paese il luogo dove ha subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale. Le normative vigenti, però, non offrono né esempi né indicazioni su cosa possa essere ritenuta una “lavorazione sufficiente”, facendo intendere che non si tratta di un marchio acquisito, poi, così categoricamente.

Punti di riferimento per determinare l’origine del prodotto sono il Codice Doganale Comunitario Aggiornato e gli Allegati al Regolamento di Attuazione, che seppure non dovessero bastare permetterebbero di ricorrere a un ultimo strumento, l’I.V.O. (Informazione Vincolante in Materia di Origine) che coinvolge direttamente l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Segue, nel testo, una dettagliata sfilza di leggi, articoli e paragrafi che tentano di ritagliare il contorno di una normativa che necessita di specifici spazi d’intervento delimitati, basandosi sulla qualità, sulla sicurezza o sull’igiene. In fondo, parlare di Made in Italy è una questione particolarmente importante e proprio per questo è altrettanto importante conoscere tutte le forme di tutela di questo mercato, comprese le sanzioni in cui si rischia di incorrere dichiarando soprattutto il falso.

Ma è poi davvero questione solamente di legge o di procedimenti specifici per ciascun settore? Messe a parte le fondamentali indicazioni per la protezione dell’ambiente, per la tutela dei minori e per la dichiarazione di conformità dei processi di lavorazione, il Made in Italy ha – per la Pellegrini – un fattore in più, irrinunciabile e indispensabile, basato su «millenni di storia che hanno caratterizzato lo sviluppo del nostro paese e delle genti che lo hanno abitato». Si tratta quindi di arte, cultura, tradizioni, stile e modi di vivere tipicamente italiani. Bisogna solamente comprendere, a questo punto, come trasmettere tale valore razionalmente ed emotivamente.

Per veicolare messaggi (e chi è del settore lo sa) il marketing è fondamentale, così come il suo specifico utilizzo nel campo. Subentra, così, nel manuale la spiegazione (unita forse a pochi supporti grafici) delle 6 P del marketing mix italiano, ovvero product, place, price, promotion, people and patrimony. Le ultime due voci sono state però aggiunte in un secondo momento rispetto al modello originario: l’excursus sulla sua nascita è rapido, mentre più accurata è la motivazione per le successive addizioni che vedono il cliente come consumatore e “consumAttore”, quindi protagonista indiscusso di quelle che saranno le scelte di mercato.

Ponendosi il testo come manuale d’istruzioni, non può mancare un elenco degli strumenti essenziali tra cui un piano marketing che rispetti le seguenti caratteristiche: oltre alla canonica attenzione al prezzo , ai tempi di azione, i trend passati e le analisi di scostamento, l’autrice aggiunge delle “spezie” che considera unicamente italiane, come senso e sensibilità estetica, empatia e flessibilità e una certa cura dei dettagli. Cita anche una particolare teoria, il tinkering. Il tutto condito da una capacità di dialogo che pensa faccia la differenza più di ogni altra cosa: «non c’è prodotto Made in Italy che si rispetti che non sia correlato da un canale di relazione o più canali di interazione diretta».

Se tali strumenti, di cui noi abbiamo riportato solo un esempio, offrono un passepartout, bisogna affrontare con attenzione i percorsi da intraprendere: ce ne saranno sicuramente di più agevoli e vincenti ed anche di più sicuri. «La maggior parte delle nostre eccellenze manifatturiere non proviene solo da settori tradizionali, quali potrebbero essere il tessile o le calzature, ma arriva dalla meccanica e dai mezzi di trasporto, dalle tecnologie del caldo e del freddo, dalle macchine per lavorare legno e pietre ornamentali, tubi e profilati cavi, dagli strumenti per la navigazione aerea e spaziale. Ai quali si affianca il presidio di quei settori in cui il Made in Italy è forte per tradizione, come il design o il lusso», scrive l’autrice.

Il pubblico, però, non può e non deve essere limitato a una delle 6 P del marketing mix italiano: a lui è legata la Customer Italian Experience definita in inglese, non a caso, come engagement , coinvolgimento. Vi è dedicato, infatti, un intero paragrafo, circoscrivendo la soddisfazione dei clienti attorno a tre criteri: soddisfazione delle esigenze, facilità e piacevolezza. «Contribuiscono a creare l’esperienza del cliente non solo le interazioni con i prodotti e servizi che fanno parte dell’offerta, ma anche i contatti con il sito web, l’immagine e l’allestimento del punto vendita, l’operatore del call center, la pubblicità, il commesso del negozio, le conversazioni sui social media, le brochure informative, lo stand in fiera, la promoter che offre campioni al supermercato, e così via», si legge all’interno del testo. La sua gestione viene, quindi, definita come una vera e propria disciplina, della quale uno dei fini è costruire con le persone una solida loyalty per quando si troveranno a scegliere tra un’azienda e la sua concorrenza. Tutto ciò non sarà esente dalla necessità di imporre al brand tutta l’italianità possibile, che renda il cliente perfettamente consapevole della scelta Made in Italy.

Quando si pensa Made in Italy forse è inevitabile immaginare talentuosi artigiani nostrani: si tratta di un mercato sicuramente piccolo, ma buono, che seppur colpito dalla crisi è ancora un «must in termini di vantaggio competitivo». L’unico (ma fatale) limite è che spesso non si sfruttano i mezzi e le opportunità moderne, come quelle digitali, e in questo modo si rischia di non poter diffondere le proprie peculiarità. Essi, comunque, si contrappongono, con la loro genuinità, anche a nomi importanti che hanno fatto la storia dell’industria italiana, ma che con il tempo si sono trasferite all’estero, perdendo la possibilità di avanzare qualsiasi diritto sul Bel Paese. L’autrice a tal proposito cita – inevitabilmente – l’azienda di moda di Valentino, Bulgari e Fendi.

Se gli artigiani sono un esempio di virtù e tenacia, alcune aziende di grande calibro lo sono state allo stesso modo: la loro menzione è stata quindi necessaria, assieme a una breve descrizione della storia e del trascorso. “Il Marketing del Made in Italy” è, quindi, un manuale che si conclude con un’autovalutazione forse superflua sulla propria “italianità”, ma anche un collage di esperienze legate da un tono strettamente colloquiale. Un tu per tu con una realtà tangibile e nostrana.

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