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Questo è il marketing. Non puoi essere visto finché non impari a vedere

In "Questo è il marketing" Seth Godin rilegge il marketing alla luce della necessità di ispirare fiducia e cambiamento nella gente.

EDITORE Roi Edizioni
PUBBLICATO 2019
EDIZIONE
PREZZO 20,40 su Amazon
PAGINE 253
LINGUA italiano
ISBN/ISSN 9788885493421
AUTORE
S. Godin
VALUTAZIONE Inside Marketing
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Recensione Inside Marketing

Il problema del marketing tradizionale è che è finito per essere indirizzato al cliente senza prima essere pensato per il cliente. È per questo che l’ultimo saggio di Seth Godin ne smonta i principi e, come nell’aneddoto del pesce grande che chiede ai pesci piccoli cos’è l’acqua, invita i marketer e chi pratichi questa disciplina giorno per giorno a riflettere su quando si possa davvero dire “Questo è il marketing” (titolo italiano del libro edito da ROIedizioni).

Il risultato è una sorta di manifesto – scorrevole nella lettura, simile a tratti alla letteratura ispirazionale ma senza mancare, per questo, di consigli pratici e riflessioni tecniche – in cui sono parole come «cambiamento», «empatia», «tensione emotiva» a dominare. Come spesso accade con tutto quello che si può riassumere in una formula da manifesto, così, alcune idee nel saggio sono state soggette a cattive interpretazioni e l’arrivo in Italia di “Questo il marketing” è stato segnato dal dubbio, per esempio, che un esperto del calibro di Godin stesse di fatto suggerendo di lasciar perdere i social per la propria strategia di marketing.

Cosa non è (e non può più essere) il marketing

Se davvero dovesse servire chiarirlo, no, non è questo che il saggio suggerisce. Si tratta di una brutale semplificazione e il messaggio reale ha a che vedere con l’impossibilità, oggi più che mai, di pensare a un marketing che sia per tutti. Per anni i marketer di vecchio stampo hanno cercato di arrivare a quante più persone possibili, mirando ad allargare la propria fetta di mercato. Lo hanno fatto persino quando si è trattato di sfruttare i social media e il risultato è stato trasformarli, contro la loro natura, in mezzi di comunicazione broadcast, tramite cui implorare gli utenti di diventare propri clienti, di fatto interrompendoli nelle loro attività e senza accorgersi che il web è «un miliardo di piccoli bisbigli egoistici, una serie infinita di conversazioni egoistiche» che, più raramente di quanto si possa immaginare, riguardano le aziende o i loro prodotti. Per questo, come l’esperto aveva già sottolineato in altri saggi precedenti, non è più tempo di fare marketing dell’interruzione. E per questo – per andare all’ipotesi nuova del saggio – un permission marketing rivolto allo smallest viable market è l’unica soluzione praticabile da parte di un buon marketer.

Tecnicismo delle espressioni a parte, insomma, “Questo è il marketing” fa un passo avanti nel definire quale deve essere il marketing del presente, a partire da un balzo all’indietro e recuperando, cioè, principi che a guardarli bene, per quanto possano essere stati dimenticati dai marketer, hanno un valore atavico. Tradotto in termini che potrebbero andar bene anche al di fuori di un ufficio marketing, infatti, lo smallest viable market è quel numero minimo di persone per cui può valerne la pena. Sono le stesse persone che si riconoscono nella storia che la marca racconta. Sono persone, soprattutto, che condividono tra di loro prima che con il brand in questione una certa visione del mondo, visione che permette loro di dire “le persone come noi fanno cose come queste“, anche e soprattutto quando fare cose come queste significa comprare un prodotto Apple o fare la spesa solo in negozi che abbiano sugli scaffali prodotti bio e provenienti da filiere fair e via di questo passo. E, ancora, sono persone che desiderano, che chiedono di essere disturbate, certo se ancora di disturbo si può parlare nella prospettiva appunto del permission marketing.

Questo è il marketing: i consigli di Seth Godin per un marketing che cambia

A questo punto si potrebbe pensare che il saggio di Godin offra strumenti precisi, puntuali per identificare la propria nicchia, il proprio target di valore. In parte è quello che succede davvero: basta sfogliare velocemente il volume per accorgersi, per esempio, della presenza di piani cartesiani che dovrebbero far felici i marketer più fanatici di un approccio scientifico-quantitativo. Il cuore della discussione però prescinde, come dovrebbe essere ormai chiaro, da una visione statica e tradizionalista del maketing ed è per questo che, più che agli strumenti, Godin sembra essere interessato a cambiare l’approccio culturale; tutto il resto, poi, dovrebbe venire da sé. Da qui una serie di consigli su come saper dire anche a un potenziale cliente “non è quello che fa per te“, apprezzare soprattutto le critiche mosse al proprio prodotto o  servizio, non presentarsi come una ghianda se si vuole apparire come una foglia o rivolgersi soprattutto a innovatori e early adopter  e avere il coraggio di rivendicare il cambiamento di cui si vuole essere responsabili. Consigli che dovrebbero aiutare i moderni marketer a capire come il proprio ruolo sia «portare le persone da uno stato emotivo all’altro […] attraverso un percorso», aiutandole un po’ alla volta «a diventare le persone che hanno sognato di diventare» o ancora che «il cuore e l’anima di un’impresa fiorente è l’irrazionale ricerca di diventare irresistibile».

L’elenco di buoni propositi da rispettare prima di poter dire “questo è il marketing” potrebbe continuare ancora a lungo, ma per non lasciare il dubbio che l’ultimo saggio di Godin non abbia applicazioni o utilità pratiche per chi fa marketing ogni giorno vale la pena menzionare almeno i tanti casi di studio presentati – seppur sempre nella forma di un racconto agevole e scorrevole – e l’ultimo capito interamente e più tecnicamente dedicato alla costruzione di un funnel di marketing, una bibliografia ragionata di titoli cult e di testi più pragmatici sul marketing moderno e, soprattutto, un foglio di appunti di marketing che dovrebbero aiutare gli addetti ai lavori a capire e a saper esprimere ogni giorno quanto siano orgogliosi del proprio lavoro e del cambiamento che hanno stimolato e di cui sono stati protagonisti. A guardarlo bene, del resto, proprio questo è il marketing.

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