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Microsoft chiuderà LinkedIn in Cina dopo le critiche ricevute per aver censurato dei giornalisti americani

LinkedIn chiuderà in Cina, ma la piattaforma verrà sostituita da InJobs: la difficoltà nel rispettare le rigorose normative imposte dal governo cinese è tra i motivi che hanno portato a questa decisione.
Attraverso un comunicato, il social network ha annunciato la chiusura della «versione localizzata di LinkedIn» in Cina, sottolineando la difficoltà nel conformarsi alle rigorose normative imposte dal governo di Pechino ai social media . Anche se LinkedIn chiuderà in Cina, però, presto Microsoft lancerà nel Paese una nuova app chiamata InJobs, ugualmente dedicata al mondo professionale, ma priva delle affordance che caratterizzano i social.
Il problema della censura in Cina e la decisione di LinkedIn di chiudere la piattaforma
La decisione annunciata da LinkedIn sarebbe dunque riconducibile all’impossibilità di rispettare tutti i requisiti di conformità imposti dal governo. Negli anni tante sono state le restrizioni poste alle attività online: è possibile infatti far riferimento al “grande firewall della Cina” (“the great firewall of China”)[1], espressione utilizzata per descrivere l’insieme di misure legislative e tecnologie messe in campo dalla Repubblica Popolare Cinese per controllare la Rete a livello interno.
La piattaforma dedicata alla ricerca di lavoro era l’ultimo grande social network americano rimasto a operare apertamente nel Paese, come fatto notare da The Wall Street Journal[2]. A febbraio 2014 l’azienda aveva deciso di creare una versione di LinkedIn che, rispettando i requisiti imposti dal governo, permettesse agli utenti di accedere alla piattaforma in Cina[3]. Tuttavia, pur dichiarando di sostenere la libertà di espressione, Microsoft ha dovuto accettare dei compromessi per poter mantenere il social attivo nel Paese[4]. La versione in questione, infatti, non permetteva per esempio la creazione di gruppi (funzione che è invece disponibile in Italia), che potrebbero essere usati, per esempio, per criticare le azioni del governo di Pechino.
Con questo approccio negli ultimi sette anni l’azienda si è impegnata ad aiutare gli utenti a cercare lavoro e a tenersi aggiornati. Tuttavia, come si legge nel comunicato, mentre è riuscita in maniera efficace nella prima missione, non ha invece riscontrato lo stesso successo «dal punto di vista sociale per quanto concerne la condivisione [di contenuti] e la possibilità di tenersi aggiornati».
Così, l’azienda americana ha ora deciso di focalizzarsi esclusivamente sull’aspetto professionale, «aiutando i professionisti a trovare lavoro in Cina e le aziende cinesi a trovare dei candidati di qualità». Entro la fine del 2021 verrà dunque lanciata la piattaforma InJobs, priva delle funzionalità proprie dei social network, come per esempio il feed o la possibilità di condividere dei post o degli articoli.
I giornalisti americani censurati da LinkedIn e le critiche rivolte alla piattaforma
Nel corso dell’ultimo anno diversi episodi hanno portato l’azienda a essere oggetto di critiche nel mondo occidentale, in particolare per aver “ceduto” alla volontà del governo cinese in materia di censura. A giugno 2021, per esempio, Microsoft ha oscurato dei profili LinkedIn in Cina che contenevano al loro interno dei contenuti di stampo politico particolarmente delicati, come quelli generalmente censurati dal governo (volendo fare un esempio si pensi al massacro di Piazza Tienanmen, luogo dove nel 1989 ci sono state manifestazioni popolari fermate però dall’esercito cinese)[5].
A settembre, invece, LinkedIn ha bloccato in Cina il profilo di diversi giornalisti americani come Bethany Allen, che lavora come reporter per il sito di notizie Axios approfondendo in particolar modo i temi legati alla Cina e all’influenza di questo Stato a livello globale. Su Twitter la reporter ha mostrato il proprio stupore per l’accaduto, spiegando che si aspettava un’azione simile da parte del governo o delle aziende cinesi, ma non da un’azienda americana.
I woke up this morning to discover that LinkedIn had blocked my profile in China.
I used to have to wait for Chinese govt censors, or censors employed by Chinese companies in China, to do this kind of thing.
Now a US company is paying its own employees to censor Americans. pic.twitter.com/eRTq4u8rJl
— B. Allen-Ebrahimian (@BethanyAllenEbr) September 28, 2021
È molto probabile, dunque, che la decisione di LinkedIn sia stata condizionata non solo dalla difficoltà di rispettare tutti i requisiti imposti dal governo di Pechino, ma anche dalle crescenti critiche rivolte all’azienda. Tali azioni, però, sono state considerate come «un atto di sottomissione alla Cina comunista», come ha dichiarato per esempio il senatore americano Rick Scott in una lettera rivolta al chief executive Ryan Roslansky e al CEO di Microsoft Satya Nadella[6]
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