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E se le Stories sui social fossero la nuova televisione?

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Un tempo facevamo zapping, ora girovaghiamo tra Stories sui social: eppure le due forme di fruizione di contenuti sono molto simili.

C’era una volta il second screen , quella pratica così amata dagli utenti social che consisteva nel commentare ciò che si stava guadando in Tv dal proprio account Twitter, Facebook, eccetera e confrontarsi, nel farlo, con una community di altri appassionati. Oggi, se abbiamo smesso di commentare sui social quello che guardiamo in televisione, è perché la televisione la guardiamo direttamente sui social. E non solo grazie a brand , aziende e più in generale soggetti business e non sedotti dall’importanza di una strategia video o, ancora meglio, di una strategia di contenuti branded, ma grazie soprattutto alle Stories che, da Snapchat a Instagram passando per Facebook e WhatsApp, non è azzardato considerare un modo nuovissimo e 2.0 di fare zapping.

Così la disponibilità del telecomando inventò lo zapping…

Secondo critici e teorici, infatti, queste nuove forme di fruizione di video attraverso le più moderne piattaforme social hanno più affinità di quanto si possa pensare con la storia e le evoluzioni della vecchia televisione. Ci fu un tempo in cui — erano gli albori degli apparecchi televisivi— anche ammesso che ci fossero più reti con programmazioni diverse tra cui scegliere, per cambiare canale ci si doveva alzare e girare direttamente la manopola collegata all’antenna. Più tardi fu l’avvento di sistemi di trasmissione e apparecchi più moderni, dotati di un telecomando, che rese più semplice, comodo e per questo inevitabile passare sempre più velocemente da un canale all’altro, costringendo i responsabili televisivi a inventarsi tecniche di palinsesto delle più competitive e, allo stesso tempo, rendendo possibile per gli spettatori costruirsi di fatto un palinsesto del tutto personalizzato e on demand. Il medium insomma fu il messaggio, per parafrasare una delle massime più note della massmediologia: furono, cioè, le stesse caratteristiche del mezzo a definire un’evoluzione nel tipo di uso che se ne faceva e, nello specifico, l’abitudine allo zapping compulsivo fu un omaggio dei sistemi di remote control. Basti, a proposito, considerare qualche numero di una ricerca realizzata da One For All: fino a qualche anno fa c’erano nei salotti degli italiani in media 2,3 telecomandi che venivano utilizzati per lo zapping (per il 29% degli utenti), per accendere e spegnere (20%), regolare il volume (16%), usare il menu di navigazione (7%), trasferire comandi (7%) e accedere alla home (6%) o alle impostazioni personalizzate (2%).

…e le Storie sui social lo “rimediano”

Cosa fa, allora, da telecomando sui social permettendo di fare zapping da un contenuto all’altro, alla ricerca di ciò che ci interessa di più? Per chiunque abbia una certa familiarità con le Stories che di questi tempi affollano tutte le piattaforme, la risposta è facile: l’interfaccia utente. Analizzando le ragioni per cui, almeno in potenza, Snapchat rappresenta la TV del futuro, è stata sottolineata spesso, infatti, la rilevanza in questo senso di una UI semplice, intuitiva, veloce, efficace. Un tap a destra per andare avanti tra i contenuti dello stesso utente — dello stesso canale, se si volesse ricondurre tutto a una logica televisiva— e un tap a sinistra per tornare indietro, un semplice swipe invece per passare alla Storia di qualcun altro: il social del fantasmino ha inventato una grammatica dello zapping social così amata dagli utenti (che la preferiscono, per esempio, al semplice autoplay che obbliga a guardare tutte le storie in successione) da essere imitata, poi, da tutti gli altri social di casa Facebook che hanno progressivamente introdotto la feature in questione.

Perché amiamo le Stories che ci rendono prosumer

Qualora ci fosse bisogno di ricordarlo, insomma, la parola d’ordine quando si guarda alla fruizione di contenuti è personalizzazione: se tanta letteratura ci vuole prosumer, cioè, è perché siamo sempre più in grado di produrre da soli i palinsesti, i sistemi di contenuti che consumiamo e se questo avviene è certo grazie anche a piattaforme abilitanti. Si pensi in questo senso alle playlist di Snapchat che permettono di raggruppare una serie di utenti e di guardarne in flusso, proprio come se si trattasse di un palinsesto verticale di programmi di una Rete TV, le Stories. O alla recente introduzione nelle Instagram Stories di hashtag e geolocalizzazioni cliccabili, sulla base dei quali è la stessa piattaforma ad aggregare contenuti provenienti da utenti diversi. Che cosa sono se non il tentativo di rendere anche la social tv — se per social tv si intende tutti i contenuti simili a quelli televisivi che oggi consumiamo su piattaforme e schermi completamente diversi — ancora più on demand? La natura dei contenuti, in un discorso come questo, viene dopo e il fatto che si tratti nella maggior parte dei casi di contenuti amatoriali o del continuo live streaming di istanti insignificanti della vita quotidiana di utenti qualsiasi, così simile nella narrativa a un reality show, tra l’altro, non fa che aggiungere un tassello in più all’ipotesi che le Stories possano essere la TV del futuro. Una TV tutta sui generis certo, che già però sembrerebbe aver rimpiazzato il vecchio monitor almeno presso i Millennial: dei dati sull’utilizzo di Snapchat rilasciati in occasione dell’ultimo Cannes Lions parlerebbero, infatti, di un 41% di utenti nella fascia 18-34 anni raggiunti quotidianamente dal social del fantasmino, contro appena un 6% raggiunto dalla televisione.

Tutte le ragioni per cui la Storie su Snapchat e co. sono più simili alla TV di quanto si creda

Se le valutazioni sui target di riferimento sono, però, per forza di cose legate al singolo contesto sociale, geografico, economico (solo per stare al caso Snapchat, i dati su iscrizioni, attività giornaliera e consumo di contenuti risultano molto diversi in Italia e negli Stati Uniti per esempio, ndr), quello che è certo è che ci sono più aspetti di quanto si immagina che potrebbero, in un futuro tutt’altro che remoto, far diventare le Stories sui social la nuova TV. Un solo esempio? Ancora una soluzione tecnica, quello dei video in verticale e a schermo intero che catturano la nostra attenzione proprio come prima di loro facevano i vecchi schermi di televisione e cinema. Fin qui, infatti, nonostante fossimo ben più che abituati a fruire di video in Rete, lo facevamo sempre all’interno di frame e layout ben definiti, quelli di un post di Facebook, di un tweet o persino entro la cornice standard di Youtube a meno che non avessimo attivato appositamente la funzione schermo intero: nessuna di queste cornici, però, è pulita, priva di distrazioni come lo sono invece gli shot a schermo intero delle Stories su Instagram e co. e c’è proprio una statistica interessante in materia che sottolinea come i tassi di abbandono di un contenuto siano nove volte inferiori quando e se visualizzato a tutto schermo. Anche senza considerare gli investimenti pubblicitari sempre più consistenti che le aziende più digital oriented fanno ormai anche su contenuti temporanei come questi, insomma, il cerchio è chiuso e, se non si tratterà di uccidere la televisione, le Stories avranno certo l’effetto di sottrarle sempre più traffico.

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