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Lush abbandona i social (ma forse non è un vero abbandono)

La notizia che Lush abbandona i social dice molto sulla direzione verso cui si stanno muovendo gli ambienti digitali.
L’annuncio è arrivato improvviso e senza essere preceduto da particolari sconvolgimenti nel piano editoriale : Lush abbandona i social. O, meglio, la divisione inglese del noto brand di prodotti per il corpo fatti a mano cambia il suo approccio ai social e la sua stessa presenza digitale.
Perché Lush abbandona i social ma, forse, non completamente e non per sempre
È ancora troppo presto per sapere, nel dettaglio, come. Sembra chiaro però il perché di una scelta apparentemente insolita e controcorrente, soprattutto per un love brand come Lush che ha non solo clienti affezionati e di lungo corso ma anche una community online abbastanza nutrita. «Siamo stanchi di combattere contro gli algoritmi e non vogliamo pagare per comparire nel newsfeed» scrivono, infatti, nel post di commiato.
Se Lush abbandona i social, insomma, è per via del tanto discusso traffico organico, che è sempre più un miraggio da guadagnare, e di algoritmi che, non è più un mistero, premiano soprattutto i contenuti sponsorizzati e paid. La polemica è velata nelle parole dell’azienda, ma pagare per poter raggiungere le persone con cui si era soliti interagire anche prima, anche a prescindere dai social e per poter «parlare l’uno con l’altro» può sembrare un paradosso. Per riscoprire la dimensione di comunità, anche a prescindere da social e ambienti digitali, e per continuare a mantenere il rapporto diretto con i clienti, la prima azione di Lush, così, sarà implementare la customer care: la promessa è quella di un team ancora più efficiente, da contattare tramite email o grazie alla chat del sito ufficiale e pronto a rispondere a qualsiasi necessità e a qualsiasi curiosità da parte degli utenti.
C’è un passaggio in particolare del post con cui Lush abbandona i social, però, che fa pensare che non si tratti di un vero abbandono. «Non vogliamo limitarci a mantenere la conversazione in un solo posto» e «vogliamo rimettere i social nelle mani delle nostre community» scrivono, infatti, dall’azienda. Ancora una volta, il riferimento poco velato è a come gli ambienti digitali, da media ibridi quali erano, si sono trasformati nel tempo in veri e propri owned media. Semplificando molto, ogni brand, ogni azienda ha ormai uno spazio proprietario e per cui – a patto, certo, che non entrino in conflitto con quelle della piattaforma – è libera di scegliere policy e linee guida. Il dubbio posto da Lush è, però, che questo accentrare i contenuti e le relazioni attorno a un unico profilo significhi tornare indietro verso una comunicazione da uno a molti, broadcast.
La «rivoluzione» social dell’azienda di cosmesi – che non è nuova, tra l’altro, a riscrivere le regole, perché è quello che ha fatto nel settore di riferimento con prodotti naturali, artigianali ed eco-friendly – sembrerebbe, insomma, rimettere al centro le persone.
Non a caso «community» è tra i termini che tornano di più nell’ultimo messaggio di Lush UK sui social. Come già si accennava, non ci sono molti dettagli rispetto a cosa vorrà dire nella pratica questa nuova centralità dei Lush lover. Ai più attenti, però, non è sfuggito un hashtag aziendale (#LushCommunity) già lanciato dal brand. Con ogni probabilità, insomma, la presenza digitale di Lush ripartirà da qui, da un community management decisamente più diffuso e da contenuti che, più di quanto già non avvenisse, saranno soprattutto contenuti prodotti dagli utenti. Non è strano pensare, comunque, che un peso maggiore possa essere dato a influencer – anche micro influencer e nano influencer – che avranno il compito di farsi letteralmente portavoce del brand negli ambienti digitali.
Meno social, più socialità è il futuro del marketing?
Un approccio del tipo “meno social, più comunità” comunque è quello verso cui sembrano muoversi numerosi brand. Mentre Lush abbandona i social, infatti, ci sono brand del lusso soprattutto che già da tempo limitano al minimo la loro attività su Facebook, Instagram e altri ambienti simili e puntano, invece, a raggiungere in maniera più diretta e immediata la propria nicchia di mercato, quello a cui in alternativa ci si riferisce come smallest viable market (lo fa soprattutto Godin in “Questo è il marketing” )e che consiste nel numero, pur limitato, di persone che amano il brand e che non potrebbero farne a meno anche se ciò richiedesse sforzi maggiori del semplice like alla Pagina Facebook o follow su Instagram.
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