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Alla (ri)scoperta del marketing collaborativo

Alla (ri)scoperta del marketing collaborativo: la strategia che piace alla gente

Perché investire in marketing collaborativo? Perché piace ai consumatori e li coinvolge. Ne abbiamo parlato con Milvia Bonvicino di "trnd".

C’è chi ha dato una definizione semplice della nuova tendenza al marketing collaborativo: non imbarcarsi in operazioni di marketing e comunicazione per il consumatore, ma lasciare che sia il consumatore stesso a parlare del e per il brand .

Milvia Bonvicino trnd

Milvia Bonvicino, Managing Director di trnd Italia.

A conversazioni e passaparola sui prodotti che acquistiamo e le aziende che li producono, del resto, siamo abituati da sempre: «una volta si andava al mercato, l’ambulante usava già le cinque P del marketing scegliendo il prodotto da vendere, il posto da occupare, eccetera – racconta durante un’intervista ai nostri microfoni Milvia Bonvicino, Managing Director di “trnd Italia“, azienda leader a livello europeo per il marketing collaborativo – e parlando con le acquirenti che compravano le sue mele, di fatto, oltre a vendere il prodotto lo raccontava, dicendo per esempio di coltivare la frutta nel suo orticello di montagna e così via. Le signore, a loro volta, passavano questa e altre informazioni alle amiche, spiegando perché le mele di quel banchetto erano migliori di altre e spingendole a comprarle. Qualcosa di simile accade ancora oggi nei negozietti di quartiere, dove chi sta dietro il bancone sa già chi siamo, cosa vogliamo. Quello che fa il marketing collaborativo è, allora, semplicemente replicare su grande scala quello che accade da sempre e la possibilità di costruire un dialogo one-to-one con il consumatore».

Marketing collaborativo: così si coinvolgono i consumatori on e offline

Per farlo ha bisogno della tecnologia: senza sarebbe impossibile anche solo pensare di costruire un rapporto uno a uno con tutti i consumatori di un brand moderno. In questo senso, il web, gli ambienti digitali, le piattaforme pensate ad hoc, i social network sono uno strumento indispensabile per le campagne di marketing collaborativo: sono, infatti, i luoghi dove chi partecipa condivide più comunemente le proprie impressioni rispetto a un prodotto, un servizio, un brand e lo fa, spesso, pubblicando materiali e contenuti multimediali.

Quello che forse non ci si aspetterebbe, però, è che il grosso dell’attività degli ambassador di una campagna di marketing collaborativo avvenga anche offline. Le best practice in questo senso sono molte: come ci racconta l’esperta, nelle storia di “trnd” c’è stato chi ha organizzato party in onore del prodotto di cui era ambasciatore o cene con gli amici, soprattutto se si trattava di un prodotto appartenente al settore food. E, ancora, c’è stato chi per un marchio di soluzioni adesive ha scritto una poesia tutta in rime e chi si è lanciato dal paracadute con una bottiglia di cola in mano, filmandosi, e gridandone i benefici per finire, poi, direttamente sul packaging del prodotto. I consumatori, insomma, devono essere «coinvolti a 360°, ascoltati, presi in considerazione per come desiderano. Nessuno è più un acquirente cieco davanti allo scaffale del supermercato», sottolinea Milvia Bonvicino.

Concretamente, quali corde serve toccare per convincere un consumatore a partecipare a una campagna di marketing collaborativo?

Va considerato, innanzitutto, che non a tutti piace partecipare. Si devono selezionare, perciò, sia le persone giuste per un’operazione di questo tipo, sia quelle che hanno maggiori affinità con il brand in questione. Generalmente, comunque, chi partecipa a una campagna di marketing collaborativo si sente un po’ vip, nel senso buono, dal momento che i brand preferiti che è abituato a vedere sugli scaffali dei supermercati, in vetrina, o a vivere come consumatore lo ingaggiano e gli chiedono di contribuire a costruire la strategia marketing. È come dare un pass per il backstage di un concerto: gli ambassador riescono, infatti, a vedere cosa succede dietro una marca che normalmente vivono con distacco, scoprono chi è il brand manager, vedono le facce che stanno dietro al marchio, possono fare tutte le domande che vogliono e ricevere le risposte. C’è, insomma, un coinvolgimento profondo tra marca e consumatore, che è molto appagante per chi partecipa. Qualche volta gli effetti sono interessanti anche da un punto di vista sociale. C’è chi ci ha raccontato di aver riallacciato rapporti che non viveva da tempo proprio diventando ambassador di un prodotto: se ti arriva un pacco pieno di cioccolata da far conoscere, infatti, la condividi con amici e conoscenti, bussi al vicino con cui non hai mai parlato e questo diventa una scusa per riscoprire rapporti dimenticati.

Affidarsi al marketing collaborativo: tutti i vantaggi e i possibili rischi

Stando a metriche più concrete e misurabili, i risultati di una campagna di marketing collaborativo possono essere, comunque, considerevoli: qualche volta si tratta di decine di migliaia di nuovi utenti registrati su un sito di ecommerce , altre volte il brand può vedere considerevolmente aumentato il suo sentiment index. È quello che è successo, per esempio, a una nota marca di proteggi-slip che per il lancio di un suo nuovo prodotto (super sottile, super assorbente, in grado di neutralizzare gli odori) si è affidata proprio a una campagna di marketing collaborativo che ha visto protagoniste oltre due mila donne italiane di diverse fasce d’età. In questo caso non si è trattato solo di testare in anticipo un prodotto e di farsene ambasciatrici, ma anche di collaborare a sfatare un tabù, come le perdite urinarie e vaginali, cosa che «non è sempre facile, soprattutto utilizzando i canali tradizionali», dicono dall’azienda in questione. I risultati comunque? Non sono stati solo feedback assolutamente positivi sul nuovo prodotto ma anche un miglioramento nel posizionamento del brand, che si è potuto vantare per esempio di uno speciale contrassegno sulla confezione, quello di marchio più amato dalle italiane. Una riprova, insomma, che «le campagne di passaparola sono un ottimo strumento da integrare nel marketing mix per lanciare e rilanciare prodotti, ma anche per attestarne il loro successo fra i consumatori», come sottolineano da trnd.

Affidarsi a una campagna di marketing collaborativo, però, come ben spiegato anche nell’eBook “Il futuro del marketing ha un cuore antico. Viaggio alla scoperta del marketing collaborativo” edito dalla stessa “trnd”, significa per le aziende anche aprirsi all’esterno, con una logica che da inside-out, in cui è l’azienda a offrire esternalità all’ambiente, deve diventare outside-in e in grado di assorbire tutto quello che l’ambiente esterno ha da dare all’azienda in termini di bisogni, know how, insight. Spesso, infatti, «le aziende sono abituate semplicemente a ideare un prodotto, metterlo sul mercato e farlo consumare, letteralmente, dal consumatore. Con il marketing collaborativo, invece, non è più il prodotto a essere, diciamo così, sul palco di un concerto con il consumatore che lo guarda, lo compra, si fa un’opinione positiva o negativa, ma rimane pur sempre uno spettatore. È il consumatore che va sul palco: bisogna, cioè, pensarlo come punto di partenza per la produzione di un prodotto, tanto più che è da lui che dipende il successo sul mercato. In altre parole, serve costruire un rapporto alla pari e non considerare il consumatore il punto finale di un percorso ideale», continua l’esperta.

Quanto conta in questo senso una cultura aziendale moderna? E quali resistenze vengono dall’interno delle aziende?

Molte aziende hanno paura di mettersi nelle mani del consumatore, specie se non lo hanno è mai fatto prima e sono abituate a lavorare con l’advertising tradizionale e avere controllo su tutto. Mettersi nelle mani dei consumatori, del resto, richiede fiducia. Ma anche la considerazione che, pur se non ingaggiati dal brand, i consumatori parlano lo stesso, fanno lo stesso passaparola, sia in positivo che in negativo. Anche le critiche e le opinioni negative, così, se ben sfruttate, sono ottimi strumenti tramite cui l’azienda può capire dove migliorarsi e il timore iniziale può trasformarsi in una grande ricchezza di contenuti e insight e far capire il vero valore di un approccio di questo tipo.

Senza contare, per finire, che il marketing collaborativo può aiutare le aziende persino a sfruttare risorse che hanno già ma che non implementano abbastanza in strategie di customer relationship management , per esempio. Spesso si hanno, infatti, «basi di dati che vengono archiviati ma non utilizzati a 360°. Che è come dire che le aziende raccolgono dati dei loro utenti, ma non sanno bene cosa farsene – ci spiega ancora Milvia Bonvicino – e, in questo senso, il marketing collaborativo può rappresentare una ventata di aria fresca per un CRM inattivo o quasi: perché non solo si utilizzano i dati a disposizione, ma si collabora con i consumatori, si può aumentare la fanbase e, in genere, da questo tipo di campagne scaturiscono un’infinità di contenuti di qualità. Basta pensare a testi, immagini, claim, dati, sondaggi che, se in un secondo momento vengono associati a chi li ha prodotti, permettono di ottenere una profilazione completa dei propri consumatori, sapendo esattamente chi sono, cosa hanno fatto per la marca, eccetera».

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