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Micro-influencer marketing: se gli utenti “comuni” sono i migliori ambasciatori di un brand

Micro-influencer marketing: definizione, strumenti pratici ed esempi

Hanno un numero di follower ridotto ma i loro contenuti appaiono autentici e credibili: perché i brand riscoprono il valore del micro-influencer marketing

Rappresenterebbero, secondo molti esperti del settore, uno dei principali trend per il marketing del 2018: in che occasione, però, un brand dovrebbe pensare a una strategia di micro- influencer marketing e, soprattutto, quali sono i suoi vantaggi specifici?

Dall’influencer marketing al micro-influencer marketing

Molto si è detto, in questi anni, sulla rilevanza dell’influencer marketing soprattutto quando si tratta di vincere l’affollamento di voci e di messaggi tutti uguali che caratterizza gli schermi – pur ormai numerosi – dell’advertising più tradizionale. Quello che non può fare in termini di coinvolgimento e conversione un messaggio pubblicitario dei più classici, del resto, sembra lo riesca a fare ormai l’affidarsi ad ambasciatori del brand, che godano di grande credibilità e seguito presso la propria community e che sappiano diventare dei veri e propri punti di riferimento quando si tratta di prendere decisioni d’acquisto.

Cosa cambia, però, quando piuttosto che farlo con utenti che hanno una fanbase considerevole, brand e aziende si rivolgono a utenti con un seguito minore? Sotto una certa prospettiva, infatti, il micro-influencer marketing potrebbe essere considerato – e a ragione – una forma di influencer marketing, con tutte le sue regole, ma su scala ridotta.

Micro-influencer: chi sono e che vantaggi portano all’azienda

Anche il tentativo di definire chi è – e cosa fa – un micro-influencer si conclude, così, nella possibilità di inquadrarlo all’interno dei principali archetipi di influencer. Sono utenti che lavorano in un determinato settore o ne sono grandi appassionati, per questo lo conoscono alla perfezione, ne comprendono le regole e hanno acquisito nel tempo credibilità e autorevolezza al suo interno, oltre ad avere un buon seguito, s’intende. Proprio a proposito di seguito, sono le risposte alla domanda su quanti follower deve avere un micro-influencer per potersi definire tale ad assumere particolare importanza e a spiegare la natura e gli obiettivi stessi di una strategia di micro-influencer marketing. C’è un parametro che sembra mettere d’accordo gli esperti del settore: avere tra i 1000 e i 100.000 follower  rappresenta la dimensione giusta per la community di un micro-influencer.  Alcuni studi, del resto, hanno provato a misurare come varia l’engagement della fanbase al variare delle sue dimensioni: in parte a sorpresa, quando la community è più piccola è anche più coinvolta (mette like ai post, li commenta e/o condivide e più in generale interagisce con l’utente in questione). Un utente Instagram con meno o un massimo di 1000 follower ha, infatti, un tasso di coinvolgimento dell’8%; lo stesso sembrerebbe scendere invece ad appena l’1.7% quando la community sfiora il milione. È presto spiegato così, come ribadisce la guida di HubSpot al micro-influencer marketing, il primo dei vantaggi che si hanno quando ci si rivolge a dei micro-influencer.

micro-influencer marketing engagement community

Come varierebbe, secondo Markerly, il coinvolgimento della community al variare della sue dimensioni.

Il secondo è la possibilità di rivolgersi a una audience più ristretta, omogenea e – se si è scelto il micro-influencer giusto – persino più vicina al proprio target di riferimento. Con ogni probabilità, infatti, un utente comune di Instagram e co. avrà tra i suoi follower altri utenti che conosce direttamente e che, soprattutto, condividono con lui i suoi stessi interessi: un’istruttrice di yoga, per esempio, che posti video-tutorial delle sue lezioni avrà tra i seguaci numerosi appassionati e beginner della disciplina, per questo potrebbe essere una micro-influencer ideale per i brand sportivi con cataloghi ad hoc.

In generale, poi, più un influencer è piccolo e più è percepito come credibile. Dalle fashion blogger alle star di YouTube, infatti, non sono mancate in questi anni le polemiche rispetto alla trasparenza con cui gli influencer dichiarano i rapporti, evidentemente di tipo commerciale, che li legano con brand e aziende. Polemiche che hanno portato alla stesura di un codice etico per gli influencer e all’uso ormai diffuso del tag #adv per i post che prevedono collaborazioni con soggetti business. Non che i micro-influencer siano esclusi del tutto da simili doveri etici. Da un lato, però, è più probabile che un piccolo influencer accetti solo collaborazioni con brand che davvero sceglierebbe, se non utilizza già i loro prodotti, nella vita di tutti i giorni. Dall’altro proprio per il rapporto di fiducia, quasi personale, che lo lega alla community di riferimento proverà a essere sempre quanto più obiettivo e autentico possibile nei giudizi sui prodotti o brand. Con la stessa autenticità, e genuinità verrebbe da aggiungere, i micro-influencer rispondono ai commenti che ricevono e più in generale interagiscono con i loro follower: per tornare a parametri misurabili e di natura quantitativa, ciò si tradurrebbe in un numero di conversazioni in cui sono coinvolti i micro-influencer ventidue volte superiore a quello dei normali influencer.

Non meno importante per chi vuole investire in micro-influencer marketing, utenti comuni – pur nella loro particolarità – come questi hanno un costo decisamente minore, secondo delle stime addirittura dimezzato. Mentre per i macro-influencer si arriverebbe a spendere fino a 500$ per un post, per i micro-influencer la spesa non supererebbe i 250. Se si incrocia questo dato con quelli, di cui si è già detto, su coinvolgimento ed engagement della community è facile intuire perché, a parità di budget , è più efficace per il brand distribuirlo su più micro-influencer diversi che investire su un unico influencer o, addirittura, un unico testimonial vip.

Come scegliere il micro-influencer giusto

Un po’ meno semplice è capire invece quali siano i micro-influencer che fanno più al caso proprio. Oggi ce’è un gran numero di servizi ad hoc e di piattaforme che si occupano proprio di incrociare domanda (da parte dei brand) e offerta (da parte di utenti e potenziali micro-influencer). Per scegliere bene si dovrebbero prendere in considerazione tanti e diversi fattori, tra cui quelli quantitativi rappresentano solo una parte e macroscopica. Si dovrebbe tenere conto, infatti, di metriche più robuste come quelle che misurano appunto l’engagement della community o i tassi di conversione, ma anche di parametri qualitativi che abbiano a che vedere con la natura della fanbase e cioè il profilo soci-demografico e da consumatori di chi ne fa parte o, ancora, i temi su cui si confrontano più spesso, gli interessi espressi, ecc. Quanto all’attività specifica del micro-influencer andrebbe valutata la sua familiarità con il settore merceologico di riferimento, la rilevanza, cioè il valore concreto dei contenuti che è in grado di offrire, e ancora la sua capacità di differenziarsi rispetto agli altri.

Tre consigli degli esperti per un micro-influencer marketing efficace

Ci sono tre consigli, del resto, che sembrano arrivare dagli esperti a chi voglia intraprendere una strategia di micro-influencer efficace.

  • Primo fra tutti, non cercare semplici influencer ma veri e propri advocate, cioè utenti che vogliano farsi e spontaneamente ambasciatori del brand o dei prodotti presso la propria community. Con ogni probabilità sono utenti che già conoscevano, utilizzavano o avevano intenzione di farlo il proprio prodotto e che sono, per questo, desiderosi di potersene fare portavoci. Ci sono tanti vantaggi in ciò: il loro messaggio verrà percepito, innanzitutto, come più autentico; nella maggior parte dei casi ci sarà un risparmio concreto per il brand o l’azienda in questione che con buona probabilità potrà limitarsi a offrire ai micro-influencer semplicemente i prodotti in prova gratuita; né va dimenticato che ci sarebbe un 56% di consumatori che ammette di scegliere un prodotto rispetto a un altro proprio perché lo ha visto usato da altri consumatori.
  • Fare in modo che i micro-influencer raccontino una storia. Non si tratta tanto dell’imperativo dello storytelling aziendale a cui obbedire, quanto della necessità che ogni micro-influencer racconti una sua storia che abbia come protagonista, co-protagonista, aiutante il brand o il prodotto in questione, che abbia o meno natura visiva. Risulta più credibile agli occhi del consumatore e ne aumenta, soprattutto, le capacità d’immedesimazione.
  • Pensare a una campagna di micro-influencer marketing di lungo termine: è indispensabile perché i consumatori sentano parlare del proprio brand il più a lungo possibile, cioè aumenti la loro esposizione al brand stesso, cosa che spesso si traduce in un maggiore ricordo di marca e può avere effetti non indifferenti nell’orientare le scelte d’acquisto.

Di cosa è fatto un micro-influencer marketing a prova di retail

Se il percorso che porta il cliente a concludere l’acquisto è notevolmente cambiato in questi anni – spezzettandosi, diventando multicanale e così via – anche riuscire a sfruttare i vantaggi del micro-influencer marketing per il retail è diventata una task fondamentale per chi opera nel settore. Da Digimind consigliano, così, di

  • sfruttare la community per passare dall’online all’instore. Quello che i micro-influencer riescono a fare, infatti, è aggregare comunità che non hanno solo gli stessi interessi ma che sono anche geograficamente vicine. Al retailer tocca invece il compito di attrarle nel punto vendita, per esempio con eventi appositamente pensati e durante i quali può mettere in atto strategie di fidelizzazione delle più classiche (la sottoscrizione di fidelity card , promozioni speciali, ecc.).
  • Trasformare i micro-influencer in propri alleati soprattutto quando si tratta di creare contenuti di valore per il proprio target od offrirgli supporto. Si potrebbe affidare, per esempio, a chi si fa ambasciatore del proprio brand il compito di creare tutorial e guide sul giusto uso dei prodotti, se non coinvolgerlo addirittura in sessioni di Q&A. Anche in questo caso si tratta di puntare sulla maggiore credibilità, guadagnata sul campo, che hanno figure come queste. Senza contare che i micro-influencer potrebbero avere una familiarità maggiore con strumenti come le Instagram Stories o Snapchat, per la frequenza con cui li utilizzano: non di rado, così, la soluzione più utilizzata è quella dei take over di account.
  • Sfruttare al meglio il passaparola , che è poi il meccanismo principale che sta alla base di qualsiasi strategia di influencer o micro-influencer marketing. Indipendentemente dalla dimensione della loro community, infatti, utenti come questi fungono da trendsetter o, anche, da intermediari privilegiati secondo quella che è la teoria della two-step-flow of communication. E stando ad altri dati, proprio il passaparola sarebbe in grado di generare il doppio delle vendite rispetto all’adv tradizionale e agli strumenti paid.

Micro-influencer marketing: le migliori case history

Qualche esempio virtuoso di utilizzo di strategie di micro-influencer marketing? La catena di hotel Kimpton ha periodicamente organizzato dei take over del proprio profilo Instagram affidandolo, letteralmente, ai micro-influencer soprattutto quando si trattava di mostrare istanti di vita quotidiana e retroscena di un soggiorno in hotel.

Proprio dal settore del viaggio e dell’ospitalità vengono, del resto, gli esperimenti più interessanti, anche nel panorama italiano di collaborazioni tra brand o aziende e piccole star del web. Anche il food e il fashion, però, sono terreno fertile per i micro-influencer. Nel primo caso si tratta di sfruttare la notorietà, soprattutto territoriale, di cui godono i micro-influencer quando si tratta di orientare, per esempio, la scelta di un ristorante o di un’esperienza culinaria.

Adidas, invece, in occasione del lancio del suo modello “Ultra Boost” ha chiesto a degli appassionati di workout di provare le scarpe e raccontarne ai propri follower aspetti positivi e negativi.

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