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La miniserie di Gus Van Sant per Gucci è davvero l'alternativa migliore alle settimane della moda?

La miniserie di Gus Van Sant per Gucci è davvero l'alternativa migliore alle settimane della moda?

La miniserie di Gus Van Sant per Gucci ha l'obiettivo di presentare, in sette episodi, la nuova collezione della maison: cosa c'è da sapere.

Che avrebbe abbandonato «il rito stanco» delle collezioni stagionali, degli appuntamenti con le Fashion Week, degli show di moda patinati, Alessandro Michele lo aveva annunciato qualche mese fa nei suoi “Appunti Dal Silenzio”. A luglio 2020 così “Epilogue”, la diretta streaming di dodici ore per la presentazione di una nuova collezione Gucci, era sembrata il congedo definitivo della maison a ritmi ormai insostenibili per il sistema moda. Nella stessa ottica, il GucciFest e la miniserie di Gus Van Sant per Gucci sembrano ora segno tangibile del nuovo corso desiderato per il brand dal direttore creativo.

“Ouverture of Something that Never Ended”: la miniserie di Gus Van Sant per Gucci

Ouverture of Something that Never Ended” è, del resto, il titolo simbolico dei sette episodi che hanno per protagonista Silvia e lo scorrere della sua vita di tutti i giorni in una Roma decisamente vintage e un po’ «esoterica», scrive Vogue.

Il primo (disponibile dal 16 novembre 2020 sui canali social del brand e sul microsito guccifest.com) è altrettanto simbolicamente ambientato a casa, luogo così chiave di una “nuova normalità” con cui abbiamo dovuto familiarizzare in questi mesi di emergenza sanitaria, e segue Silvia, interpretata dalla performer Silvia Calderoni, nella lenta routine del mattino. I due termini – “segue” e “lenta” – tutto sono tranne che casuali: nei suoi scarsi venti minuti, infatti, il primo episodio della miniserie di Gus Van Sant per Gucci condensa elementi, come le inquadrature ravvicinatissime o i tempi della storia dilatati alla Elephant, che sono cifra stilistica della regia di Van Sant. Al contrario degli altri film del regista, però, la Gucci “Overture è una storia in cui non succede niente, la «storia vaga […] di una ragazza a Roma», per usare le parole dello stesso Van Sant a Vogue. Gli altri episodi, rilasciati uno al giorno, alle 21, fino al 22 novembre, saranno ambientati in un caffè, all’ufficio postale, al teatro, in un negozio vintage, nei dintorni della casa di Silvia e durante una passeggiata notturna.

Il GucciFest e quella contaminazione tra cinema e moda che non è nuova veramente

La mano di Van Sant non è comunque l’unico elemento sui generis a cui Michele ha affidato la presentazione dell’ultima collezione Gucci. La formula di un intero festival digitale, live dai profili social aziendali, su Weibo, dal sito dedicato, pretende di essere l’elemento più di rottura rispetto alla tradizione di passerelle, show a tappe nelle principali capitali della moda, eventi collaterali, party esclusivi. C’entra, certo, la tanto decantata democratizzazione della moda nel post pandemia che grandi del settore, come Armani o Elisabetta Franchi, hanno già declinato mandando in onda le sfilate sulla TV generalista e che il GucciFest interpreta, invece, nella possibilità che chiunque, da ovunque e in qualsiasi momento – tutti gli episodi della Gucci “Ouverture” e gli altri contenuti condivisi nella settimana del festival resteranno, infatti, disponibili on demand per essere visti e rivisti a piacimento – possa partecipare alla grande «festa delle lucciole».

guccifest presentazione alessandro michele

Le parole con cui, sul microsito dedicato, il direttore creativo della maison, Alessandro Michele, ha presentato il GucciFest. Fonte: GucciFest

Queste le parole che Alessandro Michele ha usato per presentare il suo GucciFest. La semantica è quella, a tratti un po’ mistica, della luce del nuovo che si contrappone al buio del «nostro lato d’ombra» in cui «abbiamo indugiato troppo a lungo», del «fuoco» pronto a «incendiarsi […] per decalcificare un mondo raggelato». Il GucciFest condensa, insomma, l’idea di creatività della maison e del suo direttore artistico e, al contrario delle fashion week che erano soprattutto un evento mondano vagamente dedicato agli appassionati di moda tout court, è un evento almeno nelle intenzioni ristretto alla cerchia degli appassionati dell’universo Gucci. Per verticalità, insomma, questo festival online per la presentazione della nuova collezione Gucci ricorda, a tratti, più feste del cinema ed eventi cinematografici che non i grandi show della moda. Il parallelismo è tutto tranne che velato e, se cinema e moda sono industrie che hanno sempre condiviso molto, ora sembrano condividere persino la necessità di «uscire dalla propria comfort zone» – così, riporta ancora Vogue, ha scritto Alessandro Michele in un comunicato stampa – e di ripensare a se stessi, alle occasioni di incontro con e di fruizione da parte del pubblico.

È The Guardian a sottolineare, avendoli visti in anteprima stampa, che i successivi episodi della miniserie di Gus Van Sant per Gucci non sono privi tra l’altro di citazioni cinematografiche, in qualche caso di film dello stesso regista: il «guardaroba sgargiante» di Silvia Calderoni in “Ouverture of Something that Never Ended, tutto rigorosamente fatto da capi della nuova collezione di Gucci, è un omaggio all’estetica di film cult come Belli e dannati per esempio. Gli appassionati di cinema, e i fan del regista soprattutto, dovrebbero essere abituati all’accuratissima ricerca, anche proprio sui temi della moda, che sta dietro a molti film di Van Sant.

mini-serie gus van sant per gucci protagonista

Per “The Guardian”, il guardaroba “sgargiante” di Silvia Calderoni nella miniserie di Gus Van Sant per Gucci è una chiara citazione di film cult del regista come “Belli e dannati”. Fonte: Instagram/@Gucci

C’è contaminazione, insomma, al centro di un festival che, per esplicita dichiarazione d’intenti, prova a essere uno «sciame di storie eccentriche e vitali. Storie capaci di squarci immaginativi e gesti onirici. Storie che mettono al centro l’umano». Lo si nota già dalla scelta di promuovere il GucciFest anche fuori dagli ambienti digitali, con un artwall a Milano in Largo La Foppa per esempio e con inviti, riservati soprattutto ai giornalisti di settore, che su un supporto fisico riportano un qr code da cui accedere al programma del festival e a contenuti di backstage.

Contaminazione, però, nel concreto vuol dire anche che vecchi amici della maison come il fotografo Paige Powell siano chiamati a scattare foto dietro le quinte o che personaggi come Florence Welch, Jeremy O. Harris, Paul B. Preciado o Billie Eilish appaiano con dei camei nella miniserie di Gus Van Sant per Gucci.

Come il CAMEO di Harry Styles nella miniserie di Gus Van Sant per Gucci l’ha trasformata in un fenomeno social

Curioso è, proprio a proposito, il caso di Harry Styles. L’ex One Direction compare, infatti, in qualche scena della serie di Van Sant per la presentazione della nuova collezione Gucci. Il cantante non ha mai fatto molto mistero dalle propria genderfluidness, tanto da essere diventato il primo cover boy dell’edizione americana di Vogue, grazie a una copertina (quella del numero di dicembre 2020) in cui indossa abiti e accessori tradizionalmente considerati femminili. Superare gli stereotipi di genere e pensare alla moda come ungendered sono tra gli obiettivi anche della nuova collezione di Gucci. Interessante è, però, come i fan di Harry Styles, già dalla messa in onda del primo episodio della Gucci “Ouverture”, sia siano scatenati in una caccia sui social alla comparsa del proprio beniamino, condividendo tweet su tweet, in una perfetta operazione di second screen .

gucci ouverture comparsa harry styles

C’è chi ha aspettato in trepidazione l’uscita di “Ouverture of Something that Never Ended” anche per il cameo di Harry Styles. Su Twitter, così, è partita subito una vera e propria caccia alla scena in questione. Fonte: Twitter

Se basta poco a trasformare un festival di moda d’essai in qualcosa di molto simile al finale, tanto atteso anche sui social, del talent show del momento, neanche la decisione di coinvolgere nella miniserie di Gus Van Sant per Gucci dei volti noti è nuova veramente: sono anni ormai che la maison ha scelto come testimonial per le proprie collezioni personaggi amati dal grande pubblico come Jared Leto, Francesco Bianconi o Achille Lauro.

Un festival digitale ma dall’anima analogica? Quello che di visto (e rivisto) c’è nel GucciFest

L’operazione Gucci “Ouverture” rischia di risultare insomma, per certi versi, forse meno disruptive di quanto intenda esserlo. Sebbene rinunci alla formula phygital – metà fisica e metà digitale – adottata in questi mesi da molti eventi di settore e per gran parte delle fashion week in rispetto delle misure di contenimento del contagio da coronavirus, non si può dire che non recuperi alcuni elementi tradizionali e da “mondo analogico”. Primi tra tutti, una sorta di pre-show e after-show mandati in onda (ancora sul sito del GucciFest, sui canali social aziendali e sui Weibo) a corredo degli episodi della miniserie di Gus Van Sant per Gucci. A loro il compito di lanciare stilisti e designer emergenti e le loro creazioni. Sono quindici, con alle spalle estrazioni e carriere diverse, ma tutti portatori di valori affini a quelli della maison, come la sostenibilità nell’industria della moda, l’esplorazione di un gusto e di un’estetica genderless o la necessità di investire in nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale per il fashion per esempio. Piuttosto tradizionale però è, persino, sfruttare un festival per provare a scrivere il proprio manifesto per un nuovo corso.

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