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Molestie sessuali contro le giornaliste italiane: per la FNSI è una questione «pervasiva»

Molestie sessuali contro le giornaliste italiane: i dati

Un'indagine della FNSI ha provato a fare luce su natura, autori, ricorrenza delle molestie sessuali contro le giornaliste italiane.

L’85% ne ha subito una qualche forma durante la carriera e per oltre il 42% del campione sono invece una realtà quotidiana: bastano due dati come questi per capire perché la Federazione Nazionale Stampa Italiana-FNSI abbia descritto come «pervasivo» il problema delle molestie sessuali contro le giornaliste italiane.

Quello di donne e media, del resto, non è mai stato un binomio pacifico e non solo nel nostro Paese.

Disuguaglianze salariali, difficoltà nel fare carriera, minore credibilità e visibilità – in un mestiere in cui creare il proprio brand personale è tutto – quando non addirittura mobbing  o, ed è il caso dell’indagine in questione, abusi e minacce a sfondo sessuale sono una realtà quotidiana per molte addette ai lavori. E a poco sembrano servire policy ad hoc all’interno delle redazioni, altre forme di autoregolamentazione o campagne di consapevolezza di più ampio respiro. Tanto più se si guarda a un altro dato: poco più del 2% delle molestie sessuali contro le giornaliste italiane vengono denunciate alle autorità competenti e, quasi sempre, la ragione ha a che vedere con la paura che, facendolo, si possa essere isolate all’interno del proprio ambiente di lavoro e perdere opportunità di carriera. La questione, insomma, forse non è solo pervasiva ma anche, e soprattutto, sottovalutata.

Molestie sessuali contro le giornaliste italiane: di che tipo sono?

Occorre però procedere con ordine. Di che tipo di molestie sessuali sono vittime le giornaliste e le altre lavoratrici italiane del mondo dei media? Secondo l’indagine condotta da Kairos Ricerche su iniziativa della FNSI, la forma più comune è quella di battute, spesso legate alla sfera privata o all’aspetto fisico, e sguardi lascivi: a esserne stato vittima almeno una volta durante tutta la carriera sarebbe oltre l’80% del campione. Seguono insulti e offese gratuite e legate semplicemente all’essere donna (tipologia di molestie che avrebbe colpito il 43,6% del campione) e un continuo veder sminuito, per la stessa ragione, il proprio lavoro (41,6%). In qualche caso si arriva anche a ricatti sessuali: il 19,3% del campione ha ammesso, nel questionario anonimo somministrato, di aver ricevuto richieste di prestazioni sessuali di vario tipo in cambio di un nuovo lavoro, percentuale a cui andrebbe sommato il 13,8% a cui la stessa richiesta è stata effettuata in vista di un proseguimento nella carriera. Senza contare una serie di atti a scopo persecutorio, dai continui inviti a uscire non desiderati (33,8%) alle avance ripetute (18,2%), dai commenti espliciti sui social network e i profili lavorativi (19,6%) al sexting indesiderato (11,9%) e alle telefonate oscene (9,2%), fino ad arrivare a veri e propri casi di inseguimento fuori dal luogo del lavoro (11,2%). Anche il revenge porn o la minaccia di pubblicare foto sessualmente esplicite è stata lamentata da una fetta, seppure minoritaria, di professioniste dei media.

In questo campionario delle molestie sessuali contro le giornaliste italiane rientrerebbero, però, persino le molestie fisiche: il 35%, infatti, ammette di essere stata abbracciata, baciata, toccata o sfiorata in qualche modo contro la propria volontà e con profondo disagio e, in qualche caso, ciò si è trasformato addirittura in un tentativo (per l’8% del campione) o in una violenza sessuale vera e propria (2,9%).

Il tempo e il luogo di queste molestie sessuali contro le giornaliste italiane, come già il tasso di denuncia, dovrebbero far riflettere. Nella maggior parte dei casi, per oltre l’89% del campione, queste sono avvenute infatti durante l’orario di lavoro e in redazione. Inoltre, il 35% delle intervistate avrebbe confessato la presenza di altri colleghi nel momento in cui è stata vittima di abusi e molestie e solo in poco più del 18% dei casi questa presenza si è trasformata in un tentativo di intervento a difesa della vittima, a sottolineare appunto «un clima diffuso di accettazione o scarsa consapevolezza della gravità delle molestie, siano anche solo battute che mettono a disagio chi ne è oggetto», come scrivono dalla FNSI. A questo si aggiunge il fatto che, se per qualche professionista dei media molestie e abusi rimangono episodi isolati, per più di una giornalista su cinque si è trattato di una condizione ripetuta nel tempo e che è durata anche più di un anno.

Perché le molestie sessuali sulle giornaliste italiane sono lo specchio di ambienti lavorativi poco salubri

Se si va a guardare all’autore delle molestie sessuali contro le giornaliste italiane si ha la conferma, se davvero ce ne fosse bisogno, che si tratta di forme di vero e proprio mobbing. Non solo: infatti, in oltre il 98% dei casi l’autore è un uomo. I numeri però confermano che c’è quasi sempre un rapporto di dipendenza o subalternità lavorativa tra lavoratrici dei media e autori delle molestie: questi sono, cioè, quasi sempre superiori diretti (nel 26,9% dei casi), colleghi più anziani o con più esperienza (16,7%), direttori o vicedirettori (14,8%) o superiori non diretti (11,3%). Ci sarebbe persino una sorta di reiterazione del comportamento molesto: oltre il 22% delle intervistate che ha subito una qualche forma di molestia a sfondo sessuale, infatti, si dice convinta di non essere la prima vittima e pronta a giurare che questo abbia avuto lo stesso comportamento anche con altre donne. In qualche caso è la stessa vittima a essere stata testimone, prima o dopo l’episodio che l’ha vista protagonista, di molestie a danno di altre colleghe (più in generale, infatti, alla domanda se sono state testimoni di episodi di abusi in redazione ha risposto affermativamente oltre il 44% delle intervistate).

Un quadro di questo tipo non può che riflettersi negativamente sull’ambiente di lavoro e – non è azzardato pensare neanche – sulla carriera e la qualità del lavoro delle singole professioniste. Come già si è anticipato, infatti, una percentuale irrisoria delle giornaliste italiane che hanno subito violenza sporge denuncia e le ragioni hanno a che vedere con la paura di essere mal giudicata o mal vista soprattutto nell’ambiente di lavoro (10,7%), con l’impressione che un’eventuale denuncia e il conseguente iter sarebbero solo una «perdita di tempo» (22,2%) o con una sottostima della gravità del fatto (42,8%). Se non denunciano a chi di competenza, però, delle molestie subite sul lavoro le giornaliste e le addette media italiane parlano almeno con colleghi (lo fa il 41% del campione), amici (21,9%), familiari (17,2), superiori (8,5%) o sindacati e associazioni di categoria (6%). La cattiva notizia, ancora? Dopo essersi confidate con qualcuno, queste professioniste continuano a lavorare come se niente fosse (succede nel 21,8% dei casi), qualche volta (per il 15,6% del campione) venendo addirittura penalizzate o subendo un abbassamento di ruolo.

Come a dire, insomma, che anche fenomeni come quello del #metoo hanno, spesso, più eco mediatica che un impatto concreto e che ancora molto lontana è la chiusura del gender gap  nel mondo del lavoro, per questioni culturali prima e più che salariali.

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