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Così la morte di Umberto Eco ci consegnò la figura dell’intellettuale “di massa”

Così la morte di Umberto Eco ci consegnò la figura dell’intellettuale “di massa”

La morte di Umberto Eco è stata l’occasione per riscoprire il contributo dell’intellettuale in diversi campi della cultura italiana.

La morte di Umberto Eco, il 19 febbraio 2016, con i funerali che si sono tenuti al Castello Sforzesco di Milano qualche giorno dopo, è tra quelle notizie destinate a segnare una svolta epocale. Amato e apprezzato da tutti nonostante le sue posizioni in qualche caso “estreme” soprattutto su i giovani, l’abuso della tecnologia, la massificazione della cultura, è stato infatti uno degli intellettuali più importanti per il nostro Paese, quello che tanti professionisti della comunicazione e dell’informazione non hanno potuto che sentire come maestro.

Un curriculum d’eccezione per il padre dei corsi di Comunicazione

Ricchissimo, infatti, è in questo senso il suo curriculum. Fra i primi e più forti sostenitori dei corsi di laurea in Scienze della Comunicazione, fu fondatore proprio di un Dipartimento di Comunicazione all’Università di San Marino. Almeno trent’anni prima, però, era entrato a far parte del mondo dei mass media attraverso un concorso della RAI per telecronisti e funzionari, esperienza che influì molto su  buona parte della sua produzione scritta. In seguito fu condirettore della casa editrice Bompiani, poi professore e protagonista a diverso titolo del mondo accademico (come direttore dell’Istituto di Comunicazione e spettacolo del DAMS e del corso di laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Bologna per esempio, ndr). Tantissimi altri sono i progetti e le iniziative che lo videro protagonista: dai fumetti all’enigmistica e passando per la teoria della narrativa, non c’era campo di quella sconfinata “ industria culturale ”, infatti, che non lo avesse visto dare il suo contributo, spesso traendo ispirazione e mettendo “alla portata di tutti” teorie e pensieri dei grandi della filosofia di tutti i tempi e di tutte le nazioni. Per questo non è difficile capire perché molti hanno definito le morte di Umberto Eco come una delle perdite più grandi per il capitale umano del nostro Paese.

Quel rapporto complicato (che poi complicato non era) con la Rete

C’è un lato inedito di Umberto Eco, però, che forse non tutti conoscono: più volte si era definito un “utente compulsivo” di Wikipedia e, in un’intervista a al quotidiano L’Espresso, aveva rivelato addirittura di partecipare spesso alla stesura delle voci, mostrando il proprio apprezzamento per il modello wiki per l’apprendimento e, più in generale, per tutto il mondo open source. Una curiosità questa che spiega bene perché non si può pensare alla sua come a una figura di “intellettuale contro” – contro la tecnologia, gli ambienti e le novità digitali – come pure rischiò di apparire in diverse occasioni, soprattutto durante la cerimonia di assegnazione della laurea ad honorem dell’Università di Torino. In quel frangente Umberto Eco sembrò scagliare un pesante anatema contro le “legioni di imbecilli sui social” e il diritto di parola che non dovrebbero avere concesso: le polemiche che ne seguirono furono tante e delle più accese, nella maggior parte dei casi derivanti da una cattiva interpretazione delle esternazioni del filosofo che stava semplicemente provando a mettere in guardia tutti – professionisti dell’informazione, media tradizionali, utenti più o meno giovani – dal potere dello “scemo del villaggio”.

Umberto Eco: gli imperdibili nella libreria di un massmediologo

Nonostante nasca come semiologo e sia ancora una delle figure chiave nel campo (con testi come il “Trattato di semiotica generale” che sono diventati nel tempo dei testi fondanti per la materia, ndr), e nonostante – come si accennava – un’intensa attività in campi dei più diversi, dalla didattica (con “Come si fa una tesi di laurea”) alla narrativa (dal cult “Il nome della rosa” al suo ultimo “Il cimitero di Praga”), fu nel campo della massmediologia che il suo apporto per l’Italia fu imparagonabile, tanto che la morte di Umberto Eco ha rappresentato una perdita incommensurabile anche in questo senso. Tutti i pro e i contro immaginati dei media “di massa”, furono raccolti, infatti, in testi come “Diario minimo” del 1963 o “Apocalittici e Integrati” del 1964, destinato a diventare quest’ultimo un testo fondante per la materia anche in virtù della scrupolosa oggettività da studioso con cui venne approcciata la questione.

Quando l’Eco giornalista metteva in guardia dalle bufale

Consistente fu anche la produzione da giornalista di Umberto Eco: dalle tantissime riviste specializzate con cui collaborò, ai pezzi su quotidiani come Il Corriere della Sera o La Stampa, passando per il rapporto che lo legò fin dall’inizio all’avventura di L’Espresso. Non sembra azzardato, perciò, cercare nelle sue stesse pubblicazioni una sorta di testamento dopo la morte di Umberto Eco. Se si considera un tema di scottante attualità come bufale, fake news , post-verità e fatti alternativi, per esempio, non si può restare colpiti dalla lungimiranza con cui in un articolo del 2011 aveva già provato a spiegare perché quello del Duemila fosse il secolo delle bufale.

Un antidoto e una possibilità in più, però, che l’informazione digitale offre nella lotta alla notizie false, non verificate, scorrette? «La smentita che appare sui giornali finisce in corpo minore nelle pagine interne, quando la notizia falsa aveva campeggiato in prima pagina; al contrario una bufala apparsa su Internet ha buone possibilità di essere contestata, con pari e talora maggiore evidenza», scrisse poco tempo dopo lo studioso. Facile capire, allora, perché anche frasi che sottolineavano la natura del web come quella di un «territorio anarchico dove si può dire di tutto senza poter essere smentiti» non possono che essergli state attribuite a torto: sarebbe stato del resto fin troppo superficiale, considerate le sue conoscenze in materia e la finezza del suo pensiero, sostenere che siano davvero le nuove tecnologie a diminuire la qualità complessiva dell’informazione.

La morte di Umberto Eco, insomma, ha insegnato una cosa: essere popolari significa anche, necessariamente, andare incontro a chi ti osanna e lo fa pubblicamente, tanto quanto a un risentimento altrettanto pubblico. È una parabola che non risparmia nessuno.

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