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Movimenti contro gli abusi su Twitter: da #metoo alle accuse di Amnesty

Abusi su Twitter: dai movimenti per contrastarli alle accuse di Amnesty

Come combattere gli abusi su Twitter? Il team del social interviene con iniziative, ma per Amnesty International non è ancora abbastanza.

Notizie e scandali su presunti abusi, soprattutto nel mondo dello spettacolo, si sono diffusi nel corso del 2017. Dopo la prima, le dichiarazioni sono dilagate a macchia d’olio coinvolgendo anche altri ambiti. Queste rivelazioni hanno avuto un grande impatto sui social che hanno causato una reazione a catena, facendo diffondere il fenomeno a velocità sorprendente. Sui social però si combatte da tempo la delicata vicenda dei comportamenti scorretti e offensivi, ma è su una piattaforma in particolare che riescono meglio a proliferare. Gli abusi su Twitter sono purtroppo all’ordine del giorno e non sembra essere nemmeno lontanamente un problema di facile e vicina risoluzione. Questo non ha impedito la nascita di movimenti in difesa dei diritti umani che rendono l’Internet il ring preferito per combattere la loro battaglia. Il caso Weinstein è stato indicativo in questo senso perché ha dato loro una ancor maggiore visibilità e ha funto da miccia anche e soprattutto su Twitter.

Abusi su Twitter: cosa ha scatenato il caso Weinstein

Da ottobre 2017 in poi, infatti, abbiamo assistito al più grande scandalo (per portata mediatica e persone coinvolte) che il mondo dello spettacolo abbia visto da molto tempo. Il produttore cinematografico statunitense, fondatore della Miramax e successivamente presidente della Weinstein Company, si è ritrovato nell’occhio del ciclone con le accuse di violenze sessuali, ormai datate, da parte di molti volti del panorama dell’intrattenimento e non. Una volta pubbliche, le testimonianze di vittime di abusi hanno fioccato per mesi causandogli il licenziamento dalla sua compagnia e un biglietto di uscita dall’Academy. La vicenda è impazzata su tutti i media e ha permesso a molte vittime di abusi di avere voce in capitolo e unirsi alla lotta collettiva.

In occasione dei Golden Globe 2018, e del suo equivalente Britannico, i BAFTA, molte star hanno sfilato in nero sul red carpet in segno di solidarietà con le vittime degli abusi. Volendo chiamare in causa anche l’Italia, a Sanremo 2018 durante la 68esima edizione del festival della musica italiana non poche parole sono state spese sulle discriminazioni di genere e le violenze verbali e non che da esse provengono. La tematica è stata portata sul palco dell’Ariston anche grazie all’allora conduttrice Michelle Hunziker che ha distribuito la spilla simbolo della causa costituita da un ranuncolo rosa. Per imprimere poi al messaggio maggior vigore ha lanciato l’ hashtag , creato ad hoc, #iosonoqui a testimonianza di una lotta corale contro la violenza sulle donne.

Si può dire in definitiva che questo 2018 sia iniziato all’insegna della difesa della donna e non solo. Due movimenti  in particolare hanno preso piede contro gli abusi su Twitter: #metoo che esplicitamente si erge contro violenze sessuali di ogni genere e tipo e #timesup, il quale conduce una lotta contro le discriminazioni di genere, religione e quant’altro sul posto di lavoro.

#metoo e #timesup contro gli abusi su Twitter

Essere nominato come personaggio più influente del 2017 dalla rivista Time può rendere l’idea della possente portata a livello globale del movimento di cui è simbolo l’hashtag #metoo. Tarana Burke e Christy Haubegger avevano cominciato a muoversi dando vita al movimento già da tempo, ma con il caso Weinstein, divampato a Hollywood, è riuscito ad attecchire sul social a livello globale. La madre del movimento, Tarana Burke, spiega che #metoo «si occupa specificatamente delle violenze sessuali» e il suo scopo è creare una comunità di «sopravvissuti» per combattere insieme il fenomeno.

Tutto ha avuto inizio su Twitter con le parole dell’attrice Alyssa Milano, la quale ha ha scritto sul suo profilo: «Se sei stato molestato o aggredito sessualmente scrivi ‘anche io’ come risposta a questo tweet». Più di 66mila utenti hanno risposto innescando una testimonianza corale e virale sotto l’hashtag #metoo.

«Se vuoi dissipare le molestie sessuali, prima devi risolvere la disuguaglianza, perché gli squilibri di potere sono alla radice del comportamento molesto», ha proseguito la Haubegger. Ecco perché è nato un secondo movimento, Timesup, da considerarsi simile ma non uguale al movimento #metoo. Trecento volti celebri femminili di Hollywood hanno dato via a un’altra lotta egualmente importante «fondata sulla premessa che ognuno, ogni essere umano, merita il diritto di guadagnarsi da vivere, di prendersi cura di sé, di prendersi cura delle proprie famiglie, libero dagli impedimenti di molestie e violenza sessuale e discriminazione». 

#QUELLAVOLTACHE, IL RACCONTO DEGLI ABUSI SU TWITTER IN ITALIA

Lo scandalo Weinstein ha fatto tremare Hollywood e le sue scosse sono arrivate fin nel nostro Paese mobilitando anche donne italiane che, utilizzando l’hashtag, hanno raccontato la loro esperienza. Tra queste anche Asia Argento che in un’intervista al New Yorker ha raccontato di un episodio di violenza avvenuto quando aveva solo 21 anni in un hotel francese e al seguito del quale, in una condizione di totale “sudditanza” psicologica, avrebbe avuto col magnate di Miramax una relazione consenziente. Dopo la confessione l’attrice italiana ha ricevuto messaggi d’odio e su abusi su Twitter indistintamente da uomini e donne: c’è chi ha messo in dubbio la credibilità del suo racconto, chi l’ha accusata di aver cavalcato l’onda del caso per giustificare una relazione di interessi, che aveva come fine ultimo la carriera. I commenti sessisti piovuti a discapito di Asia Argento sono una forma di quello che gli esperti indicano come victim blaiming, in italiano “colpevolizzazione della vittima”,  atteggiamenti atti a far sentire la vittima responsabile di quanto successo.

Nel tentativo di mostrare solidarietà all’attrice italiana, ma più ancora per sottolineare che «il patriarcato che non ti crede è lo stesso che cerca di colpevolizzarti per quello che ti infligge» (così è scritto nella presentazione della campagna, ndr), la blogger e scrittrice Giulia Blasi ha pensato insomma ad un hashtag con cui dare a tutte l’opportunità di raccontare sono state costrette da un uomo e da una società “maschiocentrica” a fare quello che non avrebbero voluto o, ancora, #quellavoltache hanno provato a testimoniare quanto successo ma senza mai essere credute.

Molestie sul luogo di lavoro, oscenità sussurrate sugli autobus, giochi “innocenti” tra bambini che si concludevano con palpeggiamenti non altrettanto innocenti: di questo si è nutrito, così, questo «progetto narrativo estemporaneo» (ancora nella presentazione, ndr) che fa riflettere sulla potenza degli ambienti digitali e sugli effetti dei social sulla psiche delle persone, benefici in questo caso in cui in gioco c’è la capacità di elaborare, condividendola, un’esperienza negativa come lo stupro, gli abusi sessuali, le molestie subite.

Tra i messaggi di #quellavoltache, in particolare, ci sono quelli di tante attrici che hanno fatto luce su come quello di Weinstein sia in realtà un modus operandi molto comune nel mondo dello spettacolo. Messaggi a cui hanno fatto eco quelli di numerose giornaliste italiane che hanno raccontato storie di uguali atteggiamenti sessisti, provenienti solo da un altro ambito professionale.

#quellavoltache de martini

Il tweet con cui l’attrice italiana Francesca De Martini ha deciso di partecipare alla campagna #quellavoltache.

#quellavoltache sgarzi

Anche la giornalista Barbara Sgarzi ha contribuito alla campagna #quellavoltache raccontando gli abusi sessisti nel mondo del giornalismo.

Il social network , di cui è il Ceo Jack Dosey, però non risulta essere solo un luogo dove guadagnare consensi per le giuste cause. Sembrerebbe infatti che molti utenti, in larga parte i personaggi più noti e di spicco, sono spesso e malvolentieri facili bersagli di hater che spaziano da volgari commenti sessisti alle minacce di morte.

Troppi abusi su Twitter: interviene Amnesty

Alla luce di questi accadimenti fa la sua mossa Amnesty International, associazione non governativa che si erge in difesa dei diritti umani, la quale accusa Twitter di non tutelare a dovere le donne. Infatti secondo l’organizzazione umanitaria, la piattaforma costituisce un vero e proprio pericolo per le donne lasciate in balia di accuse sessiste, razziste e violente per le quali molto spesso sono costrette a uscire dalle conversazioni pubbliche.

La direttrice di Amnesty International UK, Kate Allen, afferma che Twitter è diventato un «luogo tossico per le donne. […] I troll stanno attualmente vincendo, perché nonostante le ripetute promesse, Twitter non sta facendo abbastanza per fermarli. Twitter deve prendere misure concrete per affrontare e prevenire la violenza e gli abusi contro le donne sulla sua piattaforma, altrimenti la sua pretesa di essere dalla parte delle donne non ha senso». A quanto pare la natura stessa di Twitter, che lo consacra come il social network primo per diffusione di notizie, costituirebbe il suo punto di forza e di debolezza.

La possibilità di creare conversazioni pubbliche e rispondere in tempo reale a chiunque e in qualsiasi momento lascia molti varchi al diffondersi di troll, insulti e commenti discriminatori. La rete sociale è un filo diretto con il proprio pubblico, un megafono di cui politici, personaggi pubblici e dello spettacolo non possono far a meno. Più un utente, un hashtag o un topic diviene visibilmente popolare più aumenta la possibilità che si trasformi in una facile preda. Amnesty International ha incitato il team di Twitter a far di più e ad agire in coerenza con la loro politica e per di più a essere trasparente.

Ad avvalorare la tesi, Amnesty International ha condotto un’indagine intervistando 86 donne e individui non binari negli USA e nel Regno Unito, domandando loro delle esperienze avute sulla piattaforma. Sotto esame in particolar modo politici, giornaliste, blogger , attiviste e altri personaggi pubblici femminili. Non solo: sono trapelate 162 testimonianze, da sondaggi effettuati nell’arco del 2017, e di queste il 62,35% è stato vittima di abusi su Twitter. Anche molte donne che non vantano un grande numero di follower hanno subito violenze. Amnesty International si è servita (di) e ha anche pubblicato un sondaggio online a cura di Ipsos Mori, evidenziando le esperienze negative condivise dalle donne sui social media in otto paesi e l’impatto psicologico arrecato dalle molestie online. I dati allarmano quindi su un fenomeno che sta mietendo non poche vittime, in quello che dovrebbe essere un luogo di aggregazione, informazione e sana comunicazione. Tanto più che, se il confine tra la vita reale e quella “virtuale” risulta sempre più sfumato, l’eco mediatica guadagnata dalla questione donne e abusi a sfondo sessuale dentro e fuori la Rete sembra avere avuto impatto nel frattempo anche sugli ambienti di lavoro, soprattutto quelli segnati da una maggiore gender diversity.

Una rilevazione del 2018 del Pew Research Center, per esempio, ha provato a spiegare come il movimento #MeToo abbia cambiato il rapporto tra colleghi uomini e colleghe donne. La maggior parte degli americani, così, ha ammesso di trovarsi davanti a una sfida inedita: oltre il 51% del campione dice, per esempio, di non sapere più bene come comportarsi con le colleghe donne, mentre appena il 12% è convinto che una maggiore consapevolezza sul tema degli abusi e dei maltrattamenti sul luogo di lavoro potrebbe rendere più semplice la comunicazione tra colleghi di sesso diversi e, più in generale, migliorare l’ambiente di lavoro. C’è, come prevedibile, un importante gap generazionale: i lavoratori senior, infatti, sono più portati a credere che gli scandali mediatici e la conseguente attenzione su temi come le discriminazioni di genere dentro e fuori dagli ambienti lavorativi non facciano che peggiorare la gestione dei rapporti tra sessi nella routine di un’azienda – tra gli over 65 la percentuale di chi dice di aver provato maggiori difficoltà nel comunicare con le donne in aziende dopo il caso Weinstein e tutto quello che ne è seguito aumenta al 66%, mentre scende a poco più del 40% tra gli under 30. Lo studio in questione, oltre a tracciare un profilo socio-demografico delle lavoratrici che sono state vittime di qualche forma di abuso, prova a interrogarsi poi sull’impatto concreto che iniziative e campagne social di questo tipo possono avere sulle opportunità per le donne nel mondo del lavoro: solo tre americani su dieci sarebbero convinti che denunciare, anche solo sui social, gli abusi e le molestie subite si possa trasformare nel lungo periodo in condizioni migliori e più opportunità legate alla carriera.

abusi sessuali nel mondo del lavoro effetti

Certo, serve un impegno a più fronti. Twitter dal canto suo ha avviato un lungo percorso di ristrutturazione della propria piattaforma proprio per contrastare la piaga che infligge i suoi utenti. Il team del social network sta lavorando per migliorare i tool a disposizione al fine di arginare i contenuti offensivi e bloccare determinate parole o hashtag, sostenendo anche che «non può cancellare l’odio dalla società». Nell’arco di sedici mesi le modifiche apportate sono state più di trenta, Amnesty International chiede maggiore chiarezza: l’organizzazione difatti spera che dalla controparte vengano migliorati i meccanismi di segnalazione degli abusi e le relative risposte a essi; inoltre, si spera che venga fatta luce sulle modalità secondo cui si identificano e gestiscono le molestie e che sia avviata una campagna di sensibilizzazione per un uso più sicuro del social.

Excursus degli interventi contro gli abusi su Twitter

Il team di Twitter non è alle prime armi dinanzi a questa problematica. Infatti la crociata è iniziata anni addietro già col precedente CEO Dick Costolo e ciò che è stato detto il 18 dicembre 2017 (link ) non è stato né il primo né l’ultimo tentativo di di mettere un punto ad atti riprovevoli su Twitter. Già nel dicembre 2014, ad esempio, sul blog della piattaforma, venivano pubblicati miglioramenti apportati ai tool a disposizione degli utenti per poter bloccare i profili degli hater e mostrati gli sforzi a velocizzare l’identificazione e il controllo delle segnalazioni da parte delle parti offese.

Successivamente vi sono stati grandi cambiamenti per ciò che viene considerato oggetto di segnalazione. Invero, se prima si prendevano in esame solo le minacce dirette, iniziano ora a rientrare nel campo del comportamento scorretto anche la promozione della violenza a danno di altri. In aggiunta, è stato perfezionato un sistema automatico di controllo e identificazione, il quale considerava parametri quali la longevità dell’account segnalato, il linguaggio adoperato e il confronto con tweet cronologicamente passati. Reso pubblico sul sito anche l’iter da seguire durante la segnalazione di comportamenti offensivi in assistenza degli utenti che sperimentano tali esperienze.

Ancora una volta l’1 marzo 2017 Edward Ho, general manager consumer di Twitter, ha introdotto nuove politiche che impediscono l’incitamento a qualsiasi atto violento da parte di un account o affiliati verso una o più persone appartenenti a un gruppo protetto. Tra le possibili pene, a seconda del caso, vi sono l’eliminazione dei tweet dannosi o l’eliminazione permanente dell’account laddove il comportamento scorretto si reiteri nel tempo.

In definitiva si può dire che il team di Twitter sta investendo non poche risorse nel tentativo di risolvere il problema e dall’azienda dichiarano di aver ancora tanta strada da fare. I continui aggiornamenti sono visibili al pubblico sia sul sito sia sulla piattaforma, @Twittersafety.

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