Home / Marketing / Il neuromarketing può essere utile anche alle PMI?

Il neuromarketing può essere utile anche alle PMI?

Neuromarketing per le PMI: come e quanto può risultare utile?

Le tecniche di neuromarketing per le PMI? Ecco cosa dicono gli esperti, in Italia e nel mondo, su quanto possano essere utili

Secondo i dati rilasciati dalla Commissione europea, «nove imprese su dieci sono una PMI e le PMI creano 2 posti di lavoro su 3». Partendo dal presupposto, quindi, che queste aziende rappresentano la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano, è possibile notare quanto siano determinanti per la crescita economica e per la promozione dell’occupazione. Quanto, allora, le tecniche di neuromarketing per le PMI potrebbero essere utili per aumentare le vendite o per migliorare il rapporto con i clienti? Al contrario, potrebbe invece rappresentare un investimento troppo rischioso o semplicemente non accessibile?

Quando si parla di piccole e medie imprese si fa riferimento a «imprese con meno di 250 occupati, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro» (2003/361/CE, art. 2). 

Nel mondo aziendale, indipendentemente dal settore o dalla dimensione dell’azienda, è necessario valutare bene i rischi associati a qualsiasi investimento. Nel caso delle micro imprese spesso le risorse economiche sono particolarmente limitate, il che influisce inevitabilmente sulla tipologia e sulla forza degli investimenti. Quando si pensa all’applicazione delle tecniche neuroscientifiche alla disciplina del marketing spesso si pensa all’utilizzo di attrezzature costose ed indagini di migliaia di euro, come quelle necessarie per realizzare delle risonanze magnetiche funzionali, strumento che può effettivamente fornire dati molto accurati e, non a caso, utilizzato in alcune delle più grandi ricerche in quest’ambito. Cosa ne pensano gli esperti a riguardo? Qual è l’esperienza di chi lavora in questo settore?

OPINIONI CONTRASTANTI: ECCO COSA DICONO GLI ESPERTI

Sulla possibilità di utilizzo del  neuromarketing per le PMI si registrano visioni e opinioni differenti. Da alcuni anni diverse multinazionali hanno compreso l’utilità di tecniche di neuroimaging e di emotion recognition, per esempio, per ottimizzare il proprio business. In “Neuromarketing: Attività cerebrale e comportamento d’acquisto” Martin Lindstrom descrive quello che, al momento del lancio del libro nel 2008, sarebbe stato, secondo l’autore, «il più grande studio di neuromarketing mai condotto». La ricerca aveva l’obiettivo, tra le altre cose, di comprendere cosa spinge i consumatori all’acquisto. In particolare questo esperimento puntava a scoprire cosa spinge i fumatori ad acquistare tabacco, nonostante il grande investimento in pubblicità sociali per disincentivarne il consumo, con i relativi messaggi di avvertimento e le sconvolgenti immagini choc che figurano sulle confezioni.

Come afferma Martin Lindstrom la ricerca iniziata nel 2004, ha avuto una durata di circa tre anni ed è costata circa sette milioni di dollari. L’importante investimento è provenuto da otto aziende multinazionali ed ha coinvolto migliaia di persone in tutto il mondo, «oltre a 200 ricercatori, 10 professori e un comitato etico». Ovviamente questo tipo di ricerca è stata condotta tramite l’uso di fMRI e SST (Steady-State Topography), due tra i diversi strumenti che possono essere utilizzati in questo ambito. Nello specifico, sono state condotte 102 scansioni fMRI e 1900 studi SST.

Ricerche di questa portata sono ovviamente inaccessibili alle piccole e medie aziende. In un’intervista rilasciata alla nostra testata l’esperto di branding ha dichiarato che le ricerche di neuromarketing non sono alla portata delle piccole realtà aziendali per cui, secondo l’autore, difficilmente le PMI potrebbero trarre beneficio da questo tipo di approccio. L’esperienza dell’esperto danese in questo settore è dunque riconducibile a ricerche con costi accessibili soltanto a multinazionali, in grado di investire appunto milioni di euro ma anche tempo e risorse umane per le proprie ricerche di mercato.

La sua opinione sull’utilizzo del neuromarketing per le PMI rispecchia, infatti, la sua esperienza nel campo.

Crescono, però, i professionisti che hanno un’opinione ben diversa sull’utilità del neuromarketing per le PMI. In diversi paesi dell’Europa, in cui le piccole realtà aziendali rappresentano una fetta centrale dell’economia nazionale, non mancano voci che fanno luce sul contributo che queste tecniche possono dare anche ai piccoli imprenditori. Potremmo partire dall’Italia dove in occasione del Seminario “Neuromarketing in pratica” diversi professionisti hanno condiviso la propria esperienza di lavoro con piccole realtà aziendali italiane e anche la Presidente dell’Associazione Italiana di Neuromarketing, Caterina Garofalo, ha sottolineato il contributo che questo nuovo approccio al consumatore può dare alle piccole e alle micro aziende italiane.

Luca Florentino, founder e CEO di Ottosunove, ha ricordato che «molto spesso le PMI non hanno la possibilità di approcciare i grandi istituti di ricerca di mercato. Il neuromarketing dà loro la possibilità di testare in maniera molto più semplice gli strumenti che hanno già a disposizione, ad esempio il sito web». Inoltre, l’esperto ha aggiunto che questo approccio «rimette al centro la capacità di intuizione che l’imprenditore ha e che molto spesso non viene valorizzata dai grandi istituti di ricerca».

Anche Vincenzo Russo, professore associato di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing presso l’Università IULM di Milano, nel corso del suo intervento al seminario ha analizzato diversi casi di studio di applicazione del neuromarketing sia a multinazionali che a piccole e medie imprese, in particolare a quelle appartenenti al settore del food&wine.

Andrea Saletti, CRO e neuromarketing specialist, ha parlato invece della propria esperienza con PMI che cercano di approcciarsi al neuromarketing per aumentare le vendite dei propri ecommerce  effettuando degli studi «prima che il sito venga messo online» attraverso tecniche molto utili per il web, come dispositivi di EEG portatili sincronizzati con l’eye tracking.

In Spagna, invece, Alexia de la Morena, neuropsicologa e autrice di un libro sul neuromarketing, ha fatto riferimento, in un’intervista alla nostra testata in merito al neuromarketing per le PMI, a uno studio condotto nel suo paese insieme a Casa Albor – Wines & Spirits, azienda che si occupa del commercio di vini e bibite di lusso e proprietaria del marchio INDI Essences. Per questa azienda a conduzione familiare è stata effettuata una ricerca sull’influenza della narrazione e della stimolazione sensoriale attraverso elementi di botanica sul comportamento dei clienti.

José Ruiz Pardo ha pubblicato“NeuroPymes” (tradotto in italiano “NeuroPMI: Impara a vendere e a fidelizzare utilizzando il neuromarketing”), un libro incentrato proprio su questo argomento. Il fondatore e direttore di Goli Neuromarketing, azienda pioniere in Spagna per l’utilizzo del neuromarketing per le PMI, ha fatto riferimento, in un’intervista alla nostra testata, al caso di una «piccola pasticceria con un unico cameriere» che, trovandosi in una situazione economica difficile, ha contattato l’azienda: «abbiamo fatto un’analisi di ciò che succedeva all’interno della pasticceria, della risposta dei clienti ad ogni cosa. Partendo da questa base, abbiamo potuto migliorare ciò che di positivo già c’era e abbiamo eliminato ciò che non piaceva ai clienti. Oggi, quattro anni dopo, hanno tre pasticcerie e l’anno scorso hanno iniziato l’attività di franchising», ha spiegato l’esperto.

Un’interessante prospettiva da tenere in considerazione riguarda la possibilità di sfruttare le scoperte, le ricerche e i concetti provenienti dalle neuroscienze e dalla psicologia dei consumi per avere una migliore comprensione del comportamento del consumatore – senza dover applicare necessariamente metodi o strumenti neuroscientifici –, cosa che, di conseguenza, dovrebbe influire sulle strategie aziendali e sul rapporto con i clienti. Quest’idea è stata supportata da Hike Plassmann e collaboratori che, nonostante alcune critiche rivolte ad alcuni studi di neuromarketing (in un paper pubblicato nel 2012 nel Journal of Consumer Psychology), hanno proposto un interessante punto di vista proprio sulla possibilità di sfruttare le scoperte relative, per esempio, a determinati fattori biologici, fisiologici o di natura cognitiva che caratterizzano gli individui in generale e che possono essere utili ai brand , indipendentemente dalla categoria merceologica o dal mercato specifico.

Per illustrare questi insight che potrebbero interessare a diversi tipi di brand gli autori hanno proposto nel loro paper alcune interessanti ricerche, tra cui quella di Wadhwa e collaboratori. Questi ultimi si sono soffermati sugli effetti dell’offerta di campioni di prodotto, all’interno dei punti vendita, sul comportamento di consumo. Con l’esperimento si intendeva comprendere se la distribuzione di campioni di prodotto può condurre ad un aumento di acquisto e, in caso di esito affermativo, l’intenzione era comprendere se gli effetti si limitavano al prodotto assaggiato, se si estendevano alla relativa categoria di prodotto oppure se invece a qualsiasi stimolo percepito come piacevole. Una serie di esperimenti ha permesso di raccogliere dei dati a supporto dell’ipotesi secondo cui il «sistema motivazionale nel nostro cervello entra in funzione quando assaggiamo dei prodotti, il che porta, di conseguenza, ad un comportamento di ricerca della ricompensa (reward-seeking behaviour) nei confronti di qualsiasi tipo di ricompensa». Nell’articolo Plassmann e collaboratori spiegano che l’integrazione della “psicologia del consumatore” alle scoperte neuroscientifiche può essere fondamentale per ottenere «una comprensione interdisciplinare di come i consumatori prendono decisioni» e che questa «può aiutare a comprendere come si formano le preferenze e come si prendono decisioni».

In quest’ottica è utile far notare che il neuromarketing prende spunto delle conoscenze provenienti dalle scienze comportamentali e dalla psicologia cognitiva (oltre che dalle scoperte neuroscientifiche). L’intreccio di queste conoscenze consente di avere una visione più completa del consumatore, senza ricorrere necessariamente a dispendiose attrezzature e fornendo comunque una base su cui orientare le proprie strategie di marketing.

Anche Roger Dooley, uno dei maggiori esperti in questo ambito, presenta una visione del neuromarketing che va oltre l’utilizzo di EEG o fMRI. Per l’esperto il neuromarketing riguarda «l’utilizzo delle conoscenze che abbiamo sul funzionamento cervello per migliorare le strategie di marketing», come spiegato in un’intervista a Coschedule. Roger Dooley ha sottolineato che una visione di questa disciplina che considera soltanto l’utilizzo degli strumenti sopracitati e l’osservazione della risposta del cervello agli stimoli di marketing è molto riduttiva; inoltre, la maggior parte di queste tecniche non è alla portata dei piccoli imprenditori.

Per tali ragioni, all’interno del suo libro “Brainfluence” Roger Dooley propone delle strategie, basate sull’oggettività scientifica, «che possono però essere tradotte in azioni concrete» da parte di aziende di piccole e di grandi dimensioni. Il riferimento è a spunti, consigli e insight con applicazioni molto diverse che vanno dal pricing alla creazione di contenuti più accattivanti, sfruttando le conoscenze relative al funzionamento del cervello, come sottolineato in un’intervista ai nostri microfoni.

STRUMENTI E TECNOLOGIE del neuromarketing per le PMI

Negli ultimi anni la tecnologia e gli strumenti utilizzati per misurare le risposte inconsapevoli dei consumatori agli stimoli di marketing sono diventati più sofisticati e anche più economici. Dal 2010 sono disponibili, per esempio, tecnologie di eye-tracking online ma non solo. Diverse aziende hanno sviluppato dei tool in rete che consentono di monitorare non solo il movimento dello sguardo ma anche le microespressioni facciali utilizzando semplicemente le normali webcam dei computer. In genere queste tecnologie hanno una risoluzione e un livello di precisione inferiori rispetto al tipo di hardware e software utilizzato “in laboratorio”; tuttavia, come spiegano Stephen Genco,‎ Andrew Pohlmann e‎ Peter Steidl nel libro “Neuromarketing for Dummies”, rappresentano «un settore crescente nel campo del neuromarketing» e forniscono dati sempre più accurati, man mano che le relative tecnologie si evolvono e la connessione a Internet diventa ancora più veloce.

Tante aziende in tutto il mondo sono impegnate nell’ottimizzazione del rapporto qualità- prezzo di queste tecnologie. A questo proposito – a titolo meramente esemplificativo e consapevoli che tante aziende offrano servizi simili – riportiamo il caso della piattaforma nordamericana Cooltool (con cui abbiamo realizzato un’intervista), specializzata in Automated Neuromarketing Research. Kate Khozroshyna, head of marketing and communications, ha spiegato, in particolare, che «l’obiettivo di Cooltool è quello di rendere gli strumenti di neuromarketing semplici e sempre più accessibili alle piccole e medie imprese», aggiungendo che l’idea che l’utilizzo del neuromarketing per le PMI sia costoso non è altro che uno stereotipo.

Va ricordato che, nonostante ci siano sempre più aziende che mettono a disposizione strumenti, ma anche guide sull’utilizzo di tecnologie che potrebbero sembrare “facilmente utilizzabili da chiunque”, (come software di eye-tracking o lettura di microespressioni facciali online), un adeguato servizio di consulenza da parte di professionisti, con esperienza nel settore, non deve assolutamente essere trascurato.

In effetti, la raccolta di dati sui propri clienti diventa del tutto inutile se non accompagnata da un progetto di ricerca, con compiti ben definiti, in modo da tener ben chiaro a quale domande abbiamo bisogno di rispondere e quali strumenti utilizzare. Per semplificare, si pensi all’utilizzo di un dispositivo online di eye tracking : se viene chiesto ad un partecipante di guardare la homepage di un sito per alcuni secondi, senza fornirgli un compito preciso (per esempio “entra sul sito X ed effettua acquisto tra i prodotti a disposizione”), i dati rilevati tenderanno ad essere virtualmente irrilevanti.

Ovviamente, nella fase di analisi e interpretazione dei dati e specialmente in quella di miglioramento del logo /annuncio/sito/punto vendita sulla base delle informazioni raccolte l’aiuto di un esperto risulta determinante per ottenere dei risultati ottimali. Un’altra tecnica molto utile e che non implica l’acquisto di tecnologie costose è quella di l’implicit association test o test di associazione implicita che consente di analizzare concetti, pregiudizi o idee che i consumatori collegano ad un determinato brand. Questa tecnica può mettere in evidenza dei particolari atteggiamenti che i consumatori hanno nei confronti di alcuni brand, e che spesso scelgono di non rivelare nelle interviste dirette, associati per esempio a comportamenti impulsivi: si pensi a tal proposito a un marchio di fast-food o di un prodotto a elevato contenuto calorico e alla volontà da parte dell’intervistato di nascondere una preferenza per un tipo di cibo, meno salutare.

NEUROMARKETING COME FORMA DI RISPARMIO?

«Le PMI hanno un budget limitato per la pubblicità e quindi hanno maggior interesse ad avere una pubblicità ottimizzata che possa arrivare a segno in pochi passaggi» ha dichiarato Fabio Babiloni, professore di Fisiologia presso La Sapienza, in un’intervista a margine dell’evento Certamente 2017. Come spiega lo chief scientific officer di BrainSigns, il neuromarketing può aiutare a rendere i messaggi pubblicitari più efficaci per cui «paradossalmente, rappresenta una forma di risparmio per le PMI».

Fernando Rodrigues, CEO e fondatore di ICN Agency, un’agenzia di neuromarketing presente in diversi paesi come Portogallo, Brasile, Messico e Argentina, ha spiegato, sempre in un’intervista alla nostra testata, che investire in una ricerca di neuromarketing per PMI non è un rischio anzi, «è molto più grande il rischio di non saper cosa pensa il consumatore». Come ha dichiarato l’esperto, l’ICN Agency propone ai suoi clienti studi che si adattano alle esigenze specifiche e al budget a disposizione, quindi il costo sarà proporzionato alla dimensione dell’azienda.

Diversi autori sfatano in questo modo quello che considerano essere un mito e cioè il neuromarketing come attività troppo costosa. Vincenzo Russo, in un’intervista a Certamente 2017, ha affermato che «in realtà non è proprio così. Anzi i costi sono perfettamente comparabili a quelli di un focus group, a parità di numero di partecipanti, quindi un costo assolutamente abbordabile per le aziende ma che permette di avere grandi ritorni anche a breve termine». L’investimento necessario per portare avanti uno studio di neuromarketing potrebbe consentire agli imprenditori di risparmiare delle risorse che avrebbero speso in un prodotto fallimentare che non avrebbe ottenuto riscontro da parte dei consumatori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA È vietata la ripubblicazione integrale dei contenuti

Resta aggiornato!

Iscriviti gratuitamente per essere informato su notizie e offerte esclusive su corsi, eventi, libri e strumenti di marketing.

loading
MOSTRA ALTRI