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Neuromarketing: studi, teorie e tecniche

Neuromarketing tecniche studi e teorie

Neuromarketing: una raccolta degli studiosi più influenti, delle ricerche e delle tecniche più utilizzate in questo settore.

Gli studi condotti da Paul Broca e Paul D. MacLean sono stati decisivi per la comprensione delle aree del cervello associate alle emozioni, intrinsecamente correlate al sistema limbico, un gruppo di strutture presenti nel nostro cervello. Nel corso degli anni diversi autori hanno elaborato teorie cercando di spiegare le funzioni associate alle diverse aree del cervello. Tuttavia, bisogna tener conto del fatto che non esiste tra gli studiosi unanimità riguardo alle teorie e agli schemi usati per questo scopo. Questo si deve in parte al fatto che molti autori criticano l’eccessiva semplificazione con cui spesso si cerca di illustrare la complessità del cervello umano.

Studiare il cervello per comprendere il consumatore

Un noto modello, con frequenza menzionato dagli esperti di neuromarketing, è quello del cervello trino (triune brain). La teoria, originariamente formulata negli anni ‘60, è stata proposta da Paul D. MacLean e si fonda sul presupposto che il nostro cervello sarebbe costituito dalla sovrapposizione di tre strutture semi-indipendenti, in competizione tra loro: il cervello rettiliano, il cervello limbico o mammaliano e il neocervello.

Il primo, anche chiamato R-complex o vecchio cervello, sarebbe associato all’aggressività, alla dominanza, all’istinto territoriale e ai comportamenti rituali. Secondo MacLean, questa struttura sarebbe responsabile degli impulsi istintivi associati alle funzioni vitali e di sopravvivenza.

Il cervello limbico o cervello mammifero emotomentale, invece, sarebbe costituito da complesse strutture neurali quali amigdala, ipotalamo e corteccia cingolata e sarebbe fortemente collegato alla gestione delle emozioni e degli affetti. Il nome deriva dal fatto che queste strutture si sarebbero sviluppate nei primi mammiferi per poter gestire lo sviluppo di legami familiari e la crescita dei figli.

Infine, il neocervello o nuovo cervello sarebbe associato alle cosiddette funzioni cognitive di ordine superiore quali il linguaggio, il ragionamento astratto, l’uso di strumenti e l’autoconsapevolezza.

Alcuni studiosi di neuromarketing sottolineano l’importanza di puntare nelle comunicazioni pubblicitarie al cervello rettile che avrebbe, infatti, l’ultima parola nel processo di presa di decisione. Secondo tale ideologia, molto spesso i consumatori si ritroverebbero a compiere delle scelte guidati da fattori istintivi, associati alla ricerca della sopravvivenza e del benessere e, dunque, meno razionali.

Tuttavia, diversi esperti segnalano il rischio di creare modelli troppo semplicisti e che, dunque, non corrispondono alla realtà. In particolare, tale prospettiva è stata criticata perché, come spiega Jack Panksepp, psicologo, neuroscienziato e psicobiologo statunitense, la concezione tripartita del cervello permette di avere un’idea sulle funzioni generali delle aree in questione, ma «dobbiamo tener in mente che il cervello è un organo altamente interconnesso le cui diverse parti costituenti trovano un percorso di accesso alle altre».

In breve è possibile affermare che il cervello umano non può essere visto come una serie di moduli separati e indipendenti, ma il suo funzionamento deve invece essere analizzato nel suo complesso. Nonostante ciò, «anche se molti esperti hanno criticato l’accuratezza di questa immagine del cervello trino, la concettualizzazione in causa fornisce un quadro generico dell’organizzazione del cervello dei mammiferi […]» (Panksepp, “Neural and Mental Hierarchies“, 1998).

Per questo motivo, il modello è stato ripreso da diversi autori ed esperti di marketing per mettere enfasi sull’importanza di puntare alla dimensione inconsapevole e istintiva del consumatore nella creazione dei messaggi pubblicitari. A tal proposito vanno menzionati autori come Roger Dooley, Patrick Renvoise e Seth Godin.

Fabio Babiloni, docente di Fisiologia dell’Università La Sapienza Roma, nel corso suo intervento a Certamente 2016, ha proposto una riflessione sulla limitata quantità di informazioni che il cervello umano può immagazzinare e su come questo dovrebbe condizionare la costruzione dei
messaggi pubblicitari. La corteccia cerebrale – struttura sviluppata in una fase molto recente dell’evoluzione umana – è molto importante, perché associata alla nostra capacità di formare dei giudizi e fare previsioni su eventi o situazioni future. Esistono, però, tanti altri sistemi che all’interno del processo evolutivo si sono sviluppati precedentemente a livello filogenetico e che controllano le azioni e i processi automatici e istintivi. Si tratta di corpi cellulari come l’amigdala e l’ippocampo, utili nella selezione delle informazioni e responsabili delle decisioni e delle risposte improvvise e automatiche. Fabio Babiloni ha spiegato che «queste strutture accedono al nostro comportamento, riuscendo a condizionare o a generare delle scelte». Queste scelte o risposte automatiche, al contrario di quelle generate dalla corteccia cerebrale, avvengono a livello inconscio, dunque non consapevole.

Nella corteccia cerebrale sono presenti cento miliardi di neuroni, quantità che potrebbe essere equiparata a 10 gigabyte di memoria. Con un hardware chiaramente limitato come il nostro, si comprende la necessità di selezione e di filtraggio dell’informazione, in base alla rilevanza della stessa. Per questo motivo nessuna immagine, nessun libro e nessuna esperienza possono essere memorizzati nel loro complesso. Questo vale anche per spot, campagne e comunicazioni pubblicitarie in generale. Babiloni, infatti, ha messo in risalto la limitata capacità dell’hardware umano per allertare marketer ed esperti di comunicazione circa la necessità di utilizzare «strutture preconfezionate d’informazione», cioè architetture in cui inserire informazioni già selezionate, facili da memorizzare, come ad esempio lo storytelling. La capacità di selezionare l’informazione – e cioè l’attenzione selettiva – rappresenta un vantaggio evolutivo, uno sviluppo che ha permesso ai nostri progenitori di sopravvivere. Per questo motivo qualsiasi comunicazione che non tenga in considerazione le peculiarità e le limitazioni del cervello umano difficilmente potrà essere efficace.

António Damásio, neurologo, psicologo e saggista portoghese, invece, ha dato un importante contributo alla conoscenza che abbiamo delle emozioni e del loro ruolo nel processo di decision making. Queste ricerche permettono ai marketer di avere una più chiara comprensione delle dinamiche associate al processo d’acquisto e a tutti i fattori più o meno inconsci che possono condizionare la scelta del consumatore.

Uno dei più grandi esperti nel settore del neuromarketing, comunque, è Martin Lindstrom, autore danese che presenta questa disciplina come la chiave per comprendere ciò che definisce come buyology o acquistologia cioè, «i pensieri subconsci, le emozioni e i desideri che guidano le decisioni di acquisto che prendiamo ogni giorno della nostra vita». È opportuno menzionare l’insolito e interessante approccio che propone per comprendere il consumatore: in un’era dominata dai big data, egli invita a partire invece dagli small data, cioè dai piccoli indizi che si possono osservare nel quotidiano degli individui e che, secondo l’autore, possono portare le aziende alla scoperta dei grandi trend. 

Neuromarketing: Tecniche e metodi utilizzati

Il neuromarketing si serve di strumenti e metodi neuroscientifici per ottenere insight sul consumatore e sul processo di presa di decisione.

È una tecnica che permette di analizzare il punto di fissazione oculare e di registrare la dilatazione e la contrazione delle pupille. Questa funzione può essere molto utile poiché è stata riscontrata una correlazione tra la dilatazione della pupilla e l’interesse o l’attenzione dell’individuo nei confronti di uno stimolo e tra la contrazione della pupilla e l’avversione o il disgusto verso un determinato stimolo.

Considerati questi dati, è possibile identificare i punti di forza e di debolezza di una campagna pubblicitaria. Questa tecnica permette anche di cogliere eventuali difficoltà di comprensione che il consumatore può riscontrare durante la lettura o la visualizzazione di un annuncio, basandosi sul tempo di fissazione oculare.

  • Elettroencefalografia

Si tratta di una tecnica che consente di misurare e registrare l’attività elettrica cerebrale usando sensori o elettrodi posizionati sulla testa e collegati ad un computer. In particolare consente di rilevare quali aree dell’organo vengono attivate in corrispondenza della presentazione di determinati stimoli come annunci, logo o prodotti, considerando che la maggior attività elettrica del cervello in una determinata area può essere associata a determinati processi cognitivi quali memoria e presa di decisione oppure determinati stati mentali come fatica, stress o stanchezza. Il vantaggio è che permette un monitoraggio in tempo reale (risoluzione temporale dell’ordine del millisecondo), della risposta dei soggetti agli stimoli.

  • fMRI o risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging)

È sicuramente una delle più innovative e più utilizzate tecniche di brain imaging in questo settore. La risonanza magnetica funzionale permette di misurare il flusso sanguigno cerebrale. Questo dato può essere di grande utilità poiché l’aumento del flusso sanguigno verso una determinata regione del cervello indica una maggiore attività in quella specifica area. Partendo dal presupposto che determinate regioni sono maggiormente collegate a determinati processi come la memoria o l’apprendimento, è possibile analizzare la risposta in corrispondenza di determinati stimoli con una risoluzione temporale dell’ordine dei secondi.

  • Misurazione della risposta galvanica della pelle (GSR) o attività elettrodermica

Questa tecnica misura le variazioni nelle proprietà elettriche della pelle, in seguito alla variazione della sudorazione. Alcuni studi hanno evidenziato la relazione tra il segnale GSR e alcuni stati mentali, come stress, stanchezza e coinvolgimento, per questo motivo questa tecnica può essere di grande interesse per i marketer.

  • Biometriche che misurano il battito cardiaco

La misurazione delle alterazioni della frequenza cardiaca consente di analizzare le emozioni provate dagli individui poiché è stata riscontrata una corrispondenza tra le variazioni della frequenza cardiaca e le risposte emotive dei soggetti.

  • Facial coding o codifica delle espressioni facciali

La lettura e l’interpretazione delle espressioni facciali permette di trarre delle conclusioni sulle emozioni provate in presenza di certi stimoli.

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