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Shoelace, il nuovo social network di Google, dimostra che il futuro appartiene ai private social

Il nuovo social network di Google, Shoelace, funziona su inviti ed è uno dei tanti indizi che il futuro è dei private social.

La notizia è che, ad appena pochi mesi dalla chiusura di Google +,  da Mountain View ci riprovano con il social networking, questa volta pensando a un social verticale, poco generalista, che qualcuno ha già definito privato. Shoelace, il nuovo social network di Google, come i lacci delle scarpe promette infatti di «tenere insieme le persone sulla base dei loro interessi», scrivono gli sviluppatori (Shoelace, a rigore, è un prodotto di Area 120, l’incubatore in-house di Google).

Come funziona Shoelace, su inviti e tematico

A rimarcare l’idea ci pensa il payoff con cui la versione beta del nuovo social network di Google è stata già lanciata sui principali play store: «supercharge your social life». Shoelace, insomma, fa questo: raccoglie interessi e hobby degli iscritti e crea, giorno per giorno, una mappa di persone con passioni e gusti simili, che frequentino gli stessi luoghi e, ancora, un calendario di eventi in linea con i gusti del singolo iscritto, in modo da assisterlo al meglio nella gestione della propria vita sociale.

nuovo social network di Google shoelace

Google Shoelace funziona aggregando gusti, interessi e passioni degli iscritti e mostrandoli su una mappa, a partire da un criterio di vicinanza geografica.

Disponibile al momento solo a New York, il nuovo esperimento social di Big G è accessibile soprattutto solo su inviti. Non è niente di veramente nuovo nel mondo del social networking, anzi già qualche tempo fa piattaforme come Ello avevano sperimentato una sorta di selezione all’ingresso, lasciando che fossero gli iscritti a poter invitare un numero limitato di altri utenti. Agli occhi di molti, unita alle altre funzionalità, una caratteristica come questa sarebbe un chiaro indizio che se un futuro c’è per il social networking è nel private social.

Così il private social rimette le persone al centro

A ben guardare, in altre parole, ci sarebbe un unico filo rosso che lega il successo dei micro-influencer, quello delle app di instant messaging, il dietro front di Facebook verso un algoritmo che premia le interazioni tra utenti (umani), il fatto che grandi marchi come Unicredit o Lush stiano abbandonando i social e via di questo passo.

Proviamo ad andare con ordine. Indagini come quella di Hootsuite e We Are Social sull’Italia digitale del 2019 mostrano chiaramente come siano cambiate nel tempo le preferenze accordate dagli internauti alle varie piattaforme: un po’ inaspettatamente, il secondo posto di piattaforma «più attiva» è di un servizio di messaggistica istantanea come WhatsApp, preceduto solo da YouTube. Anche se riferiti esclusivamente agli utenti anglofoni altri dati, elaborati ancora da We Are Social in collaborazione con il GlobalWebIndex, confermano che i servizi di messaggistica privata sono il canale preferito per condividere informazioni di varia natura.

private social e successo delle app di messaggistica istantanea

Gli utenti preferiscono app di messaggistica come WhatsApp, Messenger o Telegram a SMS, email e persino passaparola quando si tratta di condividere informazioni di diversa natura. Fonte: We Are Social/GlobalWebIndex

Se a questo si aggiunge che ogni down di un servizio come WhatsApp o Messenger si trasforma in milioni di nuovi iscritti in più su piattaforme alternative come Telegram, non è difficile capire che una delle ragioni per cui si continua a utilizzare i social è perché questi abilitano o rendono logisticamente più semplici i rapporti interpersonali. Tradotto significa che gli utenti social sono interessati alle persone ed è proprio la centralità delle persone (umane) a dover essere recuperata.

È questo il cuore del private social e, se le funzionalità del nuovo social network di Google lo colgono appieno, anche novità e aggiornamenti delle altre più tradizionali piattaforme sembrano muoversi in questa direzione.

Gruppi, eventi, interazioni native: così Facebook rende (di nuovo) personale l’esperienza social

Più volte, anche durante l’ultimo Facebook F8 2019, da casa Zuckerberg hanno sottolineato, per esempio, la necessità di rimettere gli utenti al centro dell’esperienza su Facebook. Da qui un algoritmo che torna a premiare organicamente le interazioni tra utenti, un ruolo più centrale e aggregatore riservato agli eventi su Facebook o, ancora, la spinta data ai gruppi anche tramite la possibilità, in capo ai gestori, di rivolgere domande mirate a chi chiede di iscriversi e utilizzarle come meccanismo selettivo per mantenere il pubblico quanto più in target possibile con l’argomento di discussione: è esperienza comune a chiunque si sia ritrovato a gestire un gruppo Facebook, del resto, la facilità con cui si riesce a creare engagement se tutti gli iscritti sono interessati, per esempio, alla seo o al marketing digitale. È nella naturale fenomenologia dei social network, del resto, la concentrazione degli innumerevoli iscritti in bolle filtrate per interessi, per argomenti o sulla base di thread di discussione.

private social come si formano i gruppi sui social network

Uno schema che riassume come si formano, su Facebook e sugli altri social network, i diversi “gruppi” di utenti. Fonte: We Are Social

Il futuro dei social è privato, insomma, nella misura in cui quello che l’utente medio cerca sulle piattaforme di social networking non è più – ammesso che lo sia mai stato – arrivare al più alto numero di persone possibile ma la naturale continuazione della sua vita reale, naturalmente fatta di un numero limitato di interazioni privilegiate.

Non deve sorprendere, proprio in quest’ottica, che i più giovani preferiscano a canali generalisti come Facebook piattaforme più verticali come Tik Tok o che anche l’uso di Instagram sia profondamente cambiato nel tempo.

Come Instagram è diventato un social network privato (o quasi)

In direzione di una sempre maggiore centralità delle Storie rispetto ai post permanenti.

Evidenze diverse, del resto, hanno registrato nel tempo il successo numerico delle Instagram Stories: per restare solo alle statistiche ufficiali, ogni giorno 500 milioni di utenti ne farebbero almeno una.

private social successo delle storie

Quante storie vengono fatte ogni giorno sulle diverse piattaforme? Fonte: TechCrunch

Con ogni probabilità, specialmente se si guarda alla fascia più giovane di iscritti, non è solo l’estetica fresca e giocosa, la disponibilità di sticker, lenti e filtri sempre aggiornati a convincere, quanto il fatto che si possa selezionare di volta in volta l’audience per le proprie Storie, escludendo alcuni utenti o rendendole disponibili solo per determinate liste e via di questo passo. Una delle ultime novità di Instagram, tra l’altro, sembra confermare che anche il social visivo di casa Facebook, un tempo il regno di chi era alla ricerca spasmodica di visibilità, si sta muovendo in direzione di un social networking privato: uno speciale adesivo Chat sulle storie di Instagram permette, infatti, a chi le visualizza di entrare a far parte di una vera e propria conversazione di gruppo, ma privata e in DM, sull’argomento in questione.

La possibilità di usare contemporaneamente hashtag tematici sembra suggerire, però, che privato, quando si tratta di social networking almeno, ha più a che vedere con le dimensioni (ridotte) dell’audience a cui si intende rivolgersi che con la natura delle relazioni tra gli utenti: quando si usa lo sticker Chat, cioè, quello che si vuole fare è semplicemente cominciare una conversazione tra utenti interessati allo stesso tema, quello contrassegnato dal tag specifico, indipendentemente dal fatto che si conoscano dal vivo quegli stessi utenti, si sia già interagito anche solo virtualmente con loro in altre occasioni, ecc.

L’esistenza dei cosiddetti Party Account spiega meglio quello di cui si sta parlando. “The Atlantic” è stato tra i primi a scoprire l’esistenza di account Instagram dedicati a feste e occasioni private, che spesso contengono già nel @nomeutente informazioni logistiche su luogo e orario del party e i cui contenuti, rivolti a una cerchia ristretta di utenti dal momento che si tratta nella maggior parte dei casi di account privati appunto, finiscono per essere una vera e propria guida sull’organizzazione dell’evento. Diffusissimi nei college americani, in altre parole, questi Party Account su Instagram, una volta aperti e dopo aver accettato tra i propri follower solo gli invitati, servirebbero per veicolare grazie ai post informazioni come come raggiungere il luogo dell’evento, a quale dresscode attenersi, come comportarsi con eventuali accompagnatori, ecc.

private social party account su instagram

I Party Account, come ha svelato tra i primi “The Atlantic”, sono account privati di Instagram utilizzati, soprattutto in America, per l’organizzazione di feste ed eventi privati e i cui post danno informazioni ai partecipanti sui dettagli essenziali.

Utilizzati per organizzare feste di Halloween o party tra le confraternite, insomma, i Party Account sembrano essere la definizione in atto del private social: il medium (Instagram, in questo caso) non è più il messaggio e non richiede di conformarsi a linguaggi e pratiche e che gli sono proprie, ma torna a essere semplicemente un canale da sfruttare a scopo privato, che sia l’organizzazione perfetta del party di fine anno o la gestione di un gruppo di autori di un collettivo satirico, solo per fare due esempi.

La sfida dei brand alle prove con il private social

In quest’ottica, se davvero questo è quello che gli utenti cercano dai social, anche la presenza e la strategia social più nativa dei brand rischia di apparire disturbante e fonte d’interruzione. Da qui decisioni come quelle di Lush o Unicredit che, come già si accennava, hanno lasciato i social e deciso di strutturare diversamente la propria presenza digitale, attraverso app e chatbot dedicati, per esempio, o un lavoro di community management e customer engagement decisamente più certosino.

Non è difficile immaginare, del resto, che nell’era del private social l’obiettivo per un brand possa diventare quello di essere presente spontaneamente nelle conversazioni, nelle interazioni private degli utenti: per farlo serve, più che mai, saper trasformare ogni singolo consumatore in ambasciatore del brand o, ancora, puntare su micro e nano influencer che, un po’ come gli account festivi o le liste di interessi in comune tra i diversi utenti del nuovo social network di Google, rappresentano l’essenza di un social privato, fatto di relazioni e interazioni che hanno dalla loro parte il portato, l’intimità, la centralità umana delle relazioni dal vivo.

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