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Quando una pratica commerciale può dirsi scorretta?

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Addebito per servizi non richiesti: pratica commerciale scorretta? Sicuramente una modificazione contrattuale senza espresso consenso.

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Un addebito di un euro e 90 centesimi per servizi mai richiesti, dovuti ad una modificazione contrattuale priva di espresso consenso dei consumatori (ignari). A dispregio di tutte le norme relative alla trasparenza contrattuale.

Invero, l’art. 57, co. 1 del Codice del Consumo dispone che «il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta […] in ogni caso l’assenza di risposta non implica consenso del consumatore». D’altronde lo stesso codice civile all’art. 1325 c.c. richiede l’accordo delle parti quale primo requisito per l’esistenza del contratto e sanziona con la nullità (ex art. 1418 c.c.) la sua mancanza.

Depongono in tal senso due sentenze del Tribunale di Genova. Nel 2002 (cfr. Trib. Genova, 11.11.2002), infatti, ha avuto modo di chiarire che una lettera con cui una società di telefonia comunichi all’utente di aver attivato, dietro sua presunta richiesta, una particolare tariffa configura una proposta contrattuale che, non essendo seguita da alcuna accettazione, non ha portato alla conclusione di un contratto, poiché, in tema di contratti a distanza, la legge richiede una previa ordinazione qualora la fornitura comporti richiesta di pagamento, specificando che la mancata risposta non significa consenso (e nel caso di specie l’attivazione del servizio comportava un onere economico, seppure contenuto). Mentre nel 2006 (cfr. Trib. Genova, 24.11.2006) ha precisato che è nullo, per mancanza di accordo, il contratto per la prestazione di servizi telefonici opzionali a pagamento mai espressamente richiesti dall’utente e, dunque, la compagnia telefonica è tenuta a risarcire i danni arrecati all’utente con il proprio illecito comportamento, e tra questi il danno esistenziale.

È, dunque, necessario l’espresso consenso del consumatore alla modifica delle condizioni contrattuali o, meglio, all’attivazione di servizi mai richiesti prima.

Insorge, a tal proposito, l’ADUC – Associazione per i Diritti degli utenti e dei Consumatori – che denuncia all’AGCM la Vodafone per pratiche commerciali scorrette. L’Associazione, infatti, attacca Vodafone per l’aggressività e il modo ingannevole con cui è stata attivata ai clienti – ovvero durante l’estate – con attivazione automatica e una complessa procedura per la disattivazione, e infine poiché sembra essere, non un servizio aggiuntivo, ma un aumento del costo della propria opzione.

Invero, il d.lgs. n° 146/2007, in attuazione della direttiva 2000/29/CE, ha introdotto nell’ordinamento italiano una disciplina completa delle cd. “pratiche commerciali scorrette” al fine di tutelare dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali i consumatori ed in generale gli interessi del pubblico nella fruizione di messaggi pubblicitari, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa (art. 19, co. 1 del d.lgs. n° 206/2005).

Tale disciplina è poi confluita nel d.lgs. n° 206/2005 (di seguito, codice del consumo). Si legge, infatti, all’art. 18, co. 1, lett. d) del codice del consumo che per pratiche commerciali s’intende «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o finitura di un prodotto ai consumatori».

Il codice del consumo distingue le pratiche commerciali scorrette (cfr. art. 20) in “ingannevoli” ed “aggressive“. Quanto alle prime – contenute negli artt. 21 a 23 del codice – esse sono idonee ad indurre il consumatore medio in errore, falsandone il processo decisionale. In particolare, l’induzione in errore può riguardare – tra gli altri – il prezzo , la disponibilità, le caratteristiche ed i rischi connessi al suo impiego. L’AGCM considera, peraltro, ingannevoli anche le pratiche che inducono a trascurare le normali regole di prudenza o vigilanza nell’uso di prodotti pericolosi o che possano, anche indirettamente, minacciare la sicurezza di bambini o adolescenti.

Quanto alle seconde, invece, esse si configurano allorché l’impresa agisca con molestie, coercizione o altre forme di indebito condizionamento (artt. 24 a 26 del codice). Una pratica commerciale scorretta si definisce tale in base alla natura, ai tempi, alle modalità, nonché all’eventuale ricorso a minacce sia fisiche che verbali.

Qualunque sia la natura dell’aumento tariffario, certamente “antipatica” è la pratica operata da Vodafone a discapito dei suoi clienti. Vero è che la somma (illegittimamente?) sottratta dall’operatore di telefonia mobile può ai più sembrare di poco conto. Tuttavia, se moltiplicata per i milioni di utenti della rete Vodafone, i numeri (ed i guadagni) sono da capogiro. È ciò che accade anche con il passaggio degli abbonamenti di telefonia mobile da un mese a quattro settimane, con una perdita complessiva (per utente) di circa otto settimane l’anno.

La ripetizione dell’esborso e l’indennizzo per la pratica scorretta subita potranno essere ottenute rivolgendosi all’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

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