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Perché la prima pagina del New York Times con i nomi delle vittime del coronavirus entrerà nella storia del giornalismo

prima pagina del New York Times

Le persone al centro della comunicazione e dell'informazione durante il coronavirus e una prima pagina del New York Times d'impatto.

Quello che stiamo vivendo è a tutti gli effetti un periodo che entrerà nei libri di storia, un punto di rottura e di nuovo inizio, per diversi motivi. A testimonianza di questi mesi resteranno alcune emblematiche immagini, come – solo per citare due esempi relativi all’Italia – quella di Papa Francesco da solo in una Piazza San Pietro completamente vuota per la benedizione “Urbi et Orbi” o quella del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella da solo e con la mascherina all’Altare della Patria in occasione della Festa della Liberazione il 25 aprile. E, con uno sguardo ancora allo scenario italiano, focalizzandoci sul settore dell’advertising, resteranno non solo le immagini, riprese in tanti spot televisivi ai tempi del coronavirus, delle strade vuote, delle bandiere appese ai balconi e degli arcobaleni disegnati dai bambini, quanto le due pagine pubblicitarie con i nomi dei dipendenti Barilla pubblicate sul Corriere della Sera, in segno di ringraziamento. Un elenco di nomi che non può non riportare alla mente, con un significato e un peso emotivo totalmente diverso, una prima pagina del New York Times che resterà a tutti gli effetti nella storia del giornalismo.

l’impatto comunicativo del leggere nomi e cognomi di vittime del coronavirus su quella prima pagina

L’elenco di nomi e cognomi di mille vittime del COVID-19 stampato su quella prima pagina del 24 maggio 2020 ha un impatto comunicativo molto forte. Un titolo chiaro, diretto, che annuncia una «perdita incalcolabile», con un numero di morti che negli Stati Uniti è quasi pari a 100mila e di cui l’elenco in questione rappresenta quindi solo l’1%.

«Non sono semplici nomi in una lista», si legge subito dopo, come introduzione delle sei colonne, a comunicare, in modo ancora più immediato, che tra quei nomi potrebbero esserci potenzialmente quelli di qualunque americano: «Erano persone come noi».

Ecco perché non si tratta solo di una prima pagina di un giornale, bensì di una vera e propria immagine, che resta impressa nella mente di chi la guarda, una sorta di frame importante e solenne di quelle che sono state le conseguenze della pandemia e del diverso modo in cui è stata gestita l’emergenza in nazioni diverse, portando in alcune a un numero oltremodo alto di perdite umane.

La lista continua anche all’interno del giornale, senza alcuna immagine, solo poche parole (oltre all’età e alla città) accanto ai nomi (o alla maggior parte di essi almeno), per dare una rapidissima descrizione di ciascuna persona.

Il progetto dietro la prima pagina del New York Times e l’infografica sul sito

Il messaggio è chiaro: i morti a causa del coronavirus non possono essere considerati solo un numero e andrebbero ricordati, uno ad uno, nelle proprie unicità.

Infatti, questa prima pagina della versione cartacea del giornale fa parte di un progetto più articolato, ideato da Simone Landon, che vuole raccontare «sia la vastità che la varietà delle vite perdute» (come si legge sul sito del New York Times nell’articolo “The Project Behind a Front Page Full of Names”).

Si comprende, allora, quanta ricerca sia stata fatta per realizzare quell’elenco, nel tentativo di trovare un modo per superare la difficoltà di riportare e interpretare dati che finiscono per essere numeri a volte assimilati troppo meccanicamente, senza una riflessione su ciò che significano, e restituire a ogni vita stroncata dal coronavirus la più piena umanità, il non essere solo un +1 da aggiungere a una somma che va via via crescendo.

Questo progetto ha trovato ulteriore forza espressiva in una pagina del sito – aggiornata giorno dopo giorno –, che è un contenuto più simile a una infografica scrollabile che non a un articolo. Una perdita incalcolabile” è il titolo che torna anche sul sito del New York Times, ma qui invece della lista dei nomi ci sono delle stilizzazioni di persone.
Man mano che si scorre la pagina in basso a destra si vede l’avanzare dei giorni, da inizio marzo a metà maggio 2020, e l’aumentare del numero dei morti, cui parallelamente corrisponde una maggiore quantità di persone rappresentate graficamente nella pagina, alcune delle quali affiancate da didascalie che ne descrivono dati e caratteristiche.

Mentre si scrolla compaiono diverse frasi, tutte molto emozionali e tese a far riflettere su come le vite umane che si sono spente meritano di essere considerate con attenzione, proprio come si faceva prima, pregando e condividendo ricordi, perché le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria sono tante, anche i servizi funebri sono sospesi, ma non per questo ci si deve dimenticare di essere umani, sensibili.

«Un numero è una misura imperfetta quando applicata alla condizione umana» è l’ultima frase che compare, come a chiudere un cerchio narrativo che si era aperto con la stessa frase preceduta, anziché seguita, dal numero «one hundred thousand», che tra l’altro compare anche come scritta ricorrente durante lo scrolling.

dare dei nomi ai numeri: un progetto che mette al centro le persone e che è stato pensato anche in Italia

Se l’intento di chi ha ideato questo progetto al New York Times, come riportato sul sito, era quello di realizzare qualcosa che «la gente potesse guardare tra 100 anni per capire la portata di ciò che stiamo vivendo», allora di certo è ben riuscito, con un tipo di informazione che, come si anticipava, non può che entrare nella storia del giornalismo.

Va qui riportato, però, che la prima pagina del New York Times in formato elenco nel periodo del COVID-19 fa sicuramente notizia, anche per la rilevanza del brand giornalistico in questione, ma anche in Italia c’è stata, a fine marzo, una particolare iniziativa comunicativa atta a dar nome ai numeri. Si tratta de Il Tirreno, che ha riportato sia in copertina che in pagine interne dell’edizione del 29 marzo 2020 i nomi e i cognomi delle vittime toscane del coronavirus.

Da un post pubblico sul profilo Facebook di Fabrizio Brancoli, direttore de “Il Tirreno”.

Come si legge in un post con visibilità pubblica sul profilo Facebook del direttore di questo giornale, Fabrizio Brancoli:

«Noi giornalisti, noi operatori dell’informazione, negli ultimi decenni, abbiamo raccontato disastri che coinvolgevano decine di persone, talvolta centinaia, aprendo il vocabolario del dolore e della rabbia; ora non sappiamo trovare un lessico, una misura per questa cosa immane. O almeno non so trovarlo io. E se in passato quelle tragedie le abbiamo semplicemente seguite, pur in grande empatia con le vittime, oggi c’è differenza perché la quarta parete è caduta: siamo narratori e protagonisti. Ognuno di noi sta rischiando qualcosa, per sé e per gli altri.
Ora corriamo il rischio di assuefarci ai bollettini, ai grafici curvati che nascondono le persone. Restituiamoci il lutto, proviamo insieme l’onore della sofferenza».

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