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Programmatic advertising: alcuni trend per il 2017

Programmatic advertising: cosa cambierà nel 2017? Ecco alcuni trend

Se si guarda al mercato della pubblicità digitale, il settore più florido è quello della programmatic advertising: quali le nuove tendenze?

I trend per il 2017 in fatto di marketing sembrano chiari: attenzione alla customer care , spazio alle nuove professioni digitali, all’IoT e ai chatbot . Cosa succederà, però, nel campo della digital advertisingGià il 2016 è stato caratterizzato, a guardarlo bene, dall’investimento in native advertising. L’obiettivo, soprattutto per i soggetti media e per chi opera nel campo dell’editoria, è rendere meno invasiva possibile l’advertising, in modo da minimizzare il tasso di abbandono degli utenti e, più in generale, aumentare il ritorno sugli investimenti in pubblicità. A detta degli esperti, invece, il 2017 avrà come grande protagonista la  programmatic advertising e una serie di issue a essa collegate.

1. Viewability e metriche d’efficacia

Il grande obiettivo per gli advertiser internazionali sarà, infatti, massimizzare la viewability e, uno step prima, convincere la stessa industria pubblicitaria della sua importanza come indice di successo di una campagna di pubblicità digitale. Metriche parziali e disomogenee possono avere, infatti, effetti deleteri, tra cui non sono da escludere frodi pubblicitarie tanto più gravi se in gioco ci sono immagine e valori del brand . Il mercato, anche nel suo segmento italiano, però sembra ora pronto ad adottare viewability e impression come metriche principali, almeno a sentire la direzione italiana di Integral Ad Science.

2. Lasciarsi aiutare dall’intelligenza artificiale

Grande alleata della programmatic advertising sarà, poi, nel 2017 l’intelligenza artificiale. L’interazione uomo-macchina dovrebbe contribuire, infatti, a rendere sempre più automatizzate le campagne pubblicitarie di real time e, più in generale, a incentivare il coinvolgimento dei destinatari di un annuncio pubblicitario. Già in passato il machine learning è stato utilizzato per una migliore profilazione degli utenti e per rendere più naturale e spontanea l’interazione advertiser-utenti. Uno degli strumenti strategici in questo senso potrebbe essere per il 2017, a sentire gli esperti di ADmantX, il natural language processing. Si tratta di una speciale forma di intelligenza artificiale in grado di leggere e comprendere parole, testi, contenuti alla stregua di un essere umano: per un advertiser la promessa è di collocare il proprio annuncio in un contesto quanto più naturale possibile, avendo compreso realmente bisogni e intenzioni degli utenti. Non solo contextual advertising però: l’AI dovrebbe aiutare a interpretare meglio i feedback e il comportamento degli utenti, fino a ottenere una valutazione quanto più attendibile possibile della loro propensione all’azione. Una call to action chiara, del resto, è uno degli elementi di successo per una campagna di digital advertsing, qualunque siano i tempi e le forme in cui è strutturata.

3. Il programmatic (non) va in TV

Notizie un po’ meno positive riguardano, invece, l’utilizzo di programmatic advertising in TV. Per quanto, infatti, anche i passaggi pubblicitari televisivi stiano diventando sempre più targettizzati e customizzati, il 2017 potrebbe non essere ancora l’anno del completo passaggio alla programmatic advertising. Le ragioni sono tante e sono state sintetizzate da TVSquared attraverso

  • la presenza di legislazioni disomogenee: il mercato televisivo, infatti, è regolato da leggi e regolamenti che sono, nella maggior parte dei casi, molto legati ai singoli paesi. Per gli advertiser è difficile, così, avere un controllo totale sui contenuti;
  • le policy sulla privacy piuttosto stringenti: in molti casi chi investe in pubblicità non ha abbastanza dati riguardo al target di riferimento o, almeno, non ha dati diversi e più bold di quelli macroscopici e di stampo socio-demografico;
  • il controllo dei player tradizionali sugli spazi televisivi: la partita della pubblicità in TV si gioca ancora, soprattutto in Italia, su equilibri precari con soggetti tradizionali come le emittenti televisive e le concessionarie che controllano chi e cosa compra, di fatto rendendo il mercato più simile a un oligopolio che a un regime di libera concorrenza;
  • ostacoli tecnologici non indifferenti: un spot digitale in HD può pesare anche centinaia di megabyte e impiegare decine di secondi per essere trasmesso, tempi troppo lunghi in confronto a quelli televisivi.

Se la programmatic advertising funziona sul digitale è, insomma, in virtù della sua flessibilità e della possibilità di lavorare sul tempo reale. Molto c’è ancora da fare per poter applicare gli stessi principi al mercato televisivo: il 2017 segnerà solo un punto d’inizio, con soggetti business, advertiser e professionisti del digitale e del settore hardware alleati nel far sì che i vantaggi percepiti della programmatic advertising siano, finalmente, più dei rischi.

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