- Marketing
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Cosa può fare un’azienda per la protezione del brand?

I dati presentati da MarkMonitor al Symposium di Milano del 2017 e un’intervista a Jerome Sicard per sensibilizzare le aziende alla protezione del brand.
Il continuo proliferare di casi di contraffazione digitale pone le aziende davanti a un grande interrogativo: cosa è possibile fare per la protezione del brand ? Quali sono le strategie che gli imprenditori dovrebbero mettere in atto? I risultati di una ricerca condotta da TSW Lab, presentati in occasione del MarkMonitor Symposium di Milano, sono chiari: per la protezione del brand è necessario informare i potenziali acquirenti e sensibilizzarli al riconoscimento di alcuni elementi chiave.
«Se negli Stati Uniti e nel Regno Unito esiste un dipartimento interno di brand protection e mansioni quali brand protection manager o brand protection director è perché la sensibilizzazione al problema e il problema stesso sono nati prima che in Italia. In questi paesi – ha dichiarato Jerome Sicard, Regional Manager Souther Europe di MarkMonitor, nel corso di un’intervista rilasciata ai nostri microfoni – il canale eCommerce è stato fin da subito identificato come canale vitale e hanno sviluppato prima l’importanza di proteggere tutto ciò che ruotava intorno al brand online».
In Italia negli ultimi anni si sta iniziando a rivolgere una maggiore attenzione a questo aspetto e accanto al ruolo delle Camere di Commercio e dei suoi organismi si affianca la figura del brand protection evangelist. Occuparsi di protezione del brand significa andare a occupare quello spazio fra le problematiche legate all’ ecommerce e le problematiche legate alla proprietà intellettuale su Internet. Dunque, occuparsi di brand protection all’interno di un’azienda o per conto di un’azienda significa fare da collante fra il dipartimento eCommerce e il dipartimento legale. «Ho cominciato a lavorare nell’ambito della brand protection circa 10 anni fa quando si è cominciato a parlare di tutela dei brand in ambito digitale. La figura del brand protection evangelist – afferma Jerome Sicard – non può essere certificata e non ci sono corsi universitari o professionali focalizzati su questi argomenti. Si impara molto sul campo, lavorando. Sicuramente conoscenze e competenze in ambito giuridico, marketing e IT aiutano molto a comprendere i vari aspetti della brand protection».
Il brand protection evangelist attraverso la sua passione riesce a sensibilizzare le aziende alla protezione del brand e gli utenti a distinguere un brand vero da uno contraffatto. Gli strumenti a sua disposizione per la protezione e il rafforzamento del brand sono quelli che interessano l’intero customer journey e sono:
- Dominio
Un url plausibile potrebbe trarre in inganno anche gli eShopper più esperti. Nell’ambito della ricerca TSW Lab solo il 30% del campione di acquirenti esperti ha verificato la correttezza dell’URL prima di acquistare e solo il 20% si è accorto dell’assenza di connessione protetta con Https. - serp
Sempre secondo la ricerca effettuata da TSW Lab, un acquirente esperto non clicca sugli annunci sponsorizzati e preferisce accedere al primo risultato organico della SERP. Lo studio, attraverso l’utilizzo di una heatmap, ha dimostrato come l’assenza di fissazioni below the line sia un chiaro esempio di quanto i brand debbano investire sulla SEO per garantirsi visibilità e click al sito. - brand identity &Trust
Alcuni siti sembrano davvero professionali a prima vista, ma basta prestare attenzione alla pagina “Informazioni su” o “FAQ” e si scopre che i brandjackers non sono sempre così attenti. La percezione di sicurezza attraverso il design di un sito è determinata dall’istinto dell’utente ed è un elemento che si monitora con maggiore attenzione rispetto a tecnicismi come la correttezza dell’URL e la presenza di una connessione protetta. I segnali visivi contribuiscono alla costruzione e al mantenimento del trust, per questo motivo è sempre bene che le aziende aiutino i propri clienti a distinguere con più facilità i canali ufficiali da quelli fraudolenti con un’immagine riconoscibile e di qualità. - prezzo
Se fino a dieci anni fa era possibile distinguere un prodotto contraffatto da uno originale in base al prezzo, oggi è quasi impossibile farlo. I “falsi di lusso” vengono venduti oggi con un semplice 30% di sconto rispetto al prezzo originale e quindi facilmente paragonabili a prezzi outlet o grandi promozioni. Se è troppo bello per essere vero è probabilmente una “bandiera rossa” e i consumatori dovrebbero essere più vigili. - Diritto di recesso e informativa sulla privacy
Queste due informazioni vengono solitamente specificate chiaramente nei siti affidabili. Il diritto di recesso nasce dall’esigenza dell’acquirente che, concludendo a distanza un contratto di vendita, non ha la possibilità di visionare il bene e capire se corrisponde alle sue aspettative. Contraffattori e i brandjackers di solito non investono tempo e risorse nel realizzare una chiara e forte privacy policy, né tantomeno si curano di tutelare un acquisto che non corrisponde a quanto desiderato. - customer care
Per proteggere il proprio brand e migliorare l’esperienza d’acquisto dei propri clienti è bene informare ed educare i consumatori sulle minacce di contraffazione. È possibile farlo attraverso un servizio clienti che assista l’acquirente in ogni momento e offra pronto supporto nel caso di dubbi. - Online reputation
Una piccola accortezza da avere nel momento in cui si trova un’offerta imperdibile e sembra realmente vera è un’ennesima prova da fare su Google: una semplice ricerca con le parole “nome del venditore + truffa” o “nome del venditore + opinioni” potrebbe essere la risposta ai nostri dubbi.
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