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Fu vera fibra? L'AGCM alle prese con un caso di pubblicità ingannevole

Pubblicità ingannevole in una campagna sulla fibra: l'intervento dell'AGCM

L'AGCM ha sanzionato un noto operatore di tlc per una campagna relativa alla fibra ottica, ritenendo che si trattasse di pubblicità ingannevole.

Fu vera fibra? Questa volta la sentenza è stata meno ardua del precedente storico e la decisione è spettata non ai posteri, bensì all’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, intervenuta su un interessante caso di pubblicità ingannevole.

L’implementazione di connessioni a Internet sempre più veloci ed efficienti rappresenta un obiettivo rispetto al quale si è progressivamente accresciuta l’attenzione da parte delle Istituzioni nazionali e comunitarie, essendosi oramai acquisita piena consapevolezza della determinante incidenza che tale fattore riveste sulla competitività di un sistema economico. Non è un caso, infatti, che nel maggio 2010, è stata approvata l’Agenda digitale per l’Europa, ossia un programma volto a promuovere le condizioni per creare crescita e occupazione in Europa e che pone al primo posto proprio la creazione di un «nuovo e stabile quadro normativo per quanto riguarda la banda larga». Lungo la stessa direttrice, il Governo italiano ha approvato, nel 2015, la Strategia Italiana per la banda ultralarga con la quale si intende coprire, entro il 2020, l’85% della popolazione con infrastrutture in grado di veicolare servizi a velocità pari e superiori a 100Mbps garantendo al contempo al 100% dei cittadini l’accesso alla rete Internet ad almeno 30Mbps. Ed effettivamente, anche grazie a diverse misure normative e fiscali di sostegno, da qualche anno si moltiplicano le offerte delle società di tcl per l’accesso a Internet in fibra ottica.

Tuttavia, probabilmente proprio in ragione del fatto che si tratta di servizi ad elevata connotazione tecnologica, il rischio che il consumatore cada preda di pratiche commerciali scorrette è particolarmente elevato, soprattutto con riferimento ai casi di pubblicità ingannevole.

Pubblicità ingannevole e fibra ottica

E infatti, come si diceva, di recente sul tema è intervenuta l’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato al fine di sanzionare una pratica commerciale scorretta realizzata per mezzo di pubblicità ingannevole diffusa da un soggetto leader nel mercato delle tlc mediante cartellonistica, spot televisivi, inserzioni web e pratiche below the line. Il casus belli è rappresentato da una martellante campagna pubblicitaria volta a promuovere una offerta di fornitura del servizio di accesso alla rete a velocità straordinariamente elevata, circostanza che veniva evocata e resa suggestiva ai destinatari del messaggio commerciale attraverso accorgimenti sia grafici che testuali. Ad esempio, le immagini utilizzate riproducevano un fascio di cavi ottici, abbinati a colori accesi e ad elementi decorativi che suggerivano l’idea di movimento che, quindi, applicata alla connessione Internet, evocava una elevata velocità della navigazione. Tale suggestione, peraltro, era rafforzata dagli elementi testuali, ove si discorreva di “navigazione ultraveloce”, “alla massima velocità” ovvero ancora di “FIBRA 1000 mega e 4,5G”.

Solo in alcuni casi – e comunque con modalità che l’AGCM ha stimato assolutamente insufficienti – si precisava che l’effettiva velocità del servizio sarebbe dipesa da ulteriori e diverse circostanze. Ciò, a giudizio dell’Authority, «avrebbe indotto l’utenza a ritenere di poter fruire, pagando il prezzo pubblicizzato, di una connessione a Internet ad alta affidabilità e massima velocità in quanto sviluppata integralmente in fibra ottica, fino alla propria unità immobiliare. Circostanza, invece, non sempre ricorrente». Questo perché nel messaggio pubblicitario era, se non omessa, quantomeno non esplicitata a dovere una differenziazione di primaria importanza, ovverosia quella tra connessione FTTH ed FTTC.

Come è stato posto in rilievo nel corso dell’istruttoria, infatti, «l’uso generico del termine ‘fibra’, a prescindere dalla tecnologia sottesa, non informa in modo adeguato il consumatore sul servizio di connettività offerto, in quanto, mentre con la fibra FTTH il consumatore è cablato in fibra ottica sino a casa con le conseguenti prestazioni apicali (rilevanti per poter fruire di sempre più numerosi servizi), la tecnologia FTTC (ossia una connessione in fibra ottica che raggiunge solamente la cabina di distribuzione) ha prestazioni nettamente inferiori, essendo limitata dall’uso del doppino in rame e l’utente non può conseguentemente godere di molti servizi offerti sul web che necessitano della fibra ottica». 

Nonostante peraltro il dato relativo alla velocità di navigazione rappresenti, insieme al prezzo , uno dei principali parametri (se non il principale) in base al quale sono raffrontate le offerte per servizi Internet, le differenze tra fibra FTTC e FTTH sono ben più radicali. E infatti «con il collegamento misto fibra/rame […] anche le performance dei servizi in termini di continuità, stabilità e tasso di guasti sono decisamente più basse in quanto dipendono dalla distanza della centrale o del cabinet, dalle condizioni fisiche del cavo in rame, dall’interferenza fra i diversi segnali elettrici irradiati contestualmente lungo i doppini in rame […], dall’utilizzo contemporaneo degli stessi da parte di un insieme considerevole di clienti e dalle condizioni climatiche. Di conseguenza, mentre le velocità su reti FTTH sono effettive, quelle indicate per le altre reti FTTx sono velocità massime teoriche e raggiungibili su campo solo in caso di contemporanea presenza di una serie di condizioni favorevoli».

Inoltre, se almeno sul sito web – a differenza degli altri supporti pubblicitari – era possibile rinvenire una pagina indicante le possibili limitazioni della velocità di navigazione derivanti da fattori esogeni, l’AGCM rileva come anche in tale ipotesi non v’era «alcuna specificazione sulle condizioni minime che l’utente avrebbe dovuto soddisfare per poter navigare alla massima velocità offerta». Riducendo ai minimi termini la situazione commerciale-fattuale, quindi, si ha che il destinatario del messaggio pubblicitario, allorquando si fosse determinato a contrarre, avrebbe ragionevolmente confidato sulla erogazione di un servizio con caratteristiche qualitative e quantitative ben diverse da quelle che in concreto gli sarebbero state erogate e, quel che è più grave, in buona sostanza senza che vi fosse alcuno strumento che consentisse di verificare con precisione quanto significativo sarebbe stato questo scostamento: in altri termini, non era possibile (o comunque non era agevole) sapere quale sarebbe stata la velocità di navigazione e la stabilità di connessione in concreto rispetto alle performances di eccellenza assoluta paventate in pubblicità.

A ciò si aggiunga, poi, un ulteriore profilo di scorrettezza pubblicitaria che l’AGCM ha puntualmente rilevato. In particolare, l’Authority ha messo in evidenza come l’utente abbia ulteriormente patito una pubblicità ingannevole laddove dalla stessa non si ricavava la «necessità di attivare un’opzione aggiuntiva, inizialmente gratuita e, successivamente, a pagamento, per poter navigare alla massima velocità pubblicizzata». In buona sostanza, infatti, trascorso un primo periodo “promozionale”, anche ammesso che le condizioni dell’impianto fossero state ottimali, non sarebbe comunque stato possibile ottenere le prestazioni indicate nei claim se non pagando una quota ulteriore rispetto a quella apparentemente onnicomprensiva. Per tale ragione, quindi, ingannevole risultava l’indicazione del prezzo praticato, giacché esso, in concreto, si riferiva a un prodotto minor rispetto a quello pubblicizzato.

I poteri dell’AGCM e la decisione del casus

Ecco quindi che l’AGCM ha ritenuto sussistente una «condotta ingannevole e omissiva» giacché «si è omesso di informare adeguatamente i consumatori circa le reali caratteristiche del servizio offerto e le connesse limitazioni», glissando altresì sulla presenza di una opzione aggiuntiva, solo provvisoriamente gratuita, comunque imprescindibile per raggiungere un certo livello di velocità nello scambio dei dati.

Ciò si risolve in una pratica commerciale scorretta sub specie di pubblicità ingannevole ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21 e 22 del Codice del Consumo, con riferimento, alla natura del prodotto (art. 21 lett. a), alle caratteristiche principali (lett. b) e al prezzo (lett. d) del servizio, così da falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore (art. 20) in forza dell’omissione di informazioni rilevanti di cui questi ha bisogno per prendere una decisione consapevole (art. 22).

Va poi considerato un altro aspetto particolarmente significativo. Sebbene la società, dopo l’avvio del procedimento per accertamento dell’infrazione, avesse – in un’ottica collaborativa – inserito nelle relative campagne pubblicitarie una frase di alert che, oltre a rinviare allo strumento di verifica della copertura di rete disponibile nel sito internet dell’operatore, informava sull’esistenza di possibili limitazioni tecniche, di velocità e geografiche, tale accorgimento non è stato ritenuto sufficiente dall’Authority per archiviare il procedimento.

Ciò consente di soffermarsi un momento sui poteri dell’AGCM e sulle rationes essendi che sorreggono la normativa consumeristica. Va precisato, infatti, che ai sensi dell’art. 27 co VII del Codice del Consumo, «l’Autorità può ottenere dal professionista responsabile l’assunzione dell’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità». Ciò, nell’ipotesi in cui sia valutata favorevolmente l’idoneità delle contromisure approntate, può condurre all’archiviazione della procedura, senza procedere all’irrogazione della sanzione.

In effetti il Codice del Consumo adotta in proposito una dicitura particolare, abilitando l’Authoriy a definire il procedimento «senza procedere all’accertamento dell’infrazione». Ma, con ogni evidenza, se il professionista si premura di adottare misure correttive, l’infrazione (almeno per il passato) sussisteva ed è, indirettamente, già accertata, sicché l’istituto in questione attribuisce in buona sostanza all’ente indipendente un potere discrezionale di transeatuna volta che ci si è assicurati che il comportamento illecito è cessato, ovverosia il potere di soprassedere. Tale potere potere amministrativo si spiega agevolmente se si considera che le norme del Codice del Consumo (ed in generale quelle sulla cui osservanza vigilano le Autorità Indipendenti) sono volte in massima parte a prediligere meccanismi di riequilibrio del mercato, sicché – allorquando tale obiettivo è conseguito – il profilo ripristinatorio prevale ed assorbe quello sanzionatorio. Tale potere, tuttavia, incontra un limite testuale, giacché non si può archiviare la procedura, pur a fronte dell’impegno correttivo del professionista, allorché ricorra un caso di «manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale».

Va detto che nel caso de quo il provvedimento non si è richiamato a tale condizione ostativa, ma la proposta d’impegni è stata comunque rigettata dall’Autorità «in quanto non idonea a rimuovere i profili di possibile scorrettezza contestati nella comunicazione di avvio del procedimento e nella successiva estensione oggettiva». Tuttavia, sebbene il provvedimento non abbia voluto far applicazione della clausola di cui si è appena detto, è indubbio che l’Autorità abbia ritenuto significativamente grave la condotta della società di tlc, atteso che, in punto di determinazione del quantum della sanzione da irrogare, si è valorizzata la «particolare natura del profilo di scorrettezza caratterizzato da carenze informative particolarmente significative e di natura profondamente decettiva in merito a servizi (di connettività ad internet in banda ultra larga) innovativi e a elevato contenuto tecnologico.»

Ancora, la gravità della pubblicità ingannevole realizzata è stata ritenuta tanto più rilevante in considerazione del fatto che essa inerisce un prodotto rispetto al quale v’è una grave asimmetria informativa del consumatore rispetto al professionista, giacché il servizio, presentando connotati di complessità particolare, non è agevolmente valutabile da parte di chi non possiede conoscenze specifiche.

Da ultimo, poi, l’AGCM ha tenuto conto del fatto che il professionista, nel caso in questione, rivestisse una grande rilevanza economica sul mercato, trattandosi di operatore leader nel settore e che la pratica commerciale scorretta si è protratta almeno dal settembre 2016 e risulta tuttora in essere. Per tali ragioni, la sanzione per la pubblicità ingannevole viene fissata nel massimo edittale, ovverosia 5 milioni di euro, ridotti, pur in presenza di una situazione di recidivanza dell’operatore (già in passato sanzionato per violazioni della normativa protettiva consumeristica), a 4 milioni e ottocentomila euro in virtù della (ancorché non risolutiva) collaborazione prestata dal professionista. Una risposta, quindi, particolarmente rigorosa dell’Authority a tutela dei consumatori.

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