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Italiani e voglia di futuro: un’istantanea dal rapporto Agi-Censis 2017 sull'innovazione

rapporto Agi-Censis 2017 sull'innovazione: gli italiani e la voglia di futuro

Il rapporto Agi-Censis 2017 sull'innovazione fotografa la voglia di futuro degli italiani, a partire dalla familiarità con le tecnologie.

Quanta «voglia di futuro» hanno gli italiani? A misurarla ci ha provato il rapporto Agi-Censis 2017 sull’ innovazione , uno studio condotto su un campione della popolazione nostrana con l’obiettivo di misurare l’impatto che tecnologie, ambienti digitali e, più in generale, i cambiamenti verificatisi negli ultimi vent’anni hanno avuto su diversi aspetti della vita collettiva, dal lavoro e dagli asset occupazionali al rapporto con la pubblica amministrazione e la percezione della sicurezza.

Italiani e innovazione: gli ottimisti della digitalizzazione sono più degli scettici

In generale, come già avevano mostrato altri studi, gli italiani si mostrano fiduciosi sui temi dell’innovazione.

Oltre la metà della popolazione (il 57,9%) è convinta, infatti, che i cambiamenti tecnologici di questi anni abbiano impattato positivamente non solo sull’economia, ma anche sulla società. C’è, anzi, secondo il rapporto Agi-Censis 2017 sull’innovazione, una fetta di entusiasti della digital disruption (il 14,2%) che sottolinea come i progressi tecnologici abbiano avuto solo effetti largamente positivi sulla vita del Paese. La posizione più moderata è quella di chi crede che, nonostante non siano mancati piccoli problemi e piccoli sconvolgimenti causati dalle novità hi tech, il punto di equilibrio con i benefici sia stato largamente raggiunto (circa un quinto del campione). Com’è facile immaginare, però, non mancano neanche gli apocalittici e chi guarda con diffidenza allo stravolgimento imposto dalla digitalizzazione: un 7,3% di nostalgici non riesce a identificare i benefici che i cambiamenti tecnologici potrebbero apportare ai diversi aspetti della vita associata.

Voglia di futuro: una questione di ceto sociale?

C’è proprio a proposito una sfumatura interessante che i risultati del rapporto Agi-Censis 2017 sull’innovazione mettono in evidenza: la voglia di futuro, la predisposizione ad accettare cioè in maniera proattiva i cambiamenti imposti dalla tecnologia è fortemente legata a caratteristiche socio-demografiche. Le tecnologie sono davvero democratiche e aiuteranno a ridurre il divario che esiste tra classi sociali? Sembra essere questo, in altre parole, l’interrogativo che rende perplessi molti italiani. Due le principali posizioni al riguardo: c’è chi crede che l’innovazione potrebbe contribuire a ridurre questo divario (il 47,8% del campione) e chi, invece, è convinto che contribuirà soltanto ad accentuarlo (il 51,3%). È significativo in questo senso che a essere convinti della natura in parte antidemocratica delle tecnologie e che le innovazioni possano non fare altro che accentuare il divario sociale siano soprattutto gli appartenenti ai ceti sociali più bassi.

Così l’innovazione cambierà il mondo del lavoro…

Sono gli stessi individui, tra l’altro, che mostrano una maggiore preoccupazione nei confronti degli effetti della digital disruption sull’occupazione. È innegabile, infatti, che oggi il mercato del lavoro sia in profonda trasformazione e che proprio le innovazioni tecnologiche abbiano imposto un cambiamento nei processi operativi, nelle skill richieste, ecc.

Non stupisce, allora, che buona parte degli italiani (il 37,8%) si dica preoccupata di come l’automazione possa tagliare svariati posti di lavoro. A pensarla così sono, come si accennava, soprattutto lavoratori senior, con un livello di istruzione medio-basso o appartenenti a ceti socio-economici non particolarmente elevati. Il rapporto Agi-Censis 2017 sull’innovazione, proprio a proposito, mette in luce un dato curioso: c’è una buona fetta di italiani (oltre il 42%) che considera i robot tra i maggiori responsabili dello stravolgimento occupazionale, tanto da credere che in un futuro imminente verranno tassati. C’è, comunque, anche un fetta di curiosi rispetto ai cambiamenti che tecnologie e digitale stanno già apportando al mondo del lavoro: un 28,5% osserva come non sarà il numero, ma il tipo di posti di lavoro a disposizione a cambiare e c’è addirittura un 33,5% che è fiducioso circa l’aumento occupazionale, una volta che si saranno intuite le nuove esigenze del mercato.

…e l’economia: italiani e sharing economy

È tutta l’economia, del resto, che non può restare immune agli sconvolgimenti legati all’introduzione di nuove tecnologie, nuovi asset produttivi, nuovi approcci culturali. Non a caso, infatti, la sharing economy è già realtà anche in Italia.

Gli italiani sembrano avere, in questo senso, molta voglia di futuro, almeno in teoria. La considerano (lo fa almeno il 70% del campione) una via che rende più facile e disintermediato l’accesso ad alcuni servizi, specie in settori come il turismo, la mobilità o l’housing. Quando si tratta, però, di investire in attività di questo tipo solo la metà della popolazione italiana sembrerebbe disposta a farlo.

Dalla partecipazione democratica alla PA digitale: cosa vuol dire fare innovazione nel pubblico?

Altri grandi temi indagati dal rapporto Agi-Censis 2017 sull’innovazione sono, comunque, quelli che hanno a che vedere con gli effetti dei cambiamenti tecnologici sulla partecipazione alla vita pubblica dei cittadini, la pubblica amministrazione, il senso di sicurezza percepito.

Uno degli interrogativi più frequenti anche tra esperti e analisti del settore riguarda proprio il rapporto tra tecnologie, innovazioni digitali e processi democratici.

Gli italiani non sembrano avere una posizione netta in questo senso: c’è chi è convinto che un maggiore e più facile accesso alle informazioni, per esempio, sarà in grado di attivare sinergie positive e migliorare quindi la partecipazione democratica alla gestione della cosa pubblica (il 36,7%); chi stima invece che almeno nel breve-medio periodo non ci saranno gravi sconvolgimenti nei processi democratici legati all’innovazione tecnologica (il 34%) e chi mette in guardia dal fatto che in uno scenario di questo tipo chi non abbia buone competenze digitali possa rimanere progressivamente escluso da una serie di meccanismi molto importanti per la vita associata (il 29,3%).

Molto più concreti e interessanti sono, comunque, gli insight forniti dal rapporto Agi-Censis 2017 sull’innovazione quanto alla tanto discussa PA digitale e ai suoi vantaggi concreti sulla vita dei cittadini. Anche le pubbliche amministrazioni, infatti, come imprese e altri soggetti business hanno dovuto affrontare negli anni un processo di digitalizzazione e di adozione di saperi e processi altamente tecnologici.

Al contrario di quanto si potrebbe pensare, e forse di quanto sperato, ciò non ha contribuito finora a migliorare il rapporto PA cittadino, né la percezione della qualità del servizio offerto. Più della metà degli italiani considera infatti deludente e largamente negativa l’erogazione dei servizi da parte di enti pubblici e locali, il 18% la considera addirittura pessima e appena il 24% la giudica appena «accettabile». La progressiva introduzione delle tecnologie non sembra aver migliorato le cose: un cittadino su tre, tra quelli che hanno avuto accesso ai servizi digitali, è convinto di non aver ottenuto alcun vantaggio sostanziale rispetto ai servizi erogati attraverso i canali tradizionali, solo un 30,7% ha sottolineato vantaggi che hanno a che vedere esclusivamente con una «maggiore comodità» di accesso. Questo non significa che gli italiani siano favorevoli alla digitalizzazione della PA: la reputano importante, ma a patto che corrisponda a una semplificazione delle procedure (29,1%) e a una velocizzazione dei processi (25,5%).

Italiani, tecnologie e questioni di sicurezza

Per quanto riguarda la questione sicurezza, infine, le tecnologie digitali sembrano rassicurare gli italiani soprattutto davanti alle minacce, reali o percepite che siano, di microcriminalità e terrorismo. L’introduzione sempre più massiva di sistemi di video-sorveglianza e altri dispositivi di sicurezza anche nelle aree pubbliche si muove in questa direzione. La maggior parte degli italiani (il 43,8%) sembra accettare volentieri queste nuove forme di controllo, a patto che riescano ad assicurare una maggior sicurezza. Solo il 15,4% del campione mette in guardia da una possibile riduzione della libertà individuale. Vale la pena notare come, anche in questo caso, ci sia una forte polarizzazione delle opinioni: i più anziani sono i più convinti di una maggiore necessità di sicurezza, mentre i più giovani paventano un approccio più etico alle politiche di controllo, anche in considerazione della grande mole di dati personali e sensibili dei cittadini che sistemi come questi raccolgono.

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