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I giornalisti sono indispensabili, ma quanto degni della fiducia dei lettori? Lo dice il Rapporto Agi Censis sull'informazione

Gli italiani considerano ancora lavoro e competenze dei giornalisti indispensabili: alcuni insight dal Rapporto Agi Censis sull'informazione.
La tanto chiacchierata crisi del giornalismo sembra sempre più essere una semplice crisi della carta stampata e, verrebbe da aggiungere, dei modelli di business e di profittabilità delle imprese giornalistiche tradizionali. La fiducia nei giornalisti e in chi si occupa di informazione per professione, infatti, sarebbe meno intaccata di quanto si possa immaginare e a confermarlo arrivano anche i dati del Rapporto Agi Censis sull’informazione 2019.
Intatto il ruolo attribuito ai giornalisti: secondo il Rapporto Agi Censis sull’informazione sono «indispensabili»
Nonostante, come hanno sottolineato diverse ricerche, abbiano una dieta mediatica sempre più variegata e cross-mediale e, molto più pragmaticamente, siano soliti usare i social media per informarsi per esempio, c’è una buona maggioranza di italiani (oltre il 52% di chi ha almeno il diploma secondo il Rapporto Agi Censis sull’informazione) che crede che informarsi «navigando in maniera casuale in Rete» non possa sostituire la lettura sistematica di un quotidiano. A questi si aggiunge circa un 70% di italiani secondo cui i veri giornalisti sono ancora indispensabili anche quando si tratta di informazione online: l’aggettivo “veri” allude alla professionalità di chi fa informazione e a tutta una serie di attributi e competenze come capacità di raccontare, completezza, pensiero critico, serenità di giudizio reputati tipici della categoria professionale.
Segno evidente del fatto che gli italiani si fidino ancora dei giornalisti e reputino la loro presenza indispensabile alla qualità del prodotto editoriale è il sentimento per lo più negativo verso alcune forme di automazione già adottate in redazione. Un italiano su quattro trova «di scarso interesse» l’applicazione dell’intelligenza artificiale al lavoro giornalistico e oltre il 42% degli intervistati lo trova addirittura «inquietante». Certo, andrebbe sottolineata anche una scarsa conoscenza del fenomeno: quasi un italiano su cinque non crede possibile, infatti, che ci siano sistemi A.I. in grado di sostituirsi nelle mansioni di giornalisti in carne e ossa e solo quando il Rapporto Agi Censis sull’informazione 2019 più didascalicamente illustra cosa facciano questi giornalisti robot, già impiegati dal Washington Post per esempio per confezionare notizie sul meteo, l’andamento della borsa, i sondaggi e i risultati elettorali, ecc., la predisposizione degli italiani nei loro confronti si fa meno negativa, con quasi la metà del campione che si dice d’accordo al loro impiego.
Se i lettori considerano i giornalisti la prima causa della crisi dell’informazione ma non tutto è perduto
La cattiva notizia è che, nonostante quanto emerso fin qua, in media il 70% degli italiani e indipendentemente dal titolo di studio conseguito è convinto che gli stessi giornalisti non facciano abbastanza per veicolare un’informazione «corretta e professionale». Più nel dettaglio si rimprovera ai giornalisti italiani di essere più interessati a generare like, click e traffico (di questo si dice convinto circa il 60% degli intervistati per il Rapporto Agi Censis sull’informazione) che non alla qualità dell’informazione veicolata. Il tema insomma è quello (ampio) della misinformazione: fake news , clickbait , perception management hanno minato in questi anni la credibilità dell’intera infosfera e, stando almeno a cosa sentono gli utenti, la responsabilità sarebbe prima di tutto di professionisti e operatori.
Non tutto è perduto però. Se molti italiani, si è visto, considerano ancora indispensabili i giornalisti e il loro lavoro, quello che rimane da chiedersi è come risollevare la fiducia nel giornalismo. Qualche indicazione la dà lo stesso Rapporto Agi Censis sull’informazione che, già nel titolo originario (“I professionisti dell’informazione nell’ era trans-mediatica”) allude a professionismo, transmedialità, relazione con i lettori come possibili antidoti contro la crisi del giornalismo. Partendo dall’ultimo elemento, il rapporto con i lettori, oltre il 60% del campione concorda con l’idea che il futuro del giornalismo non consisterà tanto nella semplice pubblicazione di articoli ma nell’essere presenti nella sezione commenti di un sito, nel commentare su Facebook o sui blog e nell’interagire e mantenere un dialogo aperto con i lettori. Altra parola d’ordine è targetizzazione, o meglio «super targetizzazione» (questo il termine usato all’interno del Rapporto): se i vecchi lettori si possono ormai raggiungere, infatti, su e tramite una serie di canali diversi – da qui la cosiddetta transmedialità – e si tratta di canali che vanno oltre persino social media , newsletter e via di questo passo, fino a comprendere chatbot o assistenti digitali per esempio, anche le possibilità di offrire ai lettori notizie personalizzate e cucite addosso ai propri reali interessi aumentano. Non solo: quasi il 60% degli italiani si dice interessato a ricevere comunicazioni su misura e non è strano pensare che, proprio questo, potrebbe aumentare l’attaccamento e la fiducia verso la testata o il singolo giornalista, con una sorta di effetto fidelizzazione mai sgradito anche all’asset economico di un’impresa giornalistica.
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