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Vino e social media: davvero un connubio difficile?

Vino e social media: davvero un connubio difficile?

Qual è il rapporto tra vino e social media? Una panoramica sull'Italia tra insight, strategie e contenuti.

C’è chi considera quello tra vino e social media  un matrimonio difficile: l’errore è, in questo senso, provare a cavalcare l’onda del successo dei nuovi media e delle forme di marketing a essi associati senza conoscerne le grammatiche, le logiche o, peggio, senza conoscere il proprio prodotto e il proprio cliente. «Eppure il vino è nato social già 3500 anni fa, quando durante i simposi si discuteva di guerra, di politica, si prendevano decisioni sul governo della città», ricordava Marilena Barbera, owner delle Cantine Barbera, alla Social Media Week Rome 2016. A farle eco Valentina Pitardi, adjunct professor di Services Marketing alla LUISS, che sottolineava come «ciascuna cantina, in Italia soprattutto, racconta una storia che è quella dei fondatori o del vigneto da cui nascono le sue bottiglie». L’idea del vino come condivisione, insomma, è ben più antica di strategie social e affini, ma ora deve imparare a convivere con queste.

Un prodotto conviviale, ma con problemi di branding

Uno sguardo al consumo di vino tra i Millennials, per cominciare, può dare insight non indifferenti su come viene percepito il prodotto da un target strategico: come il resto del food and beverage, il vino è considerato un prodotto “trendy”, “di moda”, da consumare in un’occasione di socialità. La maggior parte dei consumatori sceglie il vino in base a esperienze pregresse, dimostrando fedeltà ai propri brand di riferimento. Chi acquista vini di uno specifico vigneto o di un’area geografica specifica per la prima volta, invece, si basa sul consiglio di diversi influencer , che siano gli amici o il personale dell’enoteca di fiducia. Già dati come questi evidenziano un problema fondamentale per il settore vinicolo: la difficoltà di fare branding . Poche sono, in altre parole, i marchi di vino che vengono percepite e ricordate dal consumatore come tali.

La maggior parte di produttori di vino, insomma, stenta a giocare di brand impression e gli effetti sono quantomai concreti, sia se si considera il lato delle vendite – si cerca un rosso, si chiede al bar un moscato, non si specifica quasi mai la casa vinicola desiderata –, sia se si guarda agli aspetti strategici e di comunicazione del proprio prodotto, specie sui social dove l’affollamento di voci e di competitor si fa massimo. La soluzione? Sperimentare, anche quando si tratta, appunto, di stabilire una presenza digitale coerente ed efficace. Come per quella di qualsiasi altro settore, per un’azienda vitivinicola stare sui social significa infatti poter costruire un messaggio tailor made e delle comunicazioni mirate sul cliente per esempio; i canali social possono essere sfruttati, poi, nel caso in cui ci stia provando a fare un rebranding del proprio prodotto e della propria etichetta; né si dovrebbero ignorare le grandi opportunità offerte dal social commerce , tanto più che da anni gli operatori del settore fanno notare come un gran numero di richieste d’acquisto arrivino proprio da Facebook e co.

Vino e social media: una panoramica sull’Italia tra strategie e contenuti

Qual è, però, il quadro italiano quanto a vino e social media? A rispondere a questa domanda ci prova la quinta edizione della ricerca FleishmanHillard-Omnicom pr Group Italia sulla presenza online delle aziende vinicole italiane, ricerca che tiene conto di cosa fanno in Rete le prime trentatré etichette per fatturato.

Rispetto a cinque anni fa, chi opera nel settore vitivinicolo sembra essere più consapevole dell’importanza di strumenti come questi: non a caso l’investimento in social media marketing è aumentato. Il risultato più evidente è una crescita complessiva di oltre il 650% della fanbase su Facebook delle più importanti etichette di vino italiane: i 25 più grandi produttori di vino italiani hanno oggi, in totale, oltre 3,3 milioni di like alle pagine Facebook, quando alla prima edizione dello studio ne avevano appena 440mila. Il social di casa Zuckerberg, del resto, sembra essere quello su cui puntano di più le aziende del settore: 21 aziende su 33 hanno, oggi, una pagina ufficiale e il 72% di queste sono aggiornate almeno su base settimanale. YouTube è secondo quanto a numero di presenze, con 18 delle 33 aziende prese in esame che hanno un canale; il suo utilizzo però è più sporadico – con il 73% dei brand che aggiorna i propri canali solo mensilmente – e il numero di follower è rimasto stabile negli anni. Il social dei cinguettii chiude il podio delle piattaforme più amate da chi fa vino, con 15 aziende su 33 che hanno un profilo, anche se la più generale crisi di Twitter sembra riflettersi in un loro aggiornamento sempre più sporadico: se nel 2014, infatti, il 91% delle aziende twittava almeno una volta a settimana, oggi lo fa meno del 60% di loro. Rispetto alle rilevazioni precedenti, comunque quello che rileva sembra essere soprattutto il boom di Instagram: nel 2014, infatti, i canali delle più importanti aziende vitivinicole italiane avevano, in totale, poco più di 700 follower; oggi sono diventati oltre 63mila (facendo registrare, quindi, un +8354%) ed è facile immaginare che ciò abbia a che vedere con l’opportunità di uno storytelling spiccatamente visivo e particolarmente adatto a un prodotto che, si è visto, è sempre più percepito nelle sua vena leisure e di lusso.

Di cosa parlano, del resto, aziende e produttori di vino sui social? Il focus non è soltanto sul prodotto, nonostante il 64% dei brand in questione punti soprattutto sull’essere autoctoni dei propri vitigni. Nel 40% dei casi, per esempio, vengono suggeriti enoteche, percorsi e degustazioni. Da un lato, infatti, il reale vantaggio per esempio per una piccola realtà del settore che voglia sviluppare una strategia social efficace potrebbe essere imparare a fare rete invece di limitarsi a stare in Rete: ciò significa, appunto, cercare sinergie con gli altri operatori del settore o con gli altri soggetti attivi sul territorio di riferimento. Dall’altro quello del vino, come quello del cibo, è un settore per molti versi sovrapponibile a quello turistico e non è un caso se i soggetti che operano nel vitivinicolo siano oggi tra i maggiori stakeholder di un turismo esperienziale: vendere a un turista l’esperienza di un territorio è impossibile, data la specificità italiana, senza considerare anche le caratteristiche eno-gastronomiche del posto.

Le formule adottate, così, sono delle diverse: c’è chi come le Cantine Barbera (la cui proprietaria, Marilena Barbera, nel 2016 è stata nominata da Social Vignerons tra i top influencer del settore) prova a mischiare momenti di vita quotidiana in cantina e tra i vigneti con guide su cosa mangiare, dove dormire, cosa visitare, ecc., ma c’è anche chi come BeFarmer punta a un coinvolgimento che, prima che digitale, sia anche “analogico” permettendo di adottare una vigna.

Il rapporto tra vino e social media vive, però, sempre di più anche di sostenibilità: tornando alla ricerca in questione, infatti, almeno il 76% delle etichette italiane userebbe i propri account per parlare di agricoltura sostenibile, certificazioni di qualità, energia rinnovabile, ecc. In parte a sorpresa, le cantine italiane hanno cominciato a sfruttare anche bot e chatbot, soprattutto su Messenger, per dialogare in tempo reale con i propri clienti e per fornire loro servizi di assistenza. Ancora inesplorati sarebbero invece strategie e strumenti per il social commerce: più in generale, infatti, i produttori di vino italiani tendono a esternalizzare i servizi per la vendita online su marketplace specializzati o generalisti ma con sezioni dedicate al vino o al Made in Italy. Sebbene la digital disruption abbia cominciato a farsi sentire insomma anche nel settore, tanti sono i territori ancora inesplorati quando si tratta di vino e social media e, più, in generale di vino e digitale.

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